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Con una mossa insolita, anche se non senza precedenti, il colosso del settore automobilistico General Motors (GM) mercoledì ha presentato una denuncia davanti a un tribunale federale degli Stati Uniti contro Fiat Chrysler (FCA), accusando la compagna italo-americana di avere corrotto il sindacato UAW (United Auto Workers), al fine di attuare una strategia contrattuale sfavorevole al proprio concorrente sul mercato d’oltreoceano. L’ex “CEO” di FCA, il defunto Sergio Marchionne, avrebbe autorizzato direttamente lo schema collusivo che, in sostanza, ha consentito alla sua compagnia di ottenere vantaggi finanziari e organizzativi attraverso un maggiore sfruttamento della forza lavoro, assicurato dalla stretta collaborazione con i vertici sindacali.

 

La più recente scossa all’ambiente dell’auto USA arriva in un momento particolarmente delicato, con i profitti in discesa dopo anni di crescita, la minaccia delle guerre doganali in corso e la necessità di massicci investimenti su nuovi modelli più ecologici. Inoltre, il sindacato UAW è nel pieno delle trattative per il nuovo contratto di lavoro con FCA, aperte dopo il complicato accordo raggiunto con GM al termine di uno sciopero durato quaranta giorni.

Soprattutto, UAW è invischiato in un procedimento legale che dal 2017 ha rivelato un intreccio di corruzione e uso indebito di fondi da parte di alti dirigenti del sindacato, di fatto al servizio del management di FCA per forzare l’implementazione delle politiche aziendali tra i propri iscritti. La denuncia di GM ha preso le mosse proprio da questa vicenda legale e, mentre essa non chiama in causa direttamente il sindacato, cita tre ex dirigenti di FCA, già condannati per l’avvenuta corruzione dei vertici di UAW.

Poche ore dopo l’annuncio dei legali di GM, l’attuale presidente di UAW, Gary Jones, si è dimesso dal suo incarico, anticipando una mozione del direttivo del sindacato che intendeva rimuoverlo, assieme a un altro dirigente, perché accusato di avere richiesto rimborsi spese “falsi e inaccurati”. Jones aveva assunto la carica di presidente appena 17 mesi fa, succedendo a Dennis Williams, anch’esso coinvolto nello scandalo FCA-UAW.

Il quadro complessivo, a cui fa riferimento la denuncia di GM, disegna dunque uno scenario nel quale esponenti del sindacato utilizzavano per spese personali denaro proveniente da FCA, oltre che dalle quote versate dagli iscritti, attraverso un apposito programma di addestramento destinato ai lavoratori. La corruzione serviva, tra l’altro, a fare in modo che UAW assumesse posizioni più rigide nelle trattative contrattuali con GM, imponendo a questa compagnia condizioni più onerose rispetto a quelle richieste a FCA.

Con i rinnovi dei contratti del 2009, 2011 e 2015, FCA riuscì così a raggiungere accordi con il sindacato che prevedevano la possibilità di utilizzare un numero maggiore di lavoratori temporanei e assunti di “seconda fascia”, entrambi con stipendi nettamente inferiori a quelli dei dipendenti storici, così come di risparmiare sui costi delle assicurazioni sanitarie rispetto a GM. Il risultato fu che il costo medio della manodopera per FCA sarebbe passato da 75,86 dollari l’ora nel 2006 ad appena 47 nel 2015, mentre quello di GM da 70,51 a 55.

Come già anticipato, il ruolo di Marchionne sarebbe stato determinante nella creazione del rapporto di corruzione tra FCA e UAW. In particolare, il suo obiettivo sembrava essere quello di promuovere la competitività della sua azienda, così da creare un incentivo per arrivare a una fusione con GM. A ciò Marchionne puntava da tempo e, secondo la causa di questa settimana contro FCA, intendeva anche corrompere il sindacato per attenuare le resistenze dei suoi vertici a una possibile fusione che avrebbe potuto implicare migliaia di licenziamenti.

GM chiede ora un risarcimento miliardario da FCA ma, significativamente, si guarda bene dal proporre rimborsi per i propri dipendenti danneggiati dalle strategie negoziali del sindacato influenzate a suon di dollari dalla compagnia già guidata da Marchionne. Non solo, GM non ha incluso nella denuncia UAW né i suoi dirigenti, ben sapendo che, da un lato, la collaborazione con il sindacato dell’auto resta comunque un elemento cruciale nello sfruttamento della propria forza lavoro e, dall’altro, i suoi stessi rapporti con UAW nel passato non sono sempre stati all’insegna della trasparenza.

Anche per quest’ultima ragione, la causa intentata da GM comporta non pochi rischi. Dietro all’iniziativa devono esserci perciò motivazioni rilevanti, la prima delle quali l’ha probabilmente indicata FCA nel rispondere alle accuse. Chiedendo una somma ingente in danni, anche se non ancora quantificata, è possibile che GM punti cioè a intralciare le trattative in corso per una possibile fusione tra FCA e PSA Peugeot.

Anche solo la presenza della minaccia di un rimborso miliardario sulla testa di Fiat Chrysler potrebbe far saltare il negoziato, come era già accaduto tra FCA e GM e, solo qualche mese fa, tra FCA e Nissan Renault. L’eventuale accordo con la compagnia francese farebbe d’altra parte del potenziale nuovo soggetto il quarto gruppo automobilistico mondiale e un concorrente formidabile di GM su scala globale.

Nell’immediato, la denuncia di GM potrebbe inoltre influenzare le discussioni, anch’esse in corso in queste settimane, per il rinnovo del contratto tra FCA e UAW. GM ha già perso quasi tre miliardi di dollari a causa del già ricordato sciopero delle scorse settimane che ha preceduto la ratifica del contratto con il sindacato. Secondo i parametri della compagnia e dei suoi investitori, poi, GM ha dovuto fare concessioni relativamente pesanti e non previste ai propri dipendenti, sia pure senza risolvere le questioni del precariato, dei costi sanitari e delle retribuzioni sottodimensionate dei nuovi assunti.

L’intera vicenda conferma ad ogni modo ancora una volta il crescente discredito del sindacato automobilistico americano e quali siano le ragioni alla base di questa realtà. Le dimissioni del numero uno di UAW, citate in precedenza, sono solo l’ultimo episodio di una saga che da un paio di anni ha messo in luce la natura di un’organizzazione sostanzialmente ostile ai lavoratori, ma utilissima ai vertici aziendali per far digerire licenziamenti, chiusura di impianti produttivi, erosione degli stipendi, aumenti forzati della produttività, flessibilità organizzativa e molto altro.

L’indagine federale ha infatti letteralmente decimato i vertici di UAW e colpito i responsabili delle delegazioni che nell’ultimo decennio avevano condotto i negoziati con FCA per i rinnovi contrattuali. In uno scenario simile, non può sorprendere sia la costante riduzione del numero degli iscritti al sindacato sia i numerosi casi di resistenza alla ratifica dei contratti concordati con le compagnie, spesso approvati tra resistenze, accesissime polemiche e aperte accuse di manipolazione dei voti espressi dai lavoratori.