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di Carlo Musilli

Invece di prendere provvedimenti per migliorare la qualità dell'aria, hanno passato il tempo a friggerla. Per due settimane i rappresentanti dei 193 stati riconosciuti dall'Onu si sono riuniti a Cancun per discutere della situazione climatica del pianeta. I due documenti presentati al termine del summit sono più che altro dichiarazioni d'intenti, nemmeno troppo altisonanti. Sapevamo di non poterci aspettare un vero e proprio trattato, ma il vertice non ha prodotto nemmeno un singolo provvedimento vincolante. Niente di realmente operativo, niente di nuovo.

A ben vedere, messa da parte la questione ambientale in senso stretto, l'unico vero successo si registra sul piano della diplomazia. Il "Cancun Act" riporta il dibattito nella logica multilaterale dell'Onu, archiviando il disastroso accordo raggiunto a Copenaghen l'anno scorso, che era stato siglato da soli 80 paesi.

Stavolta, invece, le firme sono ben 192. Tutto il mondo attribuisce il merito di questo risultato alla messicana Patricia Espinosa Cantellano, che ha presieduto il summit. Fine diplomatica, la Castellano è stata in grado di mettere d'accordo esigenze diverse come quelle di Cina, Stati Uniti, Unione Europea e Giappone. Esaltati da questo clima di rinnovata concordia, molti sostengono che il "Cancun Act" abbia aperto la strada a un accordo globale e legalmente vincolante, che potrebbe essere scritto e firmato l'anno prossimo al vertice di Durban, in Sudafrica.

Gli apologeti dell'ultima ora dimenticano però che quel testo doveva essere siglato già l'anno scorso, a Copenaghen. L'unica certezza di oggi è che ancora non abbiamo nulla in mano, anche perché la nuova intesa è stata raggiunta solo grazie a un accordo scialbo e privo d'incisività.

La Bolivia è stata l'unico Paese al mondo a rifiutare il "Cancun Act". Pablo Solon, il negoziatore inviato da La Paz, si è ostinatamente rifiutato di firmare il documento, da lui considerato un'autorizzazione all' "ecocidio".  Eppure stavolta si erano convinti a collaborare perfino i suoi alleati dell'Al.ba (Alternativa Boliviana), gruppo contestatore dei vertici sul clima. Niente da fare, per Solon il testo continua ad essere troppo debole, prostrato agli interessi degli Stati Uniti. Inoltre, la Bolivia non ha gradito la scarsa attenzione riservata al summit di Cochabamba, dove lo scorso aprile i rappresentanti di 142 paesi avevano raggiunto un accordo sulle misure da adottare contro l'effetto serra. Le loro proposte sono state del tutto ignorate a Cancun.

Non sarà un grandissimo negoziatore, ma Solon non ha tutti i torti. Per gonfiare i risultati del vertice di Cancun, in questi giorni si sta celebrando come grande novità il "Green Climate Fund", che in realtà era già stato concepito nel 2009 a Copenaghen. Si tratta di un fondo che, a partire dal 2020, raccoglierà ogni anno 100 miliardi di dollari donati da Stati Uniti, Giappone e Unione Europera. Nel triennio 2010-2012, invece, saranno stanziati 30 miliardi per le situazioni più urgenti. I soldi serviranno ad incentivare la produzione di tecnologie pulite nei paesi in via di sviluppo. Un'iniziativa importante, se si considera che il protocollo di Kyoto non obbliga questi paesi ad alcun taglio delle emissioni.

A gestire il fondo fino al 2013 sarà la Banca Mondiale, che si doterà di un direttorio composto da rappresentanti di 24 paesi, equamente divisi fra nazioni sviluppate e in via di sviluppo, a cui si affiancheranno membri di alcuni piccoli stati insulari a rischio. Oltre al varo del "Green Climate Fund", il summit ha inoltre stabilito la creazione di un Comitato tecnologico e di un Centro per la Tecnologia Climatica, che avrà il compito di allestire una rete globale per lo sviluppo sostenibile. Stop. La pars costruens finisce qua.

Per il resto, il "Cancun Act" esorta i paesi ricchi a tagliare le emissioni entro il 2020 da un minimo del 25 a un massimo del 40% rispetto ai livelli del 1990. Ma questo punto è già discusso in un tavolo di lavoro sul Protocollo di Kyoto, quindi non coinvolge gli Usa, che hanno sempre rifiutato di firmare il trattato. In ogni caso, si tratta sempre e solo d’impegni volontari, sulla fiducia.
Fra le varie iniziative ribadite a Cancun, inoltre, figura il programma "Redd+" contro la deforestazione tropicale, una delle cause principali dell'effetto serra. In via secondaria, già che ci si trova a dover smettere di deforestare, il documento invita anche a rispettare i diritti delle popolazioni indigene.

Nel frattempo, sulla Terra, la concentrazione media di CO2 nell'aria è di 390 parti per milione, ben superiore alla soglia di sicurezza, indicata dagli scienziati di mezzo mondo a 350. Oltre quel limite, infatti, il riscaldamento dell'atmosfera è superiore a 1,5 gradi Celsius e potenzialmente disastroso. Ci sarebbe di che preoccuparsi, ma a Cancun ha prevalso ancora il pragmatismo: Connie Hedegaard, la commissaria europea per il clima, ha sottolineato per l'ennesima volta la "volontà comune" di "contenere l'aumento della temperatura media planetaria entro 2 gradi". Intanto, una commissione speciale studierà un modo per arrivare a 1,5 e salvare così il pianeta.

Tutto rimane aleatorio, tutto è rinviato. Ancora non si sa nemmeno se il Protocollo di Kyoto conoscerà davvero una seconda fase, eppure il suo primo obiettivo (la riduzione del 5% delle emissioni rispetto al 1990) scadrà già nel 2012. Ogni cosa rimane nella dimensione rassicurante degli auspici, delle esortazioni. A Cancun si è svolto un summit essenzialmente politico, che non ha risolto niente. Continuiamo a respirare la stessa aria, aspettando Durban.