Sono ancora una volta gli ultimi, i più fragili ma, forse, quelli con una umanità più marcata, ad attrarre il racconto e la penna di Ascanio Celestini, che torna a teatro con Pueblo. Accompagnato dalle musiche originali composte da Gianluca Casadei, Celestini crea un nuovo ritratto dei margini della società e invita lo spettatore a identificarsi con i suoi protagonisti.

 

 

Una umanità fatta di personaggi che vivono una condizione sociale particolare, ma che, al di là di questo, affrontano la propria condizione di esseri umani.

 

Lo spettacolo, andato in scena al Teatro Secci di Terni, mette al centro della narrazione Violetta, una giovane donna che lavora in un supermercato. Non le piace il lavoro che fa, alla cassa, dove fatica anche ad alzarsi per andare al gabinetto. Così immagina di essere qualcun altro. Una regina che sta seduta su un trono. Nella sua immaginazione anche il mondo che si trova fuori dal supermercato è un reame, pieno di gente interessante che lei incontra e che le racconta storie e le porta doni.

 

Una barbona, Domenica, che rimpiange un uomo al quale ha voluto molto bene, un africano, facchino in un grande magazzino. E poi il padre di Domenica, scomparso quando lei era molto piccola o uno zingaro, che ha conosciuto quando era bambina e che le ha insegnato a rubare. Poi lo ha rincontrato da grande, ma le cose sono andate diversamente. Ora la riempie di botte e i suoi baci non sono più quelli innocenti dell'infanzia.

 

Sono tutti personaggi con storie diverse, ma che interagiscono tra di loro, che sono uniti da fili invisibili e legati attraverso un altro personaggio chiave del racconto: una ex prostituta proprietaria di un bar di periferia, di quelli con le slot machine, dove in qualche maniera tutti finiscono.

 

Lo sguardo del racconto è esterno, quasi come se si guardasse da una fessura, per capire o immaginare quella che è la vita di ogni singolo protagonista. Tanto che la supposizione si incastra con la realtà.

 

“A me interessava raccontare la storia di un luogo che normalmente conosciamo solo quando vi accade qualcosa di scandaloso, di tremendo, di violento - spiega Celestini - quando quello che accade, insomma, si trasforma in una notizia. E invece questo posto può essere osservato semplicemente perché esiste ogni giorno e non solo quando i fatti si trasformano in notizie. Qui abitano personaggi con un’umanità molto evidente il cui tratto principale è la debolezza. Sono deboli anche quando sono violenti, sono deboli anche quando sono cattivi, sono deboli anche quando sono colpevoli.”

 

Celestini, fra i più rappresentativi del teatro di narrazione, ritorna così a calcare la periferia, il bar, la strada. Ovvero quei luoghi in cui pulsava la vita della sua precedente creazione Laika. Lo fa ancora una volta coinvolgendo sentimenti ed emozioni, suscitando interrogativi e mettendo in atto una denuncia sociale precisa e meticolosa, che non lascia nulla al caso.

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