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In un sistema economico-sociale equo e razionale, in un momento di profondissima crisi, come quella provocata dalla pandemia di Coronavirus, le risorse di un paese avanzato dovrebbero essere in buona parte destinate a proteggere la fetta più fragile della popolazione. Negli Stati Uniti, ma non solo, la realtà appare invece diametralmente opposta. Nonostante il devastante impatto del virus, infatti, la ristretta cerchia di super-ricchi che domina ogni aspetto della società d’oltreoceano ha in sostanza sfruttato l’emergenza in corso per appropriarsi di altre migliaia di miliardi di dollari, lasciando le briciole al resto degli americani.

 

Uno studio recente condotto da due centri di ricerca americani ha calcolato che nei primi due mesi della pandemia, cioè a partire dalla metà di marzo, i 630 uomini più ricchi d’America hanno visto aumentare le loro fortune per un totale di 434 miliardi di dollari. Complessivamente, questo gruppo di ultra-potenti detiene ricchezze per quasi 3.400 miliardi di dollari, pari al 15% in più rispetto all’inizio del periodo preso in considerazione.

Questa élite non è stata nemmeno lontanamente sfiorata da morte, malattia e devastazione sociale, ma ha beneficiato delle politiche attuate in maniera tempestiva dal governo e dalle autorità monetarie degli Stati Uniti per arricchirsi ulteriormente. L’elemento che ha favorito maggiormente questo processo è la decisione della Federal Reserve di riprendere massicciamente i programmi di “quantitative easing”, ovvero la produzione virtualmente illimitata di moneta sotto forma di acquisto di titoli, grazie alla quale vengono immessi sui mercati circa 80 miliardi di dollari ogni singolo giorno.

L’altro fattore determinante è rappresentato dai pacchetti di sostegno all’economia USA approvati in modo bipartisan dal Congresso di Washington, primo fra tutti il colossale “CARES Act”, il quale contiene iniziative del valore di 2.200 miliardi, in buona parte destinati ai grandi interessi economici e finanziari del paese.

Lo stesso studio spiega come i primi cinque miliardari americani – Jeff Bezos, Bill Gates, Mark Zuckerberg, Warren Buffett e Larry Ellison – abbiano visto aumentare le loro ricchezze complessive del 19% in due mesi (75,5 miliardi). Questa crescita corrisponde a più di un quinto del totale appropriato dai 630 super-ricchi americani. La fetta più consistente è andata a Bezos (Amazon) e Zuckerberg (Facebook), insieme più ricchi di quasi 60 miliardi rispetto alla metà di marzo.

Nello stesso periodo di tempo, 40 milioni di americani hanno perso il lavoro, mentre si stima che 16 milioni resteranno senza copertura sanitaria garantita dalle aziende per cui lavorano. Il bilancio prettamente sanitario dell’emergenza Coronavirus è inoltre fortemente sbilanciato a sfavore dei lavoratori, costretti a riprendere prematuramente le loro attività esponendosi al rischio di contagio, e delle altre categorie più deboli. Secondo i dati ufficiali, i contagiati negli Stati Uniti sono finora quasi 1,7 milioni, mentre il numero dei morti sta per sfondare quota 100 mila.

Proprio il ritorno forzato al lavoro, promosso dall’amministrazione Trump e da quasi tutti i governatori degli stati americani, oltre a far salire ancora di più i contagi, dipende da un lato dalla necessità di continuare a generare profitti per Wall Street e le grandi aziende e, dall’altro, dall’incapacità di garantire un sostegno sufficiente a tutta la popolazione durante il lockdown. Le poche centinaia di dollari andati nella migliore delle ipotesi ai lavoratori americani sono finite in fretta e spesso nemmeno elargite a causa di intoppi burocratici.

Non molto meglio è andata alle piccole imprese americane. Per queste ultime è stato teoricamente creato un apposito fondo, ma a goderne sono state in larga misura le grandi aziende, a causa soprattutto della gestione del denaro affidata alle grandi banche di Wall Street, impegnate a promuovere prestiti agevolati di grossa entità in modo da poter incassare ricche commissioni. Le ricadute delle politiche messe in atto in risposta alla crisi colpiranno i redditi più bassi anche in un altro modo. Lo stop alle attività economiche ha fatto cioè precipitare le entrate fiscali degli stati e degli altri enti locali, quasi del tutto ignorati dal governo federale. Senza risorse, nel prossimo futuro saranno così costretti a operare nuovi tagli ai programmi sociali in molti casi già ridotti all’osso.

