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di Tania Careddu

“I primi mesi del 2017 sono stati caratterizzati da fenomeni diffusi, determinati anche per effetto del deficit idrico che ha interessato quasi tutto il Paese, e da un’intensificazione degli interventi rispetto al passato, con un numero di richieste di soccorso della flotta aerea antincendio dello Stato in forte aumento in confronto agli anni precedenti, al punto da risultare la stagione più complicata dal 2004, dopo quella del 2012”. La dichiarazione del presidente del Consiglio dei ministri, risalente a un mese fa, relativa alle attività antincendio boschivo per la stagione estiva, dà la misura della criticità del fenomeno incendiario che sta mandando in fumo il Belpaese.

Solo da metà giugno a oggi, sono andati a fuoco ben ventiseimila ettari di superfici boschive: tredicimila in Sicilia, quasi seimila in Calabria, duemila e cinquecento in Campania, più di mille e cinque in Puglia e nel Lazio e quattrocentonovantasei in Sardegna. Settecentosessantaquattro, raggiungendo il record decennale, le richieste di intervento da parte delle regioni alla protezione civile.

Se le temperature torride e la scarsa manutenzione dei boschi rappresentano un mix esplosivo per l’innesco, l’Italia brucia, soprattutto, per la mano criminale dell’uomo: speculazioni edilizie, appalti per manutenzione e rimboschimenti, guardianie imposte, estorsioni delle superfici destinate al pascolo, ritorsione o come strumento di ricatto politico, le motivazioni alla base del dolo.

Che, oltre agli ingenti danni al patrimonio di biodiversità e ai rischi per l’incolumità delle persone, genera danni economici i quali, nel 2016, ammonterebbero intorno ai quattordici milioni di euro mentre i costi per l’estinzione a otto. E la conta complessiva ha effetti diretti anche sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici e della tenuta degli ecosistemi, contribuendo pure a pregiudicare la già precaria tenuta idrogeologica.

A scongiurare la devastazione dei roghi manca una sinergia tra i diversi soggetti interessati: i mezzi aerei – quattordici canadair, tre elicotteri dei vigili del fuoco e tre della Difesa – non sono sufficienti da soli se non sono coadiuvati da azioni di bonifica delle squadre a terra. Troppo spesso trascurate, le mancate bonifiche hanno come conseguenza che un incendio, spento di giorno, riprenda durante la notte perché, dopo l’intervento con i canadair, non sono state svolte tutte le operazioni necessarie al definitivo spegnimento.

Con un effetto differenziale: oltre il danno, anche, di un’azione inefficace a lungo termine, pure la beffa di un altissimo costo dato dal noleggio dei mezzi aerei di società private, a carico della collettività, a causa di un uso, da parte delle organizzazioni regionali, sproporzionato di questi.

Ma è la macchina organizzativa centrale a funzionare a singhiozzi: nonostante siano passati diversi mesi dalle scadenze previste dall’annuale direttiva sul punto, emanata dal Consiglio dei ministri, ancora gli interventi nazionali non sono stati messi in campo. Latita il decreto attuativo relativo all’assorbimento del corpo forestale dello Stato in altre amministrazioni, la cui assenza genera difficoltà operative negli interventi concreti.

Manca l’integrale aggiornamento annuale dei Piani Antincendio Boschivo dei parchi e delle riserve naturali: al momento ne risultano vigenti tredici, otto con l’iter non ancora concluso e due parchi con il Piano scaduto, secondo quanto si legge nel "Dossier Incendi 2017", redatto da Legambiente. Ritardi ingiustificati con conseguenze disastrose e tempi biblici nella definizione e chiusura di tutte le fasi preparatorie per la piena operatività nelle attività di previsione, prevenzione e intervento. Siamo in Italia.