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di Michele Paris

L’avvicendamento alla guida del governo britannico dopo il clamoroso esito del voto sulla “Brexit” sembra avere innescato un riallineamento strategico ed economico da parte di Londra che minaccia di azzerare gli sforzi dell’ex premier, David Cameron, e del suo Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, per inaugurare quella che è stata definita come “un’era dorata” nelle relazioni con la Cina.

Il segnale finora più chiaro della possibile inversione di rotta da parte del nuovo primo ministro, Theresa May, è giunto la settimana scorsa, con il rinvio dell’approvazione di un accordo per la costruzione di una nuova centrale nucleare in Gran Bretagna, da finanziare con capitali francesi e cinesi.

Il progetto del nuovo impianto era stato ideato più di un decennio fa, ma solo recentemente il governo Cameron aveva agito concretamente per accelerarne la realizzazione. I lavori per la centrale dovrebbero iniziare nel 2019 e finire nel 2025. La costruzione e il finanziamento erano stati affidati per i due terzi alla compagnia francese EDF (Électricité de France), all’84,5% di proprietà pubblica, e il resto alla cinese CGN (China General Nuclear Corporation), anch’essa di proprietà statale.

La centrale dovrebbe chiamarsi “Hinkley Point C” e sorgere nel Somerset, nel sud-ovest dell’Inghilterra, a un costo complessivo di circa 18 miliardi di sterline e con una capacità di 3.200 megawatt, pari a circa il 7% del fabbisogno energetico britannico.

Il governo May ha sospeso la decisione sulla centrale con tempismo e modalità sospetti che hanno fatto infuriare sia la Francia sia la Cina. Il ministro dell’Energia, Greg Clark, aveva annunciato nella serata di giovedì scorso la volontà di studiare nuovamente il progetto e di esprimere un parere definitivo il prossimo autunno, nonostante per la mattina successiva fosse già stata organizzata una cerimonia sulla costa del Somerset che avrebbe dovuto fare da sfondo alla firma di un contratto vincolante tra le parti coinvolte.

Non solo, poche ore prima dell’annuncio del governo Conservatore, il consiglio di amministrazione di EDF aveva approvato con una maggioranza di 10 voti a 7 il progetto della centrale, superando forti riserve su costi e possibili problematiche tecniche.

La risposta cinese alla decisione del governo di Londra è stata affidata principalmente ai media ufficiali, come l’agenzia di stampa Xinhua, sul cui sito web è apparso questa settimana un commento nel quale si prospettano complicazioni nelle relazioni bilaterali e il possibile “ripensamento” degli investimenti di Pechino in Gran Bretagna. Per il governo cinese, la centrale di Hinkley Point risulta di estrema importanza. Il progetto, anche se in compartecipazione, è stato il primo di una compagnia cinese nel settore nucleare in Occidente e un’eventuale riuscita potrebbe garantire accordi simili in altri paesi.

Per molti commentatori, la centrale ha comunque buone possibilità di essere realizzata, visto lo stato avanzato dei piani di costruzione e il numero di posti di lavoro che essa offrirebbe in Gran Bretagna. Tuttavia, il rinvio della firma sul contratto è indubbiamente un segnale molto chiaro indirizzato da Londra a Pechino, cioè che il nuovo governo potrebbe non continuare a percorrere la stessa strada di quello precedente nei rapporti con la Cina.

La compagnia cinese CGN ha altri progetti in corso in Gran Bretagna e da essi potrebbe quindi vedersi esclusa se il governo May dovesse irrigidire le proprie posizioni nei confronti della Cina. Per la costruzione della centrale nucleare “Sizewell C”, nel Suffolk, CGN prevede una partecipazione del 20%, mentre l’80% sarebbe sempre della francese EDF. Le parti sono invertite invece per il progetto, sia pure ancora nelle primissime fasi, di “Bradwell B”, nell’Essex, dove CGN intende partecipare al 66,5% e fornire tecnologia cinese.

Il comportamento di Theresa May risponde ai timori di quanti, tra la classe dirigente britannica, ritengono che Cameron e Osborne siano andati troppo in là nell’offrire a un paese come la Cina il controllo di impianti e infrastrutture in settori sensibili come quello energetico.

Il precedente governo Conservatore aveva evidentemente suscitato parecchie perplessità in patria e non solo nel mettere in atto politiche che avevano fatto o ambivano a fare della Gran Bretagna il principale partner europeo di Pechino. Le frustrazioni di questi ambienti erano state in qualche modo espresse da un’insolita uscita della regina Elisabetta durante una visita a Londra del presidente cinese, Xi Jinping, nell’ottobre del 2015.

L’episodio, catturato da una telecamera e reso pubblico lo scorso maggio, era stato definito accidentale dai media britannici ma è in realtà apparso attentamente studiato per richiamare l’attenzione sia del governo Cameron sia di Pechino. La sovrana, nel corso di un ricevimento ufficiale, aveva cioè manifestato la propria insofferenza nei confronti della delegazione cinese, definendola “molto scortese” verso l’ambasciatore britannico.

Le scelte di Cameron avevano incontrato inoltre la disapprovazione anche del governo americano, risentito in particolare per la decisione di Londra nella primavera dello scorso anno di partecipare alla fondazione della Banca Asiatica per le Infrastrutture e gli Investimenti (AIIB) nonostante gli avvertimenti contrari di Washington. Questo organismo è stato lanciato dalla Cina principalmente per sostenere il colossale progetto di integrazione economica euro-asiatica promosso da Pechino e si pone in competizione con istituzioni come la Banca Mondiale o la Banca Asiatica per lo Sviluppo, tradizionalmente dominate dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

La decisione sulla centrale nucleare di Hinkley Point del governo May non è sorprendente se si considera l’attitudine del nuovo primo ministro verso la Cina. Ministro dell’Interno con Cameron per sei anni, Theresa May durante le riunioni di gabinetto aveva espresso in varie occasioni le proprie riserve sull’apertura di alcuni settori strategici del mercato britannico alle compagnie cinesi.

Accordi come quello siglato da British Telecom con il gigante Huawei avevano ad esempio messo in allarme l’allora ministro, il cui capo dello staff, Nick Timothy, nel pieno della visita del presidente cinese Xi dello scorso anno scriveva su un sito filo-Conservatore dei rischi per la sicurezza britannica derivanti dal controllo di impianti strategici nel settore energetico da parte di Pechino. Timothy descriveva la Cina come un “paese ostile”, mentre “il commercio e gli investimenti” con quest’ultimo, per quanto ingenti, non potevano giustificare il “facile accesso a infrastrutture cruciali” per la Gran Bretagna.

I sospetti della May nei confronti della Cina sono dovuti probabilmente ai noti legami stabiliti con l’apparato militare e dell’intelligence britannico. In un’intervista al Sunday Telegraph, Vince Cable, ex ministro Liberal Democratico nel governo di coalizione di David Cameron tra il 2010 e il 2015, ha recentemente rivelato i “pregiudizi” di Theresa May verso la Cina e, in particolare, per gli investimenti cinesi in Gran Bretagna.

Cable racconta ad esempio di come le riserve della May sull’allentamento delle restrizioni per l’ottenimento dei visti d’ingresso in Gran Bretagna da parte di uomini d’affari cinesi fossero state superate solo con l’intervento di Cameron e Osborne. In generale, spiega Cable, l’attuale primo ministro aveva un atteggiamento più sospettoso verso la Cina, “in linea con le posizioni americane”. Di conseguenza, anche la questione della centrale di Hinkley Point fu oggetto di critiche da parte della May quando questa venne discussa all’interno del gabinetto.

Per attenuare i contraccolpi della recente decisione sulla centrale nucleare, una portavoce del primo ministro ha affermato questa settimana che Londra intende “continuare a perseguire relazioni solide con la Cina”. L’intervento potrebbe essere giunto in risposta ai malumori all’interno del gabinetto, riportati ad esempio da un articolo del Financial Times che ipotizzava possibili dimissioni di Jim O’Neill, “addetto commerciale” del Tesoro, proprio a causa dell’approccio verso Pechino di Theresa May.

Le future decisioni del primo ministro in questo ambito potrebbero dunque avere conseguenze significative sulle scelte strategiche britanniche e nei rapporti tra Londra e Pechino. Il legame speciale tra i due paesi potrebbe indebolirsi, se non addirittura spezzarsi, ancora prima di essersi consolidato. Ciò risulterebbe particolarmente rilevante alla luce del peso degli affari conclusi o in fase di negoziazione con la Cina, ma anche della previsione, condivisa da molti, che la Gran Bretagna avrebbe perseguito politiche filo-cinesi in maniera più incisiva dopo essersi svincolata dall’Unione Europea con il voto a favore della “Brexit”.

Le divisioni nella classe dirigente britannica sulla vendita di industrie e infrastrutture strategiche a entità straniere si sono d’altra parte accentuate in questi anni e si sovrappongono inoltre alle scelte strategiche del paese in un frangente storico caratterizzato dall’inasprirsi della rivalità tra USA e Cina. Le iniziative dei governi Laburisti e Conservatori, secondo i dati dell’Ufficio Nazionale di Statistica, hanno fatto in modo che investitori stranieri posseggano oggi compagnie del Regno per un valore di oltre mille miliardi di sterline.

Questa quota è salita di ben dieci punti percentuali solo tra il 2010 e il 2014 e, come scriveva il Daily Telegraph qualche mese fa citando lo stesso Ufficio di Statistica, è destinata ad aumentare ancora vista “la crescente internazionalizzazione della borsa di Londra e la facilità con cui gli stranieri possono ormai investire “ nel mercato britannico.