È trascorso quasi un secolo da quando Argentina Altobelli, Segretaria Generale della Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra ed esponente di spicco del Partito Socialista Italiano, in un articolo intitolato “Difendiamo la donna nella casa e nel lavoro”, pubblicato il 7 gennaio 1912 sul primo numero della rivista socialista “La Difesa delle Lavoratrici”, appena fondato da Anna Kuliscioff, così commentava la condizione delle donne lavoratrici: "Le statistiche ci rivelano, colla certa eloquenza delle cifre, che le donne lavoratrici sono parecchi milioni, che aumentano ogni giorno, che partecipano ad ogni lavoro, ad ogni attività sociale; ma non ci narrano tutti i dolori, i patimenti, le sofferenze economiche morali cui le donne debbono affrontare e subire nel lavoro e nella vita".

 

Da allora non è cambiato nulla fuorché i dati statistici sull’occupazione, impietosi e incivili, pubblicati dall’Istat che per il 2020 registrano un calo dell’occupazione pari a 444 mila unità, di cui il 70% è costituito da lavoratrici, ossia oltre 300 mila donne. Un dato che non è consequenziale solo all’impatto della pandemia nei luoghi di lavoro, poiché già per il biennio 2016-2017 Eurostat, prendendo come esempio la Sicilia, evidenziava come solo tre donne su cento avevano mantenuto il proprio posto di lavoro.

Le donne oggi non solo lavorano di meno ma s’infortunano di più. Inquietanti, in proposito, i dati Inail. Nel 2020 le denunce d’infortunio delle lavoratrici pervenute all’Istituto sono state 233.731, in aumento rispetto al 2019 che ne registrò 229.865. Le denunce d’infortunio con esito mortale sono state 138 nel 2020; erano state 94 nel 2019.

Anche la pandemia infierisce sulle lavoratrici. Dei 131.090 casi d’infortunio sul lavoro da Covid-19 denunciati nel 2020 all’Inail, 91.178 riguardano le donne; dei 423 decessi, 71 sono di lavoratrici. In entrambi i casi, la fascia anagrafica più colpita è quella con età 50/64 anni. Oltre alle professioni mediche, sanitarie e socio-assistenziali sono in maggior misura travolte le categorie di ausiliarie, portantine, bidelle, addette alla segreteria e agli affari generali, addette ai servizi di pulizia di uffici, alberghi, navi, ristoranti.

La situazione non cambia se si osserva il fenomeno della violenza nei luoghi di lavoro. Uno studio sul periodo 2013-2016 elaborato dall’Inail registra circa ottomila episodi l’anno codificati come aggressioni, minacce, violenze provenienti sia dall’interno sia dall’esterno del posto di lavoro; tra le vittime, il 39% sono donne.

Le professioni che registrano un alto tasso di aggressioni alle lavoratrici sono quelle della salute e dei servizi sanitari e sociali con il 42,7% (l’11% riguarda i lavoratori), della scuola con l’11,8% (l’1,3 riguarda i lavoratori), delle impiegate addette al controllo e recapito della documentazione e delle impiegate addette ai movimenti di banche rispettivamente con il 5 e il 4 per cento (contro il 3,8 e il 2,9 per cento che riguarda i lavoratori). Se si guarda alla distribuzione per classi d’età, si osserva una prevalenza d’infortuni femminili per aggressione del 70% per la fascia anagrafica 25-54 anni e del 30% per la classe d’età dai 55 anni in su.

L’Istat invece ha recentemente stimato che sempre in Italia sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Con riferimento ai soli ricatti sessuali, i dati rilevano l’accadimento di un milione 173 mila casi di donne sottoposte ad almeno un ricatto sessuale per assunzione, carriera o mantenimento del posto di lavoro.

Un quadro desolato e desolante, quindi, peraltro aggravato dalla disparità di trattamento salariale.

Se ancora oggi e anche in Italia le lavoratrici continuano a essere bersaglio delle ingiustizie e dello sfruttamento nei luoghi di lavoro, nonostante una legislazione sociale d’avanguardia conquistata dalle donne lotta dopo lotta, ciò è dovuto alle nuove dittature che si sono imposte negli odierni cicli produttivi e lavorativi in seguito alla “distruzione creatrice” di quella legislazione sociale: la dittatura dei tempi di consegna, della valutazione permanente usata come forma di controllo del personale, dei carichi di lavoro.

Oggi, rispetto ai tempi in cui scriveva Argentina Altobelli, la statistica rende dunque conto anche dei dolori, patimenti e sofferenze economiche e morali che le donne devono affrontare e subire nel lavoro oltre che nella vita; perciò sono ancora attuali e ispiratrici di pensiero e azione le parole con cui apriva il suo già citato articolo: «sono tante e tante le donne che hanno bisogno di essere difese … tali le miserie e le ingiustizie di cui esse sono le vittime di ogni giorno, che io vorrei bollata a fuoco la società che tollera il perpetuarsi di questa vergogna indegna di una umanità civile».

Forse, e speriamo che non sia troppo tardi, è arrivato il momento di aprire una poderosa vertenza politica, sindacale, culturale sui cicli lavorativi e produttivi dominanti che ancora oggi generano quelle che Argentina Altobelli definiva «ingiustizie e sfruttamento capitalistico» a danno soprattutto delle donne.

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