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di Emanuele Vandac

Se fosse un film dell’orrore, si potrebbe intitolare: “Tutti insieme, distruttivamente, contro l’Euro”. La regia sarebbe affidata a personaggi molto difficili da identificare, che hanno deciso che per far fare ai fondi che gestiscono un’altra vagonata di quattrini, l’idea più simpatica del momento è far saltare le economie di un intero continente, facendo leva sull’inconsistenza politica e la miopia delle istituzioni (Governi locali, Unione Europea, Banca Centrale Europea).

A dare una mano ai registi arrivano con encomiabile tempismo le agenzie di rating, inspiegabilmente ancora ascoltate dai mercati nonostante le molte pessime figure inanellate, soprattutto ai tempi della crisi del 2008: secondo S&P, per dire, ad una settimana dal suo fallimento ufficiale, quell’esempio di virtù finanziarie che si chiamava Lehman Brothers ancora aveva un rating A, ovvero di investment grade. Se non bastasse, è bene ricordare che sono stati i professorini dei mercati ad assegnare rating a tripla A ad un mucchio di prodotti spazzatura, talmente complicati che probabilmente nemmeno i loro analisti più geniali riuscivano capirli.

In questi giorni è molto trendy dare addosso all’Italia, e Standards & Poor’s non perde occasione di dimostrare quanto sia à la page: così ieri ha comunicato di aver peggiorato il suo “outlook” su 15 banche italiane, sette delle quali (tra cui Unicredit, Intesa Sanpaolo, BNL e Mediobanca) hanno subito anche un contestuale downgrade. Per i cervelloni dell’agenzia di rating, si tratta di un atto quasi dovuto, causato dalla notevole quantità di titoli di stato italiani nell’attivo dei loro bilanci (Unicredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi di Siena ne detengono, tutte assieme, poco meno di 130 miliardi di euro): a memoria d’uomo questa sembra proprio la prima volta in cui una banca viene penalizzata per aver fatto qualcosa di utile per il Paese.

L’atteggiamento delle agenzie rating sembra condizionato dagli errori del passato e dal timore di essere nuovamente accusate di aver riposato tra le braccia di Morfeo mentre il mondo andava in fiamme. Eppure, sul piano strettamente tecnico, non è d’immediata comprensione la ragione per la quale S&P abbia deciso ad esempio di penalizzare Mediobanca, che ha uno dei rapporti di capitalizzazione più forti (il suo Tier 1 Ratio, ovvero il rapporto tra patrimonio e attività ponderte per il rischio supera ’11%). Senza contare che il bilancio di Mediobanca al netto di deprezzamenti di asset per circa 240 milioni di euro, ha comunque chiuso in positivo.

O, se è per questo, non abbia tenuto in considerazione il fatto che Intesa Sanpaolo ha portato a termine ad aprile la sua ricapitalizzazione per 5 miliardi di euro; né che i titoli di stato italiani nel suo portafoglio abbiano una duration (vita residua ponderata) sotto i due anni. E che dire del downgrade di BNL, controllata da BNP Paribas, che però mantiene un rating più elevato? E chi l’avrebbe mai creduto che la forte europeizzazione di Unicredit, molto forte in Germania e nell’Est Europeo, tanto elogiata dagli analisti ieri, oggi divenisse una delle cause dichiarate del declassamento?

Insomma, ci sarebbe molto da dire sul come e soprattutto sul perché di questi downgrade, che si inscrivono nel tradizionale senso del gregge che contraddistingue normalmente i “mercati” finanziari. Eppure Mussari, il presidente ABI ha dichiarato candidamente che i declassamenti delle banche italiane non costituiscono un vero problema, dato che le banche in questione “avevano rating elevati” (sic!). Sembra insomma che Mussari non abbia alcuna intenzioni di combattere a spada tratta per difendere le virtù indiscutibili delle banche italiane, ed in particolare la loro relativa robustezza (conquistata, è certo, a prezzo di un immobilismo e di una prudenza che hanno contribuito a surgelare il Paese, sia chiaro).

Egli sembra più interessato a mettere le mani sul patrimonio dello Stato, che vorrebbe dismesso in quattro e quattr’otto per pagare i debiti. Strano che un uomo di finanza come lui non si renda conto che più che di vendita qui si tratterebbe di svendita a forte sconto: oppure dobbiamo pensare che le banche italiane abbiano fiutato il vento favorevole per qualche saldo di fine stagione?