Di recente il Governo USA ha inoltrato nei confronti di Google, il motore
di ricerca più usato al mondo, una richiesta alquanto bizzarra: l'accesso,
rapido, alle informazioni sulle ricerche compiute dagli utenti che utilizzano
Google.
Attimi di gelo nel mondo dell'informatica: Google è usato ogni
giorno da oltre un miliardo di persone distribuite su tutta la superficie del
pianeta, l'avere accesso a dati del tipo "cosa cerca in Internet ogni utente"
sarebbe la più grande violazione della privacy mai pensata nella
storia. In pratica sarebbe possibile catalogare e classificare gli interessi
di tutti gli utenti.
Google non ha esitato a rifiutarsi di consegnare tali dati al Governo.
In realtà, la cooperazione di un colosso dell'informazione del calibro
di Google è considerata dagli USA d'importanza fondamentale per
dimostrare la costituzionalità del "Child Online Protection Act",
una legge antipornografia abrogata nel 2004 dalla Corte Suprema, ma recentemente
"riesumata" dall'amministrazione Bush. Dagli uffici della Casa Bianca
affermano di avere bisogno di tali dati per dimostrare che i filtri anti-porno,
quelli che servono a non far andare i bambini sui siti vietati ai minori, non
funzionano e non sono sufficienti a impedire ai minorenni l'accesso alle pagine
a luci rosse presenti in Rete. Questa motivazione, che sa tanto di scusa, in piena epoca di "lotta globale
al terrorismo", ha fatto scattare più di un campanello d'allarme.
Il Governo ha più volte confermato che non si tratterebbe di un'operazione
di raccolta di dati personali, ma solo di un mezzo per creare una base dati
a sostegno della legge per la protezione dei minori. E' invece a repentaglio,
con tutta evidenza, la privacy di milioni di utenti, che sarebbero potenzialmente
riconoscibili attraverso il loro indirizzo IP e l'ora di collegamento.
Le prime a muoversi sono state le maggiori associazioni americane per la difesa
dei diritti civili, le quali - sia sul web che fuori - hanno immediatamente
contestato duramente questa iniziativa di violazione della privacy, accusando
la Casa Bianca di voler realizzare il più grande "Big Brother"
di tutti i tempi.
In prima linea contro il governo USA si trova la American Civil Liberties
Union (ACLU), convinta che tutto questo rientri nell'ennesima violazione
dei diritti alla privacy.
Ari Schwartz, direttore del Center for Democracy and Technology, non
si stanca di sostenere che questa chiamata in causa di Google sia vergognosa
e dichiara: "Siamo felici che Google stia resistendo e speriamo
che altri nella stessa situazione si comportino ugualmente".
Mentre Google si oppone, non fanno altrettanto altri colossi come Yahoo
e Microsoft, quest'ultima già finanziatrice delle campagne elettorali
di George W. Bush: interpellate dal ministero della Giustizia statunitense,
si sono dimostrate immediatamente più collaborative con il Governo, fornendo
liste parziali delle ricerche effettuate in rete dagli utenti e dichiarando
che la maggior parte dei dati consegnati, comunque, erano già di pubblico
dominio.
Anche in Italia qualcosa si è mosso: il 25 Gennaio scorso la Federazione
dei Verdi ha promosso un presidio di protesta chiamato "Free The Net"
all'ingresso dell'ambasciata degli Stati Uniti a Roma.
Poi il silenzio mediatico, mentre il braccio di ferro continua.
Da notare che questa azione dell'Amministrazione Bush avviene proprio mentre
alle Nazioni Unite si discute sul come andare verso una regolamentazione di
Internet che non dipenda dai Governi, anche grazie a numerosi appelli internazionali
per una Carta dei Diritti della Rete, primo tra tutti quello promosso dal ministro-musicista
brasiliano Gilberto Gil e dal professor Stefano Rodotà.
Senza la "collaborazione attiva" di Google, il Child Online
Protection Act potrebbe essere bloccato definitivamente. Per questo motivo
l'avvocato della Procura Generale degli Stati Uniti, Alberto Gonzales, ha depositato
presso la Corte Federale di San José una richiesta per l'acquisizione
dei dati archiviati da Google.
Nello specifico, tali dati, secondo una nota del Dipartimento di Giustizia,
"supporterebbero il Governo nel suo tentativo di comprendere i comportamenti
degli utenti Web e fornirebbero delle stime su quanti utenti si imbattano -
durante le ricerche - nei contenuti vietati ai minori".
Il Governo ha più volte affermato che non si tratta di un'operazione
di raccolta di dati personali, di un'operazione di schedatura di massa, ma ciò
non è affatto sufficiente per convincere il mondo a fidarsi, sbandierando
ancora una volta la lotta, tutta puritana e neoconservatrice, alla pornografia
come cavallo di battaglia.
La dirigenza di Google non si discosta da questa linea: "Questa
richiesta è non solo gravosa, ma ha anche un sapore tiranneggiante. Si
tratta di un'ingiustificata richiesta di dati. Vi è anche il pericolo
di spionaggio industriale. Google sarebbe costretta a rivelare quale
genere di informazioni normalmente decide di archiviare", ha fatto sapere
l'azienda attraverso il suo ufficio legale.
"A tratti", ha commentato Danny Sullivan, fondatore di Search Engine
Watch, "questa iniziativa sembra incomprensibile. La mole di dati sarebbe
incredibile. E poi, sganciata dalle connessioni con i dati personali a cosa
servirebbe? Non sapendo chi ha fatto le ricerche online cosa vorrebbero stimare?"
Anche ammettendo che il governo USA volesse in questa occasione dimostrare
soltanto l'importanza del Child Online Protection Act, ci troviamo in
ogni caso di fronte ad un caso estremamente delicato. Non solo si darebbe la
possibilità al Governo di realizzare per propri scopi, e poi di disporne
liberamente, di uno strumento di sorveglianza, ma si creerebbe un pericolosissimo
precedente: in futuro, ogni ulteriore nuova richiesta di dati personali, potrebbe
trovare piena giustificazione.
E se stavolta tocca ai sospetti consumatori di pornografia, a chi toccherebbe
in futuro? Ai dissidenti politici? A chi non è in linea con la politica
governativa? Solo la fantasia potrebbe porre limiti.
Non dimentichiamo che negli USA è stato di recente esteso il Patriot
Act, che permette al Governo di ottenere più facilmente le informazioni
personali. "Gli intenti della National Security Agency, legati al
Patrioct Act e la richiesta di informazioni riguardanti le ricerche degli utenti,
sono un abuso di potere che entra in conflitto con le libertà civili",
ha dichiarato I.M. Destler, docente di giurisprudenza presso l'Università
del Maryland.
Forse, dietro la pornografia, è in agguato proprio il Patriot Act.
Sospetto che salta all'occhio anche alla luce di certe dichiarazioni del portavoce
della Casa Bianca, Scott McClellan: "Gli americani vogliono che sia fatto
tutto ciò che è in nostro potere per prevenire attacchi terroristici".
Anche essere spiati?
Anche il trasmettere per conoscenza, al Governo, le proprie ricerche in rete,
tra cui magari quelle con il nome di un medico, o riguardanti il proprio stato
di salute? O le proprie opinioni politiche?
La battaglia è appena all'inizio.