Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Tania Careddu

Essere dentro il ‘sistema giustizia’ ed esserne esclusi. Un paradosso che investe i detenuti quando devono fare i conti con la risoluzione di questioni legali non connesse alla pena che stanno scontando. Ossia, sebbene siano esposti a linguaggi e procedure giuridiche, siano supportati da un avvocato, o lo sono stati prima della condanna definitiva, benché si relazionino con il magistrato di sorveglianza o con il giudice procedente, a causa della restrizione della libertà personale incontrano ostacoli che impediscono il normale accesso alla giustizia per tutto ciò che non concerne la storia penale per la quale sono detenuti.

Per cui, benché gli istituti penitenziari offrano servizi volti a ovviare agli impedimenti, la reclusione rappresenta un ostacolo ingombrante a farsi parte attiva nella gestione delle loro questioni legali-amministrative. Esasperando la condizione afflittiva e intralciando la reale (?) finalità riabilitativa della detenzione.

Sebbene la ricerca Accesso alla giustizia in carcere: alcune evidenze basate su un “questionario fra pari”, condotta dalla Casa della libertà e dal Centro Studi Sofferenza Urbana, sia stata effettuata nelle carceri milanesi di Bollate e di San Vittore, i risultati ottenuti potrebbero essere estendibili. E sono problemi legati al diritto di famiglia, con annesse questioni riguardanti il patrimonio o il reddito (vedi sfratti e pignoramenti), o la perdita di sussidi e sostegni per il nucleo familiare, o problematiche aperte con la Pubblica Amministrazione, relative a sanzioni o a tasse. Oppure questioni legate al rilascio o al rinnovo di documenti, principalmente carta d’identità e patente.

Non solo la detenzione rappresenta un motivo per rinunciare a risolverle ma sembra, anche, incrementarle. La sistemazione delle quali pare essere connessa pure a due fattori determinanti a stabilire la possibilità o meno di utilizzare gli strumenti messi a disposizione del carcere. E cioè la maggiore o minore mobilità per i detenuti all’interno della struttura penitenziaria e l’essere in attesa di giudizio.

Condizione, quest’ultima, che sistema il detenuto-imputato in una posizione ancor più complessa (se possibile): escluso dalle logiche trattamentali, fa fronte anche a situazioni particolarmente restrittive che rendono meno agevole, rispetto a una più elevata mobilità degli altri reclusi, la fruizione dei mezzi offerti dall’istituto. E le difficoltà si acuiscono quando a essere coinvolti sono gli ‘ospiti’ più vulnerabili, privi, cioè, di una rete di supporto (di solito familiare) o stranieri.

E l’accesso alle cure e ai farmaci? Talvolta ostico tanto da sembrare una pena accessoria. Per esempio, l’inserimento dei detenuti in liste d’attesa ordinarie, li penalizza: l’opportunità di accedere alla visita, una volta arrivato il proprio turno, dipende dalla disponibilità delle scorte di polizia, non sempre assicurata. Da aggiungere a tutto ciò il mancato diritto alla scelta del medico di base, obbligati come sono a rivolgersi al medico di reparto, limitandosi così il diritto di ogni paziente - e quindi anche del recluso - a un rapporto personale, diretto e continuativo con lo stesso.

Inoltre, la mancata restituzione degli esiti di eventuali analisi cliniche effettuate, l’utilizzo di cartelle cliniche cartacee che accompagnano il detenuto ma, quasi sempre, con grande ritardo, fanno perdere la sua storia clinica. La mancanza di libertà è un grave vulnus al patrimonio giuridico inalienabile di ogni essere umano. Tutela della salute e accesso equo alle cure compresi.

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