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Cuba ha una nuova Carta Costituzionale. Si compone di 229 articoli ed è figlia di una discussione che ha coinvolto l’intera società cubana, che in migliaia di assemblee, con discussioni aperte, a volte aspre, ha proposto e disposto, accolto ed emendato il testo che domenica scorsa è stato sottoposto a referendum popolare. Non si rammenta di altri paesi nel mondo che hanno discusso previamente ogni singolo articolo della Carta come ha fatto l’isola caraibica: qui la Cuba socialista ha confermato originalità e peculiarità del suo modello.

 

 

La nuova Costituzione cubana rappresenta il rinnovato quadro di sistema. In un fase storica di profonde trasformazioni internazionali, alle prese con un blocco criminale che perdura da quasi 60 anni e di fronte a nuove minacce statunitensi, Cuba  modifica alcuni aspetti del suo ordinamento politico, giuridico e dell’organizzazione dell’economia che avevano bisogno di verificare il livello del consenso popolare.

 

La scomparsa del suo lider maximo ha posto la questione della leadership politica, che fino a quando Fidel dirigeva il paese non aveva nemmeno senso porsi. Riformare le istituzioni serve anche a compensare in parte il vuoto di leadership assoluta che il Comandante en Jefe garantiva.

 

Come in ogni Costituzione, il testo si divide tra i principi generali, quelli relativi ai diritti e doveri dei cittadini e all’organizzazione dello Stato e della società. Nei principi generali, di norma, viene enunciato il carattere politico del relativo sistema. Ebbene, Cuba non fa eccezione. Si ratifica il carattere socialista di Cuba ed il ruolo “dirigente ed unico del Partito Comunista, strumento necessario per la costruzione del socialismo e nella via per raggiungere il comunismo”, definito “meta della società”. C’è anche una conferma della articolazione della rappresentanza che riconosce e valorizza il ruolo degli organismi di massa.

 

Nella parte relativa all’organizzazione dello Stato si stabiliscono cambiamenti strategici: si conferma il ruolo del Consiglio di Stato ma vengono introdotte la figura del Presidente della Repubblica e del Primo Ministro (che saranno eletti dal Parlamento) e si afferma il concetto del doppio mandato come tempo massimo per entrambi. Per candidarsi alla carica la prima volta dovranno essere stati eletti parlamentari, avere almeno 35 anni e non più di 60.

 

L’architettura costituzionale è da Repubblica parlamentare, giacché le funzioni di Capo dello Stato e Capo del governo sono distinte. Il Parlamento è l’organo sovrano, elegge Presidente della Repubblica, Primo Ministro, Consiglio di Stato e designa su proposta del Presidente ministri e viceministri. Elegge il Presidente del Tribunale Supremo Popolare, i giudici componenti dello stesso, il Procuratore Generale della Repubblica, il Ragioniere generale dello Stato e il Presidente del Consiglio Elettorale Nazionale.

 

Il ruolo del Presidente della Repubblica non è tuttavia puramente notarile: è incaricato di garantire l’osservanza della Costituzione negli atti di governo, rappresentare lo Stato e dirigere la sua politica generale, la politica estera, le relazioni internazionali, la Difesa e la sicurezza nazionale. E’ Capo supremo delle Forze armate e determina la loro organizzazione, decreta la mobilitazione generale se la difesa del Paese lo richiede, presiede il Consiglio Nazionale di Difesa ed ha la facoltà di proporre al Parlamento e al Consiglio di Stato lo stato di guerra o la dichiarazione di guerra in caso di  aggressione.

 

Sul piano dei diritti civili, Cuba, che pure nella lotta ad ogni discriminazione di genere e di classe era esempio internazionalmente riconosciuto, inserisce in Costituzione il concetto di unione tra persone indipendentemente dal genere di appartenenza, propone il concetto di unione tra persone senza specificarne il sesso dando rango costituzionale al principio di uguaglianza e non discriminazione per motivi di orientamento sessuale ed identità di genere.

 

Si afferma anche la centralità della questione ambientale e la laicità dello Stato; l’assenza di una religione ufficiale, il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, sono segnali forti della modernità di Cuba, che ipocritamente viene accusata da paesi bigotti di non essere sufficientemente aperta.

 

L’economia è certamente uno dei terreni più sensibili e la nuova Costituzione prende di petto la questione senza ambiguità. Senza timore di sfidare il suo passato e di minacciare il suo futuro, Cuba apre al mercato, alla proprietà privata e agli investimenti stranieri come elementi necessari per dare impulso alla crescita economica e allo sviluppo dell’isola. Perché, come disse lo stesso Raul Castro “da essa dipendono sostenibilità e preservazione del nostro sistema sociale”.

 

La nuova organizzazione economica non riduce - semmai amplia - la sfera dei diritti sociali. La pianificazione economica continuerà a costituire la componente fondamentale nella direzione dello sviluppo. Si ribadisce la proprietà statale del suolo e del sottosuolo, delle risorse strategiche, la titolarità esclusiva in tema di organizzazione sociopolitica, difesa, moneta, giustizia, commercio interno ed estero, salute, istruzione, cultura e sistema bancario.