Un’altra situazione critica che sta per emergere negli Stati Uniti è quella abitativa. In particolare, le moratorie agli sfratti decise a livello federale e locale stanno per scadere o scadranno tra poche settimane, col risultato che in molti tra gli affittuari rimasti disoccupati o, comunque, senza entrate potrebbero ritrovarsi in mezzo a una strada con le loro famiglie.

In alcuni stati, come Wyoming o South Dakota, non sono stati nemmeno adottati provvedimenti a protezione degli inquilini in difficoltà. Altri, invece, tra cui California, Florida e Illinois, termineranno la sospensione degli sfratti già ai primi di giugno. Molte città americane hanno stanziato nelle scorse settimane svariati milioni di dollari per sostenere i pagamenti degli affitti, ma anche in questo caso i fondi sono stati una goccia nell’oceano. La metropoli di Houston, in Texas, ha visto prosciugarsi i fondi destinati a questa voce di spesa dopo appena 90 minuti dall’apertura delle domande.

La stampa locale americana è piena di notizie che raccontano di ostacoli burocratici all’accesso ai fondi di assistenza per il pagamento degli affitti. In alcuni casi, poi, i provvedimenti presi dalle autorità hanno soltanto sospeso i pagamenti dovuti ai padroni di casa. Una volta terminata l’emergenza, tutti i canoni arretrati dovranno essere pagati da inquilini che, in buona parte, saranno ancora disoccupati o avranno visto comunque ridursi drasticamente le loro entrate. Nei tribunali di molti stati sono già pronte centinaia di cause legali presentate contro affittuari insolventi e saranno prese in considerazione non appena scadranno le moratorie.

Come dimostra lo studio citato all’inizio, in questi mesi di emergenza avrebbero potuto essere reperite le risorse necessarie ad alleviare gli effetti della crisi per tutta o buona parte della popolazione degli Stati Uniti, così come per ridurre i rischi di contagio. Le politiche e la struttura ultra-classista di questo paese, così come di altri in Occidente, hanno dimostrato al contrario come gli unici interventi tempestivi ed efficaci del governo abbiano favorito un nuovo gigantesco aumento della ricchezza di pochi privilegiati.

Sempre in questo panorama va inserita un’indagine pubblicata questa settimana dal New York Times che conferma, a proposito degli ospedali americani, lo stesso identico principio basato sul trasferimento di ricchezza verso persone ed entità che apparentemente ne avrebbero meno bisogno.

Per far fronte all’emergenza Coronavirus, il governo federale degli Stati Uniti nel mese di marzo aveva iniziato a stanziare decine di miliardi di dollari a favore di strutture sanitarie spesso sopraffatte dal moltiplicarsi dei contagi. L’articolo del Times descrive ancora una volta una realtà capovolta, nella quale gli ospedali privati che già dispongono di capitali enormi, utilizzati non di rado per investimenti speculativi, sono risultati essere quelli che hanno incassato maggiormente.

Ad esempio, il gruppo Providence Health System, operante nel settore sanitario e con sede nell’area di Seattle, vanta risorse proprie pari a qualcosa come 12 miliardi di dollari che, “in anni buoni”, producono profitti fino a un miliardo di dollari. Ciononostante, questa compagnia ha ricevuto 509 milioni di dollari dal governo di Washington per “resistere” allo tsunami Coronavirus.

La solidità di questi istituti non appare minimamente a rischio, al contrario di altre strutture con mezzi modestissimi, soprattutto nelle aree rurali degli Stati Uniti. Venti aziende del settore sanitario con capitali propri complessivi pari a 108 miliardi di dollari hanno tuttavia  ottenuto un totale di 5 miliardi di dollari nelle ultime settimane. Praticamente tutti questi ospedali si rivolgono a pazienti benestanti con generose polizze assicurative e hanno incassato in media il doppio dei fondi pubblici destinati alle strutture che curano per lo più pazienti a basso reddito, coperti dal programma federale Medicaid o addirittura senza nessuna assicurazione sanitaria.