La difficoltà nella gestione dei flussi migratori, la questione della cittadinanza, casi criminali di spiccata efferatezza, sgomberi e disordini nei centri di accoglienza e l’accusa alle ONG, sono stati, stando a quanto si legge nel V Rapporto di Carta di Roma, Notizie da paura, i temi al centro dell’agenda mediatica migratoria del 2017.

 

 

Un tema drogato dalla propaganda della destra, dove la presenza di migranti si associa all’invasione, al sospetto, alla minaccia per la sicurezza degli autoctoni, al degrado, alle malattie. Ha i toni dell’accusa, rispecchia lo scontro politico, esalta binomi sempre meno involontari: violenza uguale immigrazione, immigrazione che fa il paio con il radicalismo religioso e con la povertà.

 

Dubbio, minaccia, sospetto, i passi più significativi della comunicazione sull’immigrazione che non segue il filo dell’approfondimento ma il mero susseguirsi di eventi allarmistici, principalmente associati all’accoglienza come “problema”. E sono le notizie di crimini violenti a guadagnare le prime pagine dei giornali fra le quelle legate alla questione migratoria cosicché si nota una sovraesposizione della visibilità di migranti e profughi come autori dei reati (e molto poco come vittime).

 

E di atti terroristici ai quali, sempre più, l’informazione associa il radicalismo islamico, operando una qualunquistica generalizzazione che dispiega un potenziale ansiogeno. Dalle presunte infiltrazioni terroristiche alle condizioni dei profughi e dei migranti nei campi di detenzione, dalla criminalizzazione del soccorso in mare alle condizioni dei minori, l’allarmismo, che la fa da padrone, è bipolare: da una parte, tenta di scuotere le coscienze, dall’altra, raccontando di una minaccia, sortisce l’effetto di reprimere l’istinto buonista e moralizzare la chiusura delle frontiere.

 

I titoli sono, quasi sempre, caratterizzati da un linguaggio emergenziale, fortemente emotivo, evocando l’ineluttabilità del flusso migratorio e il discredito dei soggetti impegnati nel salvataggio in mare: la ripetizione di parole d’ordine evocative, da un lato riduce la complessità del tema, dall’altro gli imprime “forme retoriche e linguistiche che rafforzano i frame di divisione e allarme”.

 

Discorsi d’odio incoraggiano la discriminazione, la stereotipizzazione (spesso su base religiosa) e alimentano la percezione di una sospetta appropriazione indebita (non solo economica) da parte degli stranieri e l’associazione a un peggioramento delle condizioni di vita dei residenti italiani, aumentano la diffidenza e l’inquietudine.

 

La dimensione dell’integrazione è relegata ai margini, concentrandosi sull’emergenza abitativa nelle città e sull’inconciliabilità culturale relativamente alla quale “i timori suscitati dagli immigrati come minaccia all’identità (culturale e religiosa) oggi hanno toccato il 38 per cento. Cioè: il massimo grado di intensità rilevato negli ultimi venti anni”. E la voce dei migranti, anche nelle notizie del 2017, rimane in sordina. Non ci restano che le immagini: per un occhio sensibile, riescono a condensare tutte le reali sfumature.

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