USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Tania Careddu

Violato, deturpato, abusato e trascurato. Eppure, per il territorio italiano, vengono stanziate ingenti risorse dedicate. Malamente utilizzate. Per esempio quelle comunitarie, destinate ai lavori pubblici importanti, che tornano periodicamente all’attenzione dell’interesse nazionale, vedi in occasione dell’alluvione di Genova e per la ricostruzione post sismica dell’Aquila.

Ebbene, secondo quanto riporta il 48esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, le risorse programmate nell’ambito delle politiche di coesione economica e sociale 2007- 2013 - finalizzate a promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile delle comunità - si aggirano intorno agli ottanta miliardi di euro, cui corrisponde, però, una spesa certificata pari a circa trentadue miliardi e poco più, con un avanzamento del 40,4 per cento. Di questi ottanta miliardi di euro programmati, ben quarantacinque sono relativi a interventi infrastrutturali, in soldoni opere pubbliche.

Ebbene, a un anno dalla chiusura del periodo di programmazione europea si è speso un quinto delle risorse a disposizione, cosicché rimangono da certificare alla Commissione europea ancora ventuno miliardi.

Pare che la criticità che penalizza la capacità italiana di utilizzare le risorse comunitarie e nazionali risieda nel lungo e complesso processo amministrativo e tecnico che sta alla base della realizzazione delle opere pubbliche. Non solo: i dettagli nei progetti di lavori che (se) vedranno la luce da lì a sette anni, si perdono in fiumi di retorica.

Di fatto, nessuno sa per certo quali effetti possano avere i progetti finanziati con i fondi strutturali ma, nonostante questo, tanto per dirne una, in cinque anni si sono finanziati oltre cinquecentomila corsi di formazione e innumerevoli altri progetti. Risultato: tutti cercano di massimizzare la somma che l’Italia riceve e nessuno sembra chiedersi se ne valga la pena. E se i soldi dedicati arrivino ai giusti destinatari.

Per esempio, per intervenire sulla gestione delle infrastrutture di base delle risorse idriche. Non consona agli standard di uno Stato avanzato, la grave condizione in cui versano gli acquedotti italiani ha pesanti effetti economici e ambientali, contribuendo al depauperamento della preziosa risorsa.

Tanto per capirne la portata: rispetto alla totalità dell’acqua che viene messa in rete, più di un terzo sparisce, non viene consumata né fatturata, non giungendo all’utente finale. E così, le perdite delle reti acquedottistiche, tra il 2008 e il 2012, sono aumentate e caratterizzano l’Italia tra i grandi Paesi europei. Che, oltretutto, fa acqua pure sul fronte della raccolta e della depurazione: il 7 per cento del carico inquinante non viaggia nelle reti fognarie e il 21 per cento non viene depurato prima di arrivare ai corpi idrici di destinazione.

E pensare che ogni anno, nel Belpaese, si investe pochissimo: trenta euro ad abitante contro gli ottanta della Germania, i novanta della Francia e i cento della Gran Bretagna. E gli investimenti delle politiche di coesione dovrebbero anche essere concentrati, tra gli altri, sulla voce efficienza energetica. Nel ciclo finanziario 2014-2020 saranno disponibili più di trentotto miliardi di euro per sostenere il passaggio a un’economia più ecocompatibile che guardi all’efficienza energetica e delle energie rinnovabili.

Allo stato, gli incentivi e i forti investimenti per lo sviluppo e l’adozione di tecnologie del genere hanno portato a una crescita del settore, che nel 2013 ha raggiunto il 18 per cento del consumo nazionale. Un terzo del quale è stato coperto dalla produzione nel comparto elettrico.

Non senza contraccolpi. Se si calcola che i costi derivanti dall’incentivazione delle fonti rinnovabili sono coperti per ben 12 miliardi di euro annui dal pagamento della bolletta energetica delle famiglie italiane. Di più: penalizza il settore energetico nel suo complesso per la riduzione delle ore di utilizzo degli impianti. Si vedrà la luce nella semioscurità dei progetti, dei finanziamenti e degli incentivi?

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