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Le speranze per un’inversione di rotta sul caso Assange con il passaggio di consegne alla Casa Bianca si sono dissolte questa settimana dopo la conferma ufficiale dell’intenzione dell’amministrazione Biden di continuare sulla strada tracciata da Trump nel processo sull’estradizione dal Regno Unito del fondatore di WikiLeaks. A ribadire che nulla cambierà nell’attitudine vendicativa americana è stato un portavoce del dipartimento di Giustizia a pochi giorni dalla scadenza dei tempi per la presentazione del ricorso contro la sentenza di primo grado che a inizio gennaio aveva negato la richiesta del governo di Washington.

 

Tra molti dei sostenitori di Julian Assange erano aumentate le aspettative nelle ultime settimane per una possibile rinuncia al tentativo di estradizione da parte di Biden. Le illusioni di un possibile ammorbidimento si basavano soprattutto sul precedente dell’amministrazione Obama. L’ex presidente democratico aveva valutato anch’egli quasi un decennio fa una possibