La recente decisione del governo conservatore britannico di aggiungere il braccio politico di Hezbollah alla lista delle organizzazioni terroristiche rappresenta una mossa di cui a prima vista appare molto difficile comprenderne il senso. Una serie di ragioni sono in realtà alla base del provvedimento firmato dal ministro dell’Interno, Sajid Javid, e ratificato dal Parlamento di Londra. La proscrizione della milizia/partito sciita libanese, tuttavia, resta senza alcun dubbio un gesto sbagliato, nonché potenzialmente controproducente per la stessa Gran Bretagna.

 

 

L’ala militare di Hezbollah era stata già stata bandita nel 2008 da Londra e la recente aggiunta di quella politica all’elenco dei gruppi terroristi è arrivata dopo anni di pressioni da parte di Stati Uniti e Israele. Il provvedimento annunciato dal ministro Javid fa riferimento alla legge britannica sull’anti-terrorismo del 2000 e proprio alcune delle norme contenute in questo testo renderanno di difficile applicazione il bando contro il “Partito di Dio” o, quanto meno, rischieranno di provocare non pochi imbarazzi alla diplomazia d’oltremanica.

 

Prima ancora di ciò, la misura contro l’ala politica di Hezbollah e la dichiarazione del ministro Javid che l’ha accompagnata sono insensate e contraddittorie. Il membro del gabinetto conservatore ha in primo luogo affermato di agire per “la difesa del popolo britannico”, il quale sarebbe appunto minacciato dalle attività delle organizzazioni sulla lista nera del terrorismo. Hezbollah e soprattutto il suo braccio politico operano tuttavia in Libano e in nessun modo possono essere ragionevolmente considerati un pericolo per la sicurezza dei sudditi di sua maestà.

 

Javid ha poi accusato Hezbollah di “continuare a destabilizzare la fragile situazione del Medio Oriente”. In questo caso, la vicenda si fa ancora più assurda, visto che la stessa legge britannica, in base alla quale Hezbollah è stato bandito da Londra, non prevede le attività di “destabilizzazione” tra i motivi che ne fanno scattare l’applicazione.

 

Non solo, chiunque abbia un minimo di confidenza con i fatti mediorientali dell’ultimo decennio o poco più sa perfettamente che Hezbollah ha se mai contribuito, da un lato, a evitare il tracollo della situazione in Siria e dall’altro, a difendere il Libano dall’aggressione israeliana e dall’ingresso di gruppi jihadisti attivi oltre il confine siriano.

 

A un livello più generale, l’attribuzione a Hezbollah della definizione di organizzazione terroristica è completamente fuori dalla realtà. Qualunque sia l’opinione nei suoi confronti, è un dato di fatto che Hezbollah rappresenti un elemento centrale della vita sociale, politica e militare libanese. Nelle elezioni della primavera 2018, ad esempio, Hezbollah e i suoi alleati hanno conquistato la maggioranza dei seggi in parlamento e, di conseguenza essi fanno parte del governo guidato dal primo ministro sunnita Saad Hariri. Nel gabinetto di Beirut, tre ministeri sono controllati da uomini dell’organizzazione sciita, tra cui quello della Sanità da Jamal Jabak, ex medico personale del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

 

Secondo alcune stime, Hezbollah rappresenta quasi il 90% degli sciiti libanesi, pari a circa il 30% della popolazione totale. Il braccio politico opera inoltre una vasta rete di “welfare”, che include scuole e ospedali, mentre quello militare coordina le proprie azioni con le forze armate libanesi. Hezbollah è anche visto con favore da buona parte dei cristiani di questo paese, in particolare dopo che la milizia sciita ha svolto un ruolo decisivo nella difesa delle loro comunità ai confini con la Siria dalla minaccia del fondamentalismo sunnita.

 

Criminalizzare ogni rapporto con Hezbollah comporta quindi per il Regno Unito mettere a rischio qualsiasi contatto con lo stato libanese. Ciò si può comprendere ancora meglio se si considerano alcuni dei divieti previsti dalla legge anti-terrorismo britannica. Uno di essi stabilisce pene fino a dieci anni di reclusione per chiunque fornisca “supporto” a un’organizzazione fuori legge. La definizione di “supporto” risulta estremamente ampia, fino a includere incontri con esponenti di un’entità come Hezbollah oppure l’organizzazione o il semplice assistere a eventi nei quali interviene un individuo affiliato a essa. Come ha spiegato il blog MoonOfAlabama, questa definizione, se applicata alla lettera, potrebbe per Londra rendere addirittura illegale la convocazione del parlamento libanese, se non, per assurdo, il voto stesso a favore di Hezbollah delle centinaia di migliaia di elettori del paese mediorientale.

 

Lo stesso dicasi per praticamente tutta la classe politica libanese che, inevitabilmente, intrattiene rapporti quotidiani con membri o affiliati a Hezbollah, dal presidente cristiano Michel Aoun al premier Hariri, dallo “speaker” del parlamento, Nabih Berri, al ministro degli Esteri, Gebran Bassil. Se preso alla lettera, il recente provvedimento di Londra potrebbe impedire l’ingresso di questi e altri politici libanesi in Gran Bretagna e ostacolare seriamente i rapporti bilaterali.

 

Il reporter veterano del Medio Oriente, Elijah Magnier, sul suo sito ha invece evidenziato come il bando di Hezbollah riguardi anche e soprattutto l’Iran, principale sponsor del “Partito di Dio”. I rapporti tra le due parti in ambito finanziario, militare, dell’intelligence e in altri ancora sono noti e tutt’altro che segreti, così che la misura annunciata settimana scorsa dal ministro dell’Interno britannico rischia di avere serie implicazioni legali per la Repubblica Islamica. Dal momento che Londra intrattiene relazioni diplomatiche con Teheran, anche in questo caso è evidente che i contatti tra i due paesi sono messi in serio pericolo, quanto meno se il governo britannico intenderà applicare le sue leggi in maniera rigorosa.

 

D’altra parte, una delle ragioni dell’aggiunta del braccio politico di Hezbollah alla lista nera del terrorismo è probabilmente da collegare proprio al desiderio del governo di Theresa May di collaborare con USA e Israele nel fare terra bruciata attorno all’Iran, malgrado il sostegno ufficiale di Londra all’accordo sul nucleare di Vienna (JCPOA) boicottato dall’amministrazione Trump. Il tentativo di interrompere i flussi finanziari tra Teheran e Hezbollah mira, almeno nelle intenzioni, a isolare quest’ultima organizzazione e, di riflesso, a ridimensionare l’influenza iraniana in Medio Oriente. Parallelamente, Tel Aviv punta a indebolire Hezbollah e, in teoria, a ridurre i rischi di una futura offensiva militare in Libano, dove nel 2006 le forze israeliane patirono un’umiliante sconfitta per mano della milizia sciita.

 

Lo stesso discorso vale in sostanza anche per l’Arabia Saudita, il cui regime appoggia la gran parte della classe politica sunnita libanese e ha infatti apprezzato pubblicamente la proscrizione di Hezbollah. In questo caso ci sono in gioco anche miliardi di sterline, soprattutto sul fronte delle forniture militari. Il governo britannico è tra quelli che si è rifiutato di congelare la vendita di armi a Riyadh dopo l’assassinio del giornalista dissidente saudita Jamal Khashoggi e in conseguenza dei crimini commessi dalla monarchia wahhabita e dai suoi alleati nella guerra in Yemen.

 

In numerosi commenti alla notizia su Gran Bretagna e Hezbollah, infine, ci si è chiesto se il bando deciso da Londra sarà seguito da provvedimenti simili nel resto dell’Europa. Viste le complicazioni che una simile misura comporta, è improbabile per il momento che ciò possa accadere, anche se Washington e Tel Aviv faranno di tutto per convincere i leader del vecchio continente a muoversi in questa direzione.

 

Anche alla luce di queste divisioni a livello europeo, il significato della mossa apparentemente assurda contro il braccio politico di Hezbollah del governo May assume un significato più ampio. La decisione potrebbe cioè rientrare nel piano di riallineamento strategico promosso da una parte della classe dirigente britannica per il dopo-Brexit, a vantaggio dei rapporti con Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita e in parziale opposizione con gli orientamenti di Bruxelles.

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