Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Tania Careddu

Dall’Africa occidentale o da quella orientale, passando per la Libia. In viaggio per sedici o ventidue mesi. Su imbarcazioni gestite da trafficanti che ‘garantiscono i servizi’, dal trasporto alla corruzione dei funzionari di frontiera. Una rete a maglie larghe in cui ogni singolo individuo può inserirsi e sfruttare i migranti durante “la strada per l’inferno”, fatta di sequestri, estorsioni di denaro, denutrizione, disidratazione, aggressioni.

Legati, bendati, rinchiusi, percossi, privati di cure mediche, torturati e bruciati. Costretti in posizioni stressanti, in piedi per un tempo prolungato o ammanettati, minacciati di violenza, oltraggiati sessualmente, obbligati ad assistere a maltrattamenti dei compagni di viaggio. Fino a vederli morire.

Quelli di loro che sopravvivono, sono tenuti in condizioni degradanti dai carcerieri: quaranta persone in trenta metri quadrati, senza spazio per potersi distendere, privi di servizi igienici e obbligati a lavori forzati, presi a calci dai soldati con gli stivali dalla punta metallica.

Che, insieme agli agenti di polizia militari, ai banditi e ai ribelli, sono gli autori delle violenze. Non solo: bande armate come gli Asma Boys che gestiscono luoghi speciali dove i migranti vengono quotidianamente seviziati in cambio di denaro, gruppi armati di trafficanti professionisti, tipo autisti e intermediari, civili libici e uomini d’affari che li sfruttano, trattandoli come schiavi. Gestiscono i foyer (dormitori) dove usano violenza nei confronti di quelli che non riescono a pagare la rata mensile.

Non vorrebbero affrontare il viaggio ma sono stati costretti a fuggire dal paese d’origine a causa di persecuzioni politiche, religiose e sessuali, dittature, guerre civili, situazioni violente all’interno di comunità familiari, dispute territoriali, conflitto con la legge, coscrizione militare obbligatoria. Scappano per salvare i propri diritti fondamentali. Sono migranti forzati. A pagare, oltretutto, dai mille agli oltre tremila euro per arrivare negli Stati di un’Europa ostile che ancora fa il punto sulla differenza tra rifugiati politici e migranti economici.

Dicotomia astratta e sterile, quando ad approdare in Italia sono le vittime di traumi ripetuti. Dai quali tentano di difendersi in cerca di un futuro. Insicuro e vulnerabile, segnato dalla paura della morte. Dall’angoscia di essere costantemente bersagli mobili o di essere odiati in quanto “diversi”. “Ero terribilmente spaventato - ha raccontato J.U., diciottenne nigeriano, agli operatori di Medici senza frontiere (MEDU), che lo hanno riportato nel Rapporto Fuggire o morire - perché la barca era così piccola, così leggera, e il mare era così grande e agitato. Il viaggio è durato quattro notti".

In che condizioni? Queste: "Dopo averci imbarcato, l’arabo che era nella barca è saltato fuori e ha lasciato l’imbarcazione nelle mani di un ragazzo del Gambia che era tra gli ostaggi durante la traversata. Lo hanno lasciato con una bussola e un telefono, ma entrambi erano guasti. Le centoquindici persone a bordo erano disperate. Si poteva sentire la nostra pura di morire. Mi sentivo solo di fronte al mare e non ho fatto altro che piangere per tutta la traversata. La quinta notte abbiamo visto una nave che dopo tre ore è riuscita a trarci in salvo”. Ammesso che l’Europa li porti in salvo.

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