La brillante carriera del primo ministro canadese, Justine Trudeau, rischia di chiudersi prematuramente sotto le pressioni di uno scandalo crescente scoppiato in seguito alle accuse di avere esercitato influenze indebite a favore di una multinazionale delle costruzioni implicata in una vicenda di corruzione. Nelle ultime settimane, due ministri del gabinetto federale e il più stretto collaboratore del premier si sono dimessi a causa di questi eventi, mentre le forze di opposizione e una parte dei media chiedono a gran voce le dimissioni dello stesso Trudeau, i cui guai minacciano come minimo di avere conseguenze devastanti sulle prospettive elettorali del suo Partito Liberale.

 

I problemi per Trudeau erano iniziati ai primi di febbraio con la pubblicazione su uno dei principali giornali canadesi, The Globe and Mail, di rivelazioni che descrivevano come il primo ministro e alcuni membri del governo a lui vicini avessero fatto pressioni sul ministro della Giustizia, Jody Wilson-Raybould, per consentire alla compagnia SNC-Lavalin di chiudere una vicenda legale scottante con un patteggiamento che avrebbe evitato a quest’ultima una condanna criminale.

 

 

La multinazionale con sede in Québec, da dove proviene lo stesso Trudeau, era stata accusata nel febbraio del 2015 di avere pagato quasi 48 milioni di dollari canadesi al regime libico di Gheddafi per ottenere contratti di appalto nel paese nordafricano prima dell’intervento militare occidentale nel 2011. SNC-Lavalin, come molte compagnie di questo genere di altri paesi, era accompagnata da tempo dal sospetto di operare in maniera illecita all’estero, ma i legami politici e il suo peso nell’economia canadese gli avevano fino ad allora risparmiato seri guai legali.

 

I campanelli d’allarme all’interno del governo erano suonati a causa del pericolo che, in caso di condanna, SNC-Lavalin avrebbe dovuto per legge essere bandita dai contratti di appalto federali in Canada per dieci anni, con pesanti ripercussioni in termini di fatturato e di posti di lavoro. Proprio questa prospettiva aveva convinto i vertici della compagnia a spingere sul governo Trudeau per fare approvare una modifica al codice penale che avrebbe creato un meccanismo per rendere possibile una “sospensione” delle incriminazioni in cambio del pagamento di una sostanziosa multa.

 

L’intervento indebito attribuito al primo ministro Trudeau aveva precisamente come obiettivo la promozione di un accordo a favore di SNC-Lavalin in base alla nuova legge ad hoc. La giustizia canadese avrebbe invece in seguito proceduto con l’incriminazione della multinazionale, ma le presunte responsabilità del capo del governo sono riemerse inesorabilmente.

 

Lo spostamento di Jody Wilson-Raybould nel mese di gennaio dal ministero della Giustizia a quello meno prestigioso degli affari relativi ai veterani delle forze armate canadesi era stato visto in retrospettiva come una misura punitiva contro colei che aveva resistito alle pressioni del primo ministro. La Wilson-Raybould si era inizialmente astenuta dal commentare il suo declassamento, ma poco dopo lo scoppio dello scandalo aveva deciso di dimettersi dal governo.

 

Settimana scorsa, poi, la stessa ex ministra ha testimoniato sul caso di fronte alla commissione Giustizia della Camera dei Comuni di Ottawa. La sua deposizione ha chiaramente complicato la posizione di Trudeau. La Wilson-Raybould ha infatti rivelato e documentato una campagna condotta da almeno 11 membri dell’esecutivo, tra cui lo stesso primo ministro, per convincerla ad applicare la nuova legge sul patteggiamento a beneficio di SNC-Lavalin.

 

Secondo la stessa Wilson-Raybould, nessuno si è spinto fino a violare la legge, ma allo stesso tempo sarebbe stata oltrepassata la linea “informale” che impone una netta divisione tra politica e giustizia. Trudeau e gli altri avrebbero sollevato in particolare la questione delle possibili conseguenze in termini occupazionali di una possibile condanna della compagnia e, in maniera più compromettente, degli effetti negativi sulla performance del Partito Liberale in Québec in vista delle elezioni federali previste per il prossimo mese di ottobre.

 

Dopo le rivelazioni del Globe and Mail e con il montare della polemica, anche il primo consigliere del premier, Gerald Butts, ha presentato le proprie dimissioni, sia pure negando fermamente ogni comportamento illecito da parte sua o del suo diretto superiore. Invece di contenere la crisi, gli ultimi sviluppi della vicenda l’hanno però prevedibilmente alimentata, soprattutto dopo un altro addio eccellente al governo nella giornata di lunedì, quello del ministro del Tesoro, Jane Philpott. Quest’ultima ha fatto riferimento apertamente al comportamento del primo ministro e di altri esponenti del governo nel caso SNC-Lavalin come motivo delle sue dimissioni. In modo nemmeno troppo velato è sembrata inoltre invitare altri colleghi del gabinetto Trudeau a seguire il suo esempio.

 

Il primo ministro continua da parte sua a difendersi sostenendo che le discussioni con l’ex titolare della Giustizia canadese erano dettate da una sana preoccupazione per il futuro di migliaia di lavoratori se SNC-Lavalin fosse stata esclusa da tutti gli appalti pubblici per un decennio. Nelle ultime uscite pubbliche di Trudeau è tuttavia evidente l’imbarazzo creato dal caso e, anche se gli altri principali ministri del suo governo sembrano essere per il momento dalla sua parte, in molti ipotizzano che il partito potrebbe finire per scaricarlo se la situazione dovesse complicarsi ulteriormente fino a compromettere le chances di successo nelle prossime elezioni.

 

L’opposizione soprattutto del Partito Conservatore minaccia d’altra parte di insistere sulla vicenda e il suo leader, Andrew Scheer, ha già chiesto un’indagine della polizia federale canadese. Altri partiti di opposizione hanno a loro volta invocato la creazione di una commissione indipendente con l’incarico di fare luce su quanto accaduto attorno al caso SNC-Lavalin. Attualmente è in corso soltanto un’inchiesta della commissione Giustizia della Camera dei Comuni canadese, ma, detenendo il Partito Liberale di Trudeau la maggioranza in parlamento, è improbabile che ci possano essere conseguenze negative per il governo su questo fronte.

 

Quali che siano i prossimi sviluppi e le prospettive politiche di Trudeau e dei liberali canadesi, il caso SNC-Lavalin sta letteralmente distruggendo l’immagine del primo ministro, promosso e auto-promosso come una sorta di icona del progressismo moderno e, a partire dal suo insediamento nel novembre del 2015, in grado di riportare onestà e trasparenza in un sistema politico compromesso dai lunghi anni di governo dei conservatori sotto la guida dell’odiato Stephen Harper.

 

Oltre a mostrare come anche Trudeau sia sostanzialmente al servizio dei grandi interessi economici e finanziari canadesi, la crisi in cui sta precipitando rischia di privare il suo governo di una delle principali armi con cui ha cercato di occultare un’agenda non troppo diversa da quella del suo predecessore, vale a dire la promozione della parità di genere e delle minoranze etniche. Infatti, il possibile abuso di potere ai danni di un ministro donna e di origini indigene, come Jody Wilson-Raybould, e il voltafaccia di un’altra donna facente parte del suo gabinetto non contribuiscono di certo ad alleggerire la posizione di Trudeau, quanto meno agli occhi dei suoi sostenitori “liberal”.

 

Al di là delle reali responsabilità del primo ministro federale, oltretutto impegnato a fianco dell’amministrazione Trump nella vergognosa operazione di tentato cambio di regime in Venezuela, è comunque innegabile che il caso SNC-Lavalin sia sfruttato politicamente da determinate sezioni della classe dirigente e dei media canadesi per orientare le prossime elezioni generali.

 

Questi ambienti stanno cioè cercando di destabilizzare il governo di Ottawa per liberarsi di un leader politico che ha goduto finora di una certa popolarità, per quanto in gran parte immeritata, e, in un clima di crescente crisi internazionale e dello stesso capitalismo canadese, cercare di spostare ancora più a destra il baricentro politico del paese nordamericano.

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