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Il primo coinvolgimento diretto di Joe Biden da presidente in una trattativa politica riguardante una proposta di legge “pesante” potrebbe dare indicazioni significative sugli orientamenti della nuova amministrazione americana nell’implementazione del proprio programma di governo. Attorno al nuovo pacchetto di aiuti all’economia USA, ancora in piena emergenza Coronavirus, si stanno confrontando democratici e repubblicani per capire se ci saranno spazi per una soluzione bipartisan, di portata piuttosto limitata, o se il partito del neo-presidente deciderà di contare solo sulla propria maggioranza per approvare un provvedimento relativamente generoso.

 

Il piano avanzato da Biden ammonta a 1.900 miliardi di dollari e include, oltre a misure direttamente collegate alla lotta contro la pandemia, anche altre di più ampio respiro, come l’aumento del salario minimo federale a 15 dollari l’ora entro i prossimi cinque anni. Dopo la presentazione di questo pacchetto di “stimolo”, subito promosso dalla stampa filo-democratica come un’iniziativa indiscutibilmente progressista e quasi rooseveltiana, Biden ha caldeggiato in più occasioni la collaborazione con i repubblicani, quasi cercando di riconfigurare la sua proposta iniziale come una sorta di punto di partenza per una trattativa con il partito di minoranza a Washington.

Dieci senatori repubblicani “moderati”, guidati da Susan Collins dello stato del Maine, hanno allora indirizzato una lettera alla Casa Bianca, rilanciando una loro proposta da 618 miliardi di dollari, cioè meno di un terzo di quella del presidente, su cui intavolare un negoziato. Biden ha immediatamente risposto positivamente e lunedì i dieci senatori sono stati ricevuti alla Casa Bianca per un primo confronto.

Secondo le notizie circolate, Biden si sarebbe mostrato poco propenso a fare concessioni significative, ma la sua apparente irremovibilità è stata in seguito smentita almeno in parte dalle dichiarazioni di membri dello staff presidenziale che hanno aperto spiragli per possibili compromessi su alcune questioni, come quella degli stanziamenti per le amministrazioni locali messe a dura prova dalla crisi.

Le differenze tra i due piani sul tavolo sono comunque notevoli. I repubblicani vorrebbero ad esempio escludere del tutto l’aumento del salario minimo federale, lasciandolo al livello infimo attuale di 7,25 dollari l’ora. Inoltre, fuori dalle discussioni dovrebbero restare i 300 miliardi promessi agli stati le cui casse sono state svuotate dalle mancate entrate dovute ai lockdown e all’aumento della spesa sanitaria. I repubblicani continuano a usare quest’ultimo punto come un’arma politica, sostenendo che il denaro così stanziato finirebbe per “salvare” stati e città amministrate in maniera dissennata dal Partito Democratico.

I repubblicani vorrebbero ritoccare al ribasso anche l’assegno una tantum previsto per decine di milioni di americani. L’importo dovrebbe passare dai 1.400 dollari del piano Biden ad appena mille dollari, così come la soglia dei beneficiari scenderebbe da un reddito massimo di 75 mila a 50 mila dollari l’anno. La cifra da stanziare era peraltro già stata ridimensionata dal neo-presidente, dopo che in campagna elettorale aveva promesso un assegno da duemila dollari. Secondo la proposta repubblicana sarebbero ad ogni modo esclusi da questo bonus circa 29 milioni di americani, riconducibili prima della pandemia a una fascia di reddito media.

I repubblicani spingono anche per il mantenimento del sussidio per la disoccupazione al livello attuale, cioè 300 dollari la settimana, come stabilito dal più recente pacchetto anti-crisi da 900 miliardi di dollari, approvato lo scorso dicembre dal Congresso e controfirmato da Trump. Oltre a ciò, gli aiuti per i senza lavoro dovrebbero terminare il 30 giugno, mentre Biden propone un assegno da 400 dollari la settimana fino al 30 settembre.

Le due proposte combaciano invece sul denaro da destinare al piano di vaccinazione e alle misure anti-Covid in genere. La cifra in questione è di 160 miliardi di dollari, per molti tuttavia insufficiente a sostenere la promessa accelerazione delle immunizzazioni fino a 1,5 o 2 milioni di vaccini al giorno. Altri interventi visti con favore dai repubblicani riguardano infine quelli per la riapertura in sicurezza delle scuole (20 miliardi) e per il sostegno alle piccole e medie imprese.

I negoziati in corso, anche se solo all’inizio, sono dunque caratterizzati, da un lato, dall’ostentazione dei leader democratici di una volontà apparentemente ferma di mettere sul piatto risorse ingenti per sostenere l’economia e dall’altro da un atteggiamento di apertura verso i repubblicani disposti a trattare, nonostante la modestia degli interventi offerto da questi ultimi.

Nel Partito Democratico sono comunque forti le pressioni per implementare un piano di vasta portata che mantenga buona parte delle promesse di Biden in campagna elettorale, al di là della loro reale efficacia a fronte della situazione attuale. Iniziare il mandato alla presidenza con un compromesso al ribasso in un frangente drammatico per gli Stati Uniti non sarebbe infatti l’opzione migliore per i democratici, soprattutto alla luce del clima tossico creato dalle fallite manovre di Trump per restare alla Casa Bianca.

È tuttavia improbabile che Biden riesca a mandare in porto il suo pacchetto di aiuti nella forma originaria. Se non altro, alcuni senatori democratici “moderati” hanno mostrato essi stessi un certo disagio ad approvare misure che ritengono troppo dispendiose o, anche se poco più che trascurabili, identificabili con le battaglie “storiche” della sinistra del partito. Molto più probabile appare una soluzione negoziata che escluda dal testo finale qualche intervento controverso o che riduca gli importi da stanziare.

Non è un caso d’altronde che i senatori repubblicani firmatari della lettera inviata a Biden per sollecitare il negoziato siano stati proprio dieci, cioè il numero esatto per arrivare a una maggioranza di 60, necessaria ad approvare alla camera alta del Congresso un provvedimento “bipartisan”. L’alternativa sarebbe il ricorso a una manovra che aggira il possibile ostruzionismo dell’opposizione (“filibuster”) e permette la ratifica di determinate leggi con una maggioranza semplice. Al Senato i due partiti hanno 50 seggi ciascuno, ma in questo caso la maggioranza è controllata dai democratici in virtù del voto che può esprimere il vice-presidente.

Per mettere in atto questa manovra serve una procedura piuttosto complessa che la leadership democratica in entrambi i rami del Congresso ha già avviato. Le regole prevedono però che le misure approvabili con una maggioranza semplice al Senato abbiano in qualche modo a che fare con questioni di bilancio, così che alcuni elementi del piano Biden resterebbero comunque esclusi dalla versione finale, come appunto l’aumento del salario minimo federale.

In definitiva, quello che si prospetta è tutt’al più un nuovo pacchetto di aiuti all’economia dall’efficacia relativa, mentre i provvedimenti teoricamente più ambiziosi e destinati, sempre a livello teorico, a lasciare un segno a lungo termine resteranno con ogni probabilità ancora un miraggio.