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Ora che il governo tedesco è formato, in Europa si può discutere apertamente di come modificare il Patto di Stabilità. I tempi sono maturi anche perché da gennaio inizia il semestre di presidenza francese dell’Ue e sarà proprio Emmanuel Macron – con la sponda di Mario Draghi – a portare sul tavolo di Bruxelles la più ambiziosa delle proposte di riforma.

Il testo circola in modo informale nei ministeri economici di mezzo continente e si articola in tre punti.

 

Il primo riguarda la cosiddetta “golden rule”, espressione volutamente oscura e usata negli anni per indicare cose diverse. In questo caso, la regola d’oro consiste nella possibilità di scorporare dai calcoli di deficit e debito gli investimenti per la tutela dell’ambiente e la transizione digitale. È una mossa furba, un espediente per aggirare la discussione sul tetto del 3% al deficit/Pil, che ormai rappresenta una specie di dogma religioso capace di polarizzare il dibattito fra eretici e ortodossi.

Il punto due, invece, tira una picconata diretta alla seconda regola più nota del Patto, quella in base alla quale ogni Paese deve ridurre di un ventesimo l’anno la parte del proprio debito pubblico che eccede il 60% del Pil.

Per superare questa norma - ed eccoci arrivati al terzo punto - la proposta macroniana è di concedere a ogni Paese la possibilità di negoziare con la Commissione europea un piano di rientro per il debito. Come dire, un abito su misura invece della divisa a taglia unica che finora è stata imposta a tutti, a prescindere dalla corporatura.

A guardarlo così, senza troppi dettagli, quello dell’Eliseo non è certo un piano rivoluzionario, ma un esercizio di realpolitik. L’assunto di partenza è che il Patto di stabilità concepito sulla scorta di Maastricht non va più bene. Al momento è sospeso fino alla fine del 2022, ma se tornasse in vigore senza modifiche costringerebbe i governi a manovre d’austerità che porterebbero l’ennesima recessione. E stavolta non sarebbero nei guai solo i Mediterranei scapestrati (ricordiamo che la Grecia, dopo la cura del rigore, ha il debito al 190% del Pil), ma anche gli austeri nordici, perché il Covid ha costretto tutti ad aumentare in modo colossale spesa e indebitamento. Senza contare poi i Pnrr, che contengono progetti d’investimento chiaramente incompatibili con le rigidità di Maastricht.

Macron vorrebbe portare a Bruxelles un documento già sottoscritto da un gruppo di Paesi, così da avere maggiori probabilità di convincere anche i più riluttanti. L’adesione di Italia e Spagna è scontata, ma il Presidente francese è convinto di poter ottenere anche i via libera del neocancelliere tedesco, Olaf Scholz, e del premier olandese Mark Rutte. Sembra una missione impossibile, ma da Amsterdam una prima schiarita è arrivata: il boss dei Frugali ha da poco nominato un governo che pare avere un approccio economico meno rigido del precedente.

Quanto alla Germania, il vero problema è che – per mettere in piedi la maggioranza – Socialdemocratici e Verdi non solo hanno dovuto appoggiarsi ai Liberali, ma anche concedere loro un ministero decisivo come quello delle Finanze. La poltrona è finita al falco rigorista Christian Lindner, che per la verità, fin qui, è apparso piuttosto cordiale: non solo ha ammesso che la riforma del patto è necessaria, ma ha anche detto che Berlino deve mediare tra Frugali e Mediterranei. L’affermazione è curiosa, visto che di solito i tedeschi trattano i Frugali alla stregua di sherpa himalaiani o caddie da golf, usandoli come clava negoziale contro Parigi, Roma e Madrid. Forse, per capire in che direzione andrà l’Europa, dobbiamo aspettare che Herr Lindner si tolga dalla faccia la maschera cordiale dell’ultimo arrivato.