 

Una scelta in decisa controtendenza rispetto al mantra delle privatizzazioni dei servizi essenziali, sui quali il turbo capitalismo esercita il massimo della pressione, ritenendolo l’ultimo terreno di accumulazione primaria concepibile nell’Occidente post-industriale. A Cuba l’economia assume priorità diverse: garantire sanità, trasporti, istruzione, pensioni e case, rivendicare l’uguaglianza assoluta nell’accesso ai diritti, comporta la prevalenza della politica sull’economia. A sostenere il welfare contribuiranno anche le entrate derivanti dalle imposte sulle attività privata.

 

La nuova Costituzione prevede sette tipi diversi di proprietà: statale, cooperativa, sociale, privata, mista, di istituzioni associative e personale. Lo Stato regola e controlla il modo in cui esse contribuiscono allo sviluppo economico e sociale.  

 

Il riconoscimento della proprietà privata come una delle possibili forme nell’economia produrrà inevitabilmente un mutamento del mercato del lavoro; questo apre scenari difficili da prevedere in tutta la loro portata e rompe schemi consolidati, cari all’ortodossia di nemici e amici. Ovvio che le ripercussioni si faranno sentire e le scelte future dovranno essere misurate proprio sui mutamenti che interverranno.

 

Il fatto è che Cuba avverte la necessità di riprogrammare il cosa e il quanto lo Stato deve produrre e, quindi, la forza lavoro che ha bisogno d’impiegare. Perché in nessun manuale di socialismo é scritto che il lavoro artigianale non possa essere privato. Che un barbiere sia un impiegato pubblico, invece che un artigiano privato, non assegna patenti di autenticità socialista o, viceversa, ne riduce. Affidare ai privati la produzione di servizi destinati al consumo interno appare invece come un utile passo verso una modernizzazione del paese in un contesto di rinnovamento senza abiure.

 

Con l’inserimento in Costituzione del lavoro autonomo, Cuba volta pagina anche rispetto al recente passato, dove sebbene il lavoro privato fosse tollerato, l’interminabile sequenza di aperture e chiusure esponevano all’incertezza più totale ogni investimento. I 580.000 cubani che lavorano privatamente, i cosiddetti cuentapropistas, ovvero il 13% della mano d’opera del Paese, hanno ora uno strumento di riconoscimento che solo una decina di anni addietro sarebbe sembrato impossibile. Da ora si trasforma in diritto ciò che è già presente in fatto, eliminando sostanzialmente il mercato nero dei prodotti e delle prestazioni, che tanto danno reca alla già fragile economia e che tanta diseguaglianza intrinseca produce proprio nella patria dell’egualitarismo.

 

Sul piano della fiscalità generale si ritiene che la legalizzazione di attività lavorative esercitate da privati riduca notevolmente lo svolgimento delle stesse attività in nero. L’obiettivo finale è che tutto questo contribuisca a rendere minore la distanza tra la domanda di beni e servizi della popolazione e la possibilità dello Stato di soddisfarla. Sprechi, inefficienze e abusi possono essere fortemente ridotti proprio da politiche economiche premianti e calibrate sulle necessità del consumo interno.

 

L’intenzione evidente è semplice: far funzionare quello che non funziona. Inefficienze e disorganizzazione pesano troppo su un’economia che già patisce un blocco economico di quasi sessant’anni, inumano ed anacronistico, che ha provocato oltre 800 miliardi di dollari di danni diretti e molti di più indiretti.

 

Perché quando si parla di economia cubana non bisogna mai dimenticare il contesto e le condizioni in cui l’isola opera. L’impossibilità per i paesi terzi di realizzare affari con Cuba, se si vuole farlo anche con gli Stati Uniti, produce una contorsione ulteriore della già difficile partita dell’import-export tra l’isola e i fornitori di prodotti. Le importazioni di Cuba (che non gode di linee di credito garantite dagli organismi finanziari internazionali) sono pagate anticipatamente e a caro prezzo, mentre le esportazioni dei suoi prodotti, sulla base dei prezzi internazionalmente imposti dal Wto, risentono del livellamento verso il basso.

 

La nuova Costituzione cubana, in sostanza, appare il risultato di un ammodernamento della teoria politica e del progetto sistemico che si propone di realizzare. E se qualcuno, prigioniero dei milioni di interrogativi fuori luogo, aveva immaginato o sognato il “dopo Fidel” con l’abiura o la disintegrazione, aveva prefigurato l’ammodernamento del sistema con una revisione ideologica che potesse aprire la strada ad un ripensamento dello stesso, se insomma avesse immaginato il post castrismo come post socialismo, resterà decisamente deluso.

 

Sessant’anni dopo il suo trionfo, le modifiche costituzionali approvate non indicano ripensamenti ma vanno nella direzione opposta: modificano il modello per non cambiare il sistema. La decisione è quella di adeguare per fortificare, di evolversi per competere, di migliorare per vincere e non solo per resistere.