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di Alessandro Iacuelli

C'è voluto il coraggio della satira di Antonio Albanese in una puntata della trasmissione televisiva "Che tempo che fa", per sentire finalmente la frase: "La finta emergenza rifiuti campana". Finta perchè dura da 14 anni, finta perché lo stato di emergenza in Italia è usato spesso e volentieri per gestire i soldi pubblici tramite contabilità semplificata. Finta perché già dal 2002 si denuncia l’aperto boicottaggio della raccolta differenziata da parte del Commissariato di governo per l’emergenza rifiuti, che ha difeso direttamente e apertamente gli interessi economici della FIBE, interessata ad incenerire il più possibile in un impianto che poi non è riuscita a costruire. Finta perché è dal 2003 che è in atto il tentativo criminoso di occultare la più grave tossicosi ambientale mai verificatasi in Europa, localizzata in una zona a cavallo tra le province di Napoli e Caserta. Finta perché dietro l’emergenza si celano altre due catastrofi: quella ambientale e quella sanitaria. Il primo studio di tipo sanitario effettuato nella zona risale al 2002, e si è svolto nel distretto ASL di Giugliano. Secondo tale studio, i decessi per malattie tumorali sono saliti fino a 31,4 ogni centomila abitanti, in quel Comune. Anche l’agro aversano soffre delle pesanti conseguenze, basti pensare che i casi di tumore per i quali è stata chiesta l’esenzione dal ticket sono passati da 131 casi a 560 in soli tre anni (1996-1999). Soltanto nel 2005, il Dipartimento della Protezione Civile ha commissionato un apposito studio statistico riguardante l’impatto sulla salute umana del trattamento dei rifiuti, studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Osservatorio Epidemiologico Regionale, l’ARPA Campania e l’ESA (Epidemiologia Sviluppo Ambiente).

Sono state studiate 20 cause di morte, tra cui la mortalità per tutte le cause, quella per tutte le cause tumorali e quelle per un insieme di cause di morte tumorali specifiche, spesso associate dalla letteratura scientifica alla presenza di discariche di rifiuti o di inceneritori sul territorio circostante. I risultati sono stati resi noti in via definitiva nell’aprile 2007.

Queste analisi hanno consentito l’identificazione di un’area nella quale la mortalità generale e i tassi specifici per diverse patologie tumorali sono molto elevati. Elevati al punto da non poter essere considerati casuali. Questa area è a cavallo tra le province di Napoli e Caserta. In particolare coincide con la parte sud-orientale della provincia casertana, investendo i comuni di Aversa, Capodrise, Casagiove, Casal di Principe, la stessa Caserta, Castel Volturno, Marcinise, San Cipriano d’Aversa, Santa Maria Capua Vetere, San Nicola la Strada e Villa Literno. Sul versante napoletano, è interessata tutta l'area settentrionale della provincia, in particolare i comuni di Acerra, Afragola, Arzano, Caivano, Casoria, Frattamaggiore, Giugliano, Marano, Marigliano, Melito, Mugnano, Pomigliano d’Arco, Sant’Antimo e Volla.

Le conclusioni dello studio sottolineano, anche da confronti con altri studi precedenti fatti limitatamente al triangolo Giugliano, Qualiano, Villaricca, che dove c’è una significativa presenza di discariche, per lo più illegali, si sono verificati significativi incrementi della mortalità per tumori, con particolare riferimento a polmone, laringe, vescica, fegato.

Tutto questo non prova nulla in modo assoluto. Infatti, non è dimostrabile un legame scientifico certo tra il fenomeno dello smaltimento abusivo di rifiuti e le insorgenze tumorali. Tuttavia, in letteratura scientifica esistono da anni molti studi che legano, spesso statisticamente, le insorgenze tumorali a determinate sostanze, oramai riconosciute come agenti cancerogeni primari. Ad esempio per gli idrocarburi e le diossine, sono stati riconosciuti anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità gli effetti cancerogeni.

E’ anche il caso degli idrocarburi policiclici aromatici, come il benzene e il benzopirene, il 4-amino-bifenile e l’acrinonitrile, dette sostanze sono chiamate “carcinogene” o “iniziatrici”, in quanto da sole possono provocare un tumore. Per crescere e affermarsi hanno bisogno però di altre sostanze, dette “co-carcinogene”, come le mitrosamine o il nickel. Questo giusto per citare non delle sostanze generiche, ma solo sostanze che sono state ritrovate nelle discariche abusive della Campania. E proprio l’abbondanza di questi materiali tossici ha portato la regione non solo in uno stato di emergenza rifiuti, ma soprattutto in una grave emergenza ambientale, che si sta trasformando in emergenza sanitaria. Gli studi epidemiologici più recenti lo dimostrano.

Sul versante dell’emergenza ambientale, basta citare le cifre rese note nel “Dossier Rifiuti” di Legambiente: otto clan che gestiscono gli affari, 1088 reati accertati, 509 sequestri effettuati per un valore di oltre 18 milioni di euro negli ultimi cinque anni. Ed è solo la punta d’iceberg. Solo quel che è stato scoperto. Difficile stimare l’entità di quanto è ancora sommerso. Sempre in Campania sono, secondo l’ultimo censimento dell’APAT, ben 814 i siti da bonificare, occupati da circa 3 milioni di metri cubi di rifiuti. Numeri che alimentano gli appetititi della criminalità organizzata, pronta a lanciarsi anche nell’affare delle bonifiche.

Già nel 2005 erano emersi chiaramente tutti gli intrecci politico-affaristici sulla vicenda campana, come già era noto da tempo il diretto interesse camorristico nei trasporti, nella locazione dei siti, in tutta la filiera del trattamento dei rifiuti, oltre che ovviamente, nel sempre più intensivo mercato illegale dei rifiuti tossici. Ora, dopo 14 anni, la situazione è arrivata al limite dell’ingestibile anche per il governo nazionale, che si vede messo alle strette da Bruxelles, ed invia a Napoli Gianni De Gennaro nel tentativo di trasformare l’emergenza rifiuti in una questione di ordine pubblico.

Eppure, se venisse fatta una mappa dei rapporti di parentela e di interesse tra le aziende private, coinvolte nel settore dei rifiuti sia urbani che speciali e chi ha governato l’emergenza a livello regionale e nazionale, si scoprirebbe quel che in certi casi la magistratura ha scoperto davvero: una fitta rete di parentele, di sangue o di partito. Ed altre sorprese interessanti le si otterrebbero rendendo pubblici i nominativi dei proprietari e dei consigli di amministrazione delle aziende coinvolte nella raccolta dei rifiuti. Ma questo probabilmente non lo si farà, perché in questo modo si scoprirebbe la verità. E finirebbe la cuccagna.