Contronatura, esibizionisti e portatori (malati) di esibizionismo. Per il 15 per cento degli italiani, queste le definizioni più ricorrenti per descrivere le persone gay o lesbiche (ancora) nel 2018. E, così, sull’onda del disgusto, l’omotransfobia ‘miete’ cinquanta vittime al giorno. “Il dato che emerge maggiormente, nell’ultimo anno, è il crescente livello di omofobia, con un incremento del 2 per cento (ora al 72 per cento) e un aumento del 4 per cento (ora al 17 per cento) dei ricatti a scapito delle persone lesbiche e gay non dichiarate”, dichiara il responsabile del Numero Verde Gay Help Line (800 713 713) e portavoce di Gay Center, Fabrizio Marrazzo.

 

 

Che continua: “La comunicazione tramite social rende sempre più facilmente rintracciabile l’orientamento sessuale degli utenti, potendo monitorare i gruppi di interesse e le amicizie, esponendo, in questo modo, le persone LGBT più facilmente alle violenze e ai ricatti di singoli o gruppi. E il dato più allarmante è che solo una vittima su quaranta pensa che denunciare possa migliorare la propria situazione, specialmente i più giovani, che temono, oltre alle discriminazioni, anche le reazioni della propria famiglia”. In particolare, conclude, “gli studenti dichiarano che difficilmente trovano nella propria scuola docenti o adulti che li potrebbero aiutare. Per questo è importante l’approvazione di una legge contro l’omotransfobia che preveda un piano di intervento che consenta di supportare le vittime su tutto il territorio nazionale”.

 

Nel 2018, al Gay Help Line sono arrivate ventimila richieste d’aiuto, di cui tremila e duecento da minori, fra le quali quattrocento per gravi maltrattamenti in famiglia, che nel 30 per cento dei casi evolvono in situazioni di segregazione in casa. Come è successo a Luca (il nome è di fantasia ma la storia, raccontata e raccolta da un dei sessant’otto sportelli d’aiuto di Arcigay, è reale) i cui “genitori mi tengono chiuso in casa da mesi e non mi fanno vedere e parlare con nessuno perché sono trans” o a Salvatore al quale “l’ultima cosa che mi ha detto mio padre prima di sbattermi fuori di casa è che gli faccio schifo perché sono gay”.

 

E di queste storie, anche raccontate dai media, fra le centodiciannove censite da Arcigay negli ultimi dodici mesi, ce ne sono tante. Troppe. “Colpisce, allora - commenta il segretario nazionale di Arcigay, Gabriele Piazzoni - leggere questa agghiacciante successione di figli e figlie allontanati da casa, di singoli e coppie insultati e picchiati per strada, di manifesti, striscioni, cartelli, scritte sui muri, con grande violenza, segnano i luoghi che attraversiamo. Infine, è doveroso tornare al tema delle famiglie, quelle che cacciano i figli e le figlie da casa, quelle che li picchiano, che tentano di sfregiarli con l’acido, che vogliono in tutti i modi punirli”. E aggiunge: “L’inferno che in quelle famiglie si scatena è direttamente collegato a una propaganda politica omotransfobica che sembra puntare direttamente a questi esiti”.

 

E se gli strumenti legislativi sono ancora lontani dall’essere predisposti - e la mappa Rainbow Europe lo conferma, posizionando l’Italia in basso nell’indice delle leggi e delle politiche LGBT - la lotta all’omotransfobia va proseguita con capillari azioni culturali.

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