Ci sono miliardi di persone nel mondo che vivono in paesi nei quali la libertà di pensiero e di espressione è fortemente limitata. Se sono atee, poi, sono anche vittime di discriminazioni o persecuzioni sia da parte degli Stati sia da parte della società. Tanto da far passare, senza tanti ostacoli, che sposare il pensiero ateo è un atto di terrorismo, che promuovere valori umanisti è una sorta di attacco criminale alla cultura, che non professare una religione è un crimine morale degno di morte, che i figli possono essere portati via a causa dell’apostasia dei genitori, che mettere in discussione la cultura che le circonda può essere interpretato come blasfemia.

 

 

Perché, sostiene il settimo Rapporto sulla libertà di pensiero nel mondo, realizzato da IHEU, di cui è membro l’UAAR (italiano), “quell’uguaglianza di base nella condizione umana sfugge ancora a molti legislatori e viene negata a milioni di persone”. E ciò avviene, come è noto e soprattutto, in quei dieci paesi in cui i codici giuridici si basano sulla legge islamica, fondata su una visione conservatrice dell’Islam e profondamente radicata nel quadro giuridico. E poi ci sono casi, meno noti, di paesi nei quali le leggi negano il diritto agli atei di ottenere la cittadinanza, ne vietano l’accesso all’istruzione pubblica, di ricoprire cariche pubbliche, di lavorare per le amministrazioni statali.

 

Ventidue paesi criminalizzano l’apostasia fino a punirla con la morte (in dodici di questi paesi); stessa sorte per i blasfemi di Afghanistan, Iran, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita e Somalia mentre altri quarantatre prevedono una pena detentiva. Anche in Italia, la blasfemia è un reato amministrativo - fino al 1999 penale - mentre la diffamazione religiosa è un reato penale ai sensi degli articoli 403 e 404 del codice penale.

 

Ma la forma più comune di discriminazione - e solo apparentemente la più innocua - è la promozione da parte del governo di privilegio derivante dalla professione della religione (di Stato). E proprio “quando gli Stati iniziano a definire i cittadini non dalla loro umanità ma dalla loro appartenenza a un gruppo religioso, la discriminazione segue automaticamente”, si legge nel Report. E così i privilegi religiosi si riscontrano anche nei servizi pubblici, primo fra tutti nelle scuole che, nonostante siano finanziate dallo Stato, subiscono un controllo religioso.

 

Per esempio, nell’Irlanda del Nord, il 94 per cento delle scuole finanziate dallo Stato è di stampo cattolico, in Inghilterra e nel Galles, il 16 per cento dei posti finanziati dallo Stato sono soggetti a politiche di ammissione che ostacolano gli atei. L’Italia, sebbene i non credenti siano di gran lunga i più numerosi rispetto ai religiosi, il Concordato con la Chiesa stabilisce che a tutti i livelli di istruzione (tranne nei percorsi universitari) ci sia un insegnamento di religione, impartito da maestri pagati dallo Stato (italiano).

 

E seppure esista la facoltà di non assistere alla lezione di religione, molte scuole tentano di dissuadere studenti e genitori dalla scelta alternativa. In generale, il Belpaese si trova al centocinquantanovesimo posto della classifica mondiale perché, si legge nel Rapporto, “le autorità governative promuovono un’agenda socialmente conservatrice, ideologicamente ispirato alla religione, senza riguardo per i diritti di coloro che hanno idee progressiste (…) Preoccupa il fatto che le autorità religiose o secolari interferiscano in specifiche libertà”, dell’essere umano.

 

Per pensare liberamente ateo, bisognerebbe vivere in Belgio, nei Paesi Bassi e a Taiwan, dove i governi hanno adottato un atteggiamento neutrale nei confronti della religione. Ed è ora che tutti i paesi si rifacciano a questo modello poiché, volenti o nolenti, le persone religiose costituiscono il 59 per cento della popolazione mondiale ma sono in diminuzione di nove punti percentuali (dal 2005 al 2012) mentre l’ateismo è aumentato di tre punti. E sembra una tendenza destinata a continuare.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy