Altre avvisaglie di rivolgimenti nella piccola ma strategica repubblica asiatica
del Kirghizistan. Un gruppo di politici coinvolti nella "Rivoluzione dei
Tulipani", che ha portato l'attuale governo al potere, sta premendo verso
alcune fondamentali riforme nel Paese, asserendo che dal cambio di regime in
poi non è poi cambiato molto.
Per comprendere meglio quanto sta succedendo, occorre fare un piccolo passo
indietro nel tempo, fino al marzo 2005 ed alle elezioni che confermano la Presidenza
di Askar Akayev, già vincitore delle elezioni nel 1991, 1995, e 2000.
Pochi giorni dopo, spinta dall'opposizione che accusa il governo di brogli elettorali,
la "Rivoluzione dei Tulipani" rovescia il governo e costringe il Presidente
a fuggire a Mosca, dove è accolto da Putin e riceve asilo politico.
Akayev, di estrazione culturale sovietica, già a capo del soviet supremo
del Kirghizistan prima della caduta dell'URSS, viene ricordato come una figura
molto ambigua nel panorama politico; dotato di un forte "spirito di conversione"
post-sovietico, si è dimostrato un riformatore in senso neoliberista:
ha ristrutturato l'apparato esecutivo per adattarlo al proprio liberismo politico
ed economico ed ha intrapreso riforme che sono considerate le più radicali
e di tipo occidentale tra tutte le repubbliche dell'Asia centrale.
Dal 2001, Akayev assume posizioni decisamente filoamericane, nonostante la
maggioranza della popolazione sia musulmana sunnita. A seguito di tale politica,
il Kirghizistan ha dato appoggio logistico all'aggressione militare contro il
vicino Afghanistan e, nel 2002, ha permesso la costruzione di una grande base
aerea statunitense nei pressi della capitale Bishkek.
E' bene poi sottolineare come questo paese povero, desertico, montagnoso, con
un tenore di vita bassissimo, sia strategicamente fondamentale per tutto l'assetto
della regione asiatica, essendo in un'area di forte influenza russa, ma confinante
sia con l'Afghanistan sia con la Cina.
E proprio in questa direzione guarda il rivolgimento istituzionale del 2005
destinato a cambiare il quadro delle alleanze internazionali. Rivolgimento che
è spinto da tutte le forze politiche: partiti filo americani, islamici
e indipendenti portano al comando del Paese Kurmanbek Bakiyev e Felix Kulov,
quest ultimo liberato da una lunga detenzione proprio in occasione della deposizione
di Akayev.
Non appena eletto, Bakiyev dichiara che "occorre riconsiderare la presenza
delle basi americane sul territorio nazionale", asserendo che possono essere
smobilitate in quanto la situazione nella regione è sotto controllo.
A seguito della lunga serie di "rivoluzioni" nelle repubbliche dell'area
dell'ex-URSS, in meno di due anni gli USA, con la motivazione del supporto alle
operazioni militari in Afghanistan, hanno collocato tra Kazakhistan, Kirgizistan,
Turkmenistan e Tajikistan circa 100.000 militari, con mezzi terrestri ed aerei,
a ridosso della Russia, ed al confine con la Cina.
In seguito alla visita di Donald Rumsfeld a Bishkek ed a tutte le basi americane
nella zona, avvenuta durante la scorsa estate, Bakiyev, senza temere eventuali
reazioni da parte americana, ha anche aderito allo SCO (Shanghai Cooperation
Organization), aderendo alla nascente politica di scambi economici, ma anche
militare, tra Russia e Cina.
Alla fine di settembre 2005, il governo pretende ed ottiene le dimissioni di
sei ministri, accusati di non essere allineati con la nuova politica filo asiatica
del presidente. Questo cambio al vertice ha essenzialmente liquidato tutti gli
esponenti del movimento di marzo aventi posizioni filo occidentali in generale
e filo americane in particolare, al prezzo di un indebolimento del consenso
popolare.
Il 24 dicembre nella capitale Bishkek ha avuto luogo un'assemblea (kurultai)
nazionale, fortemente voluta da Azimbek Beknazarov e Roza Otunbaeva, tra i promotori
della rivolta che portò alla rivoluzione.
Beknazarov infatti ha avuto incarichi nel nuovo governo ed ha sostenuto azioni
di allontanamento dalla sfera pubblica di esponenti dell'era fedele ad Akayev,
sospettati di corruzione. Nel settembre scorso poi ha abbandonato ogni incarico.
Otunbaeva, ex ambasciatrice, ha ricoperto l'incarico di ministro degli esteri,
incarico poi revocato dal Parlamento alla fine di settembre.
I due sono sono alla testa di un movimento politico chiamato semplicemente "Kyrgyzstan",
che raccoglie il favore di alcuni partiti d'opposizione, ma anche personalità
di spicco della società civile.
I partecipanti all'assemblea, circa 300 persone tra cui alcuni parlamentari,
hanno manifestato insoddisfazione verso i cambiamenti avvenuti dopo la rivoluzione,
al punto in cui per molti quella di marzo è stata solo la prima fase
di una "rivoluzione da continuare".
Intervistato sull'argomento, Beknazarov ha dichiarato: "Abbiamo commesso
degli errori, e la rivoluzione non è terminata. L'errore principale è
stato l'intraprendere la strada legale delle riforme, basandoci sulla legalità
del vecchio regime, invece di creare un governo provvisorio ed una commissione
rivoluzionaria".
Al termine dell'incontro, i partecipanti hanno votato all'unanimità alcune
risoluzioni che mirano a promuovere un referendum per il prossimo febbraio riguardante
la struttura stessa dello Stato, ad interrogare il governo circa i progressi
compiuti fino ad ora, per l'allontanamento delle persone che hanno lavorato
per il governo di Akayev, per un congelamento della legge che permette la vendita
dei beni appartenuti alla famiglia Akayev.
Queste le cose dette alla stampa dalla nuova opposizione.
Dall'altro lato, gli esponenti del governo, lasciando intendere tra le righe
che dietro il movimento di Beknazarov e Otunbaeva potrebbe esserci l'azione
di una mai nominata "potenza straniera", rigettano le accuse. Come
ricorda Bolot Januzakov, "chi non ha lavorato con il regime di Akayev?
Certo, noi non lavoravamo per Akayev, ma sotto di lui! Espellere
tutti coloro che hanno lavorato sotto quel regime, significa espellere tutti".
La questione che resta aperta è cosa i neo-rivoluzionari potranno fare
per cambiare il corso politico del Kirghizistan. Molto probabilmente, il terreno
di confronto sarà sul referendum di febbraio ma anche sull'altro referendum,
per l'approvazione della nuova Costituzione, che il governo ha intenzione di
svolgere entro la fine del 2006.
Le posizioni dei due schieramenti iniziano ad essere chiare: da un lato il governo che vorrebbe entrare a far parte definitivamente dello SCO e quindi entrare nel nuovo blocco asiatico russo-cinese, dall'altro c'è l'opposizione, che vorrebbe un Kirghizistan più occidentalizzato. Il tutto si gioca sul terreno della zona cuscinetto tra mondo arabo, Russia e Cina, sotto gli occhi vigili degli USA.