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di Mariavittoria Orsolato

A distanza di cinque anni dalla barbara uccisione del diciottenne Federico Aldrovandi, Ferrara e le sue Forze dell’Ordine tornano a far parlare di sé per un triste episodio di abuso di potere: quattro giovani stranieri - due ecuadoriani, un nigeriano e un albanese - un presunto pestaggio, un militare indagato. A far scoppiare il caso è stato un video in bassa qualità, diffuso dall'associazione “A buon diritto” di Luigi Manconi, in cui si possono scorgere movimenti concitati, persone stese e tenute a terra e addirittura un uomo denudato.

Le immagini risalgono allo scorso 24 febbraio e sono state girate nella sede dell'Arma di via del Campo di Ferrara. I quattro stranieri, tutti ventenni e residenti a Rovigo, erano stati fermati in stato di ebbrezza per resistenza a pubblico ufficiale ed erano poi stati trattenuti per ore in caserma. I fotogrammi ripresi dalla telecamera di sorveglianza e forniti alla procura di Ferrara per l’apertura del fascicolo per lesioni contro un carabiniere e per resistenza a pubblico ufficiale, contestata ai quattro giovani, mostrano uno dei ragazzi ammanettato, spinto più volte contro un muro ed aggredito addirittura con un manganello al contrario, ovvero con l’impugnatura rivolta verso l’esterno.

I presupposti per una contro-indagine hanno indotto il pm ferrarese Barbara Cavallo, ad aprire un’inchiesta per accertare le reali responsabilità dei militari presenti; e ad indagare ufficialmente il carabiniere con il manganello. Secondo il racconto di Angelo Bova, legale del carabiniere indagato, sarebbero infatti stati i 4 giovani ad innescare la reazione degli ufficiali: uno di loro si era appunto denudato, mentre l’altro si era ferito volontariamente al braccio e, sanguinante, si lanciava addosso ai carabinieri per infettarli. Non la pensa allo stesso modo Luigi Manconi, secondo cui “Uno dei fermati ha subìto pesanti maltrattamenti e violenze, nonché colpi inferti con manganello a opera di uno, e forse non solo uno, appartenente all'Arma”.

Non c’è ancora nulla di accertato e la scarsa risoluzione del filmato non aiuta a comprendere le esatte dinamiche degli avvenimenti, ma un fatto potrebbe essere considerato indicativo: l’uomo col manganello è stato riconosciuto da Barbara Simoni, un avvocato che aveva precedentemente assistito l’uomo come parte civile in altri episodi di arresti per resistenza e che dopo aver visto il video ha scelto di difendere i quattro giovani stranieri, su cui è comunque pendente in tribunale il processo per direttissima, fissato all'11 maggio in attesa degli sviluppi della nuova inchiesta.

Quello fornito dai Carabinieri è in ogni caso uno spettacolo che, inevitabilmente, evoca i giorni del G8, la morte di Stefano Cucchi, di Aldo Branzino, di Giuseppe Uva; e scatena inesorabili polemiche manichee sulla natura e la realtà operativa delle Forze dell’Ordine. Molto più semplicemente, questi episodi - che sempre di più si affacciano alle pagine di cronaca e rimarcano il fatto di non essere casi isolati - dovrebbero portare a pensare che una persona affidata ad un apparato dello Stato non può e non deve sentire a rischio la propria incolumità. E’ inutile e dannoso pensare che un apparato statale sia nella sua interezza caratterizzato da personalità fasciste, violente e razziste; sarebbe d’altro canto ingenuo mettere i paraocchi e fingere che il problema non sussista.

La cosa peggiore sarebbe quella di ritenere le divise, di per se stesse, garanzia incontestabile di rispetto delle leggi e delle norme. Ad esempio, lo scorso 14 aprile è trapelata la notizia che a Roma ben 17 carabinieri - 6 dei quali coinvolti nell’affaire Marrazzo - sarebbero stati trasferiti dopo il furto di ben 10 kili di hashish facenti parte del sequestro di un’operazione. E se pensiamo che in media i sequestri di cocaina coinvolgono cifre superiori al quintale, è facile immaginare che quantitativi molto più piccoli (come pochi grammi) possano essere sottratti non tanto per fini di lucro, ma per uso personale.

Le vittime di quest’ultimo episodio odioso e violento sono extracomunitari, senza famiglia o amici che possano difenderli. Gli avvocati del caso non sono certo annoverabili tra i principi del foro capaci di sostenere le loro ragioni e le loro versioni anche a livello mediatico. Ma questo non può e non deve diventare motivo di attenzione ridotta sull’accaduto. E’ bene che ogni qualvolta vengano accertati casi si abuso di potere da parte delle parte delle istituzioni preposte alla pubblica sicurezza, la giustizia faccia il suo dovere per far sì che questi non possano più nuocere. Ne abbiamo abbastanza di sentenze come quelle sulla scuola Diaz e sulla caserma Bolzaneto.