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di Alessandro Iacuelli

La dichiarazione rilasciata in conferenza stampa da Attila Korodi, ministro dell'ambiente romeno, è di quelle che non lasciano ombre di dubbio: "La Romania non stoccherà i rifiuti di Napoli." Di fronte alle domande dei giornalisti, il ministro di Bucarest non ha problemi a motivare la scelta: "La Romania non ha nemmeno la capacità di stoccare correttamente i rifiuti che produce, quindi non riempiremo le nostre discariche con rifiuti provenienti da altri paesi". Si potrebbe dire che le parole del ministro siano in leggero contrasto con quanto annunciato qualche ora prima dalle autorità italiane, che intendono risolvere l'emergenza campana inviando rifiuti all'estero, in particolare proprio in Romania. Come se non bastasse, Korodi aggiunge anche di "non aver ricevuto alcuna richiesta ufficiale da parte italiana" riguardo all'autorizzazione di tale trasporto", proprio mentre dal ministero dell'Ambiente italiano si fa sapere che raccogliendo una richiesta di auto del sindaco Iervolino, una commissione tecnica si recherà nei prossimi giorni a Bucarest per esaminare la fattibilità della proposta italiana. Che l'idea di mandare rifiuti all'estero sia rimasta una delle ultime vie percorribili, è chiaro anche a chi conosce il problema appena superficialmente: le infrazioni italiane, in particolare campane, presso l'Unione Europea per la gestione "casalinga" di discariche esaurite, non messe in sicurezza e poi riaperte da Bertolaso, hanno costi talmente elevati da superare, forse anche abbondantemente, i costi del trasporto all'estero dei rifiuti. Ma il problema è un altro, ed è sempre il solito: chi gestisce i rifiuti, chi e come li trasporta, che evenutali secondi fini potrebbero esserci.

Il primo problema che si pone, è quello del trasporto. Se si vuole inviare rifiuti all'estero, c'è da fare scelte molto precise, per evitare che ci siano infiltrazioni mafiose nel grande affare (pagato con denaro pubblico). Il trasporto non dovrebbe assolutamente avvenire su gomma, visto che si tratta di un settore sotto totale controllo camorristico. Dovrebbe avvenire o su rotaia, o al limite via mare, ma in questo caso andrebbero usati solo operatori pubblici, e non misteriosi armatori privati, se non si vuole tornare indietro nel tempo fino al decennio delle "navi dei veleni", navi a perdere caricate di scorie e fatte affondare qua e là nel mediterraneo.

Il rischio è che coinvolgendo in modo poco trasparente e frettoloso, come avviene sempre in situazioni di emergenza come quella campana, certi privati, le fette di torta più grandi finiscano ancora una volta nelle tasche dei clan specializzati in rifiuti. Oltre questo, ci sarebbe da chiedersi perchè proprio la Romania. Probabilmente è opportuno chiederselo, al di là del fatto che, come ricordato dallo stesso ministro Korodi, la Romania ha visto riconosciuto dall'Unione Europea "il diritto di rifiutare lo stoccaggio o l'incenerimento sul proprio territorio di rifiuti di qualunque tipo fino al 2015".

Per iniziare a farsi un'idea di cosa stia succedendo, torniamo indietro di qualche giorno, e ritorniamo alle giornate intense di Serre, nel salernitano, dove popolazione, sindaci e comitati civici si sono contrapposti alla polizia ed all'esercito all'ingresso di Valle della Masseria, dove secondo il commissario Bertolaso andava assolutamente aperta una discarica. In quei giorni, molti oratori anche abbastanza "titolati", compresi senatori e deputati, hanno non solo messo in campo l'ipotesi di mandare rifiuti all'estero, ma hanno anche ammesso che c'erano trattative in corso con Slovenia e Croazia. Come, nel giro di pochi giorni, sia apparsa l'ipotesi romena sembra un mistero. Mistero che invece è facile da svelare: basta tornare indietro nel tempo di due anni, quando si aprì per la prima volta la via di Bucarest, e non per il commissariato di governo.


Il 16 marzo 2005, una delegazione di imprenditori, tutti rigorosamente privati, partirono in "missione economica" in Romania. Undici le aziende, tutte campane, partecipanti. Ambiente, edilizia e nuove tecnologie i principali settori interessati. La missione si è sviluppata dal 16 al 19 marzo, con incontri di affari, la partecipazione alla Fiera Romenvirotec con un apposito stand, ed una Tavola rotonda sul tema "Investire in Romania: Ragioni e Opportunità". A quella Tavola Rotonda parteciparono, tra gli altri, il Ministro per le attività delle Piccole e Medie Imprese, il Ministro dell'Ambiente e della Tutela delle Acque ed il Ministro dell'Economia e del Commercio, tutti del governo romeno.

Il motivo? Semplice, come dichiararono gli stessi organizzatori: “il Paese rumeno offre numerose opportunità e, in previsione del suo ingresso nell'Unione Europea nel 2007, le piccole e medie imprese che si affacciano oggi a questo mercato potrebbero trovarsi con un elemento di competitività importante, in meno di due anni". "Il mercato rumeno è fertile ed attualmente vi operano il 29,9 per cento di aziende italiane. Di queste, il 3,5 per cento è costituto da aziende campane, in Romania da più di dieci anni", dichiarò un imprenditore alla chiusura della missione. Ma il problema di fondo è che tra le 11 imprese campane andate in Romania quel giorno, e che poi hanno iniziato a fare affari con Bucarest, ce ne sono abbastanza che sono state e sono tuttora coinvolte in inchieste giudiziarie in tema di ecomafie e quindi oggetto di ostative prefettizie ai sensi della legislazione antimafia italiana. Legislazione, quella antimafia, che invece in Romania non esiste. Preoccupa particolarmente il fatto che vi abbia partecipato, proprio per il settore ecologia-ambiente, qualcuno reputato dalla magistratura e dalla DDA contiguo ad uno dei più feroci clan di camorra del napoletano.

Vediamo invece cosa accade sul fronte sloveno e croato, quello che era stato paventato inizialmente. Anche in Slovenia e Croazia, soprattutto nel settore ecologico, è un via vai di imprese italiane, che approdano in quei territori ed investono grossi capitali. Per motivi geografici (è ovvio che le brevi distanze fanno abbassare i costi di trasporto) tutto il settore adriatico dell'ex-Yugoslavia è popolato di imprese sostanzialmente del triveneto, con alcune eccezioni di aziende venete. Non sempre si tratta di aziende "immacolate", dal punto di vista ecologico, come è il caso della Servizi Costieri di Cittadella (PD), ancora oggi oggetto di infinite indagini, sequestri e dissequestri da parte della magistratura, aventi per oggetto molti punti oscuri nella gestione dei rifiuti speciali che stoccava; ma in ogni caso si tratta di aziende che non provengono da una regione "a tradizionale presenza mafiosa" come la Campania.

Le aziende campane poco pulite, hanno scelto la Romania due anni fa ed appare alquanto sospetto che dopo la proposta di Slovenia e Croazia (proposta fatta non a caso, ma nata proprio dal tentativo di non cedere altri affari ad imprese di camorra) all'improvviso la scelta cada proprio sulla Romania. Troppo sospetto. Come dichiarò già nel 2002 il senatore Novi in sede di commissione Antimafia, "non ci si può interrogare sui sistemi criminali italiani senza capire qual è il ruolo di alcuni paesi come la Romania." Oltretutto, si tratta di un Paese che è appena entrato in Unione Europea, con tutte le facilitazioni doganali che questo comporta, senza però avere ancora una legislazione ambientale secondo gli standard europei e anche senza una legislazione antimafia.

Forse qualcuno sta contando molto sulla poca memoria storica degli italiani e soprattutto dei campani, nel tentativo di far rientrare dalla finestra romena chi è uscito dalla porta delle ostative antimafia. Per questa volta, ha risolto il ministro Korodi, rifiutando di accettare rifiuti napoletani in discariche romene, gestite da società dove già sono presenti capitali campani. E domani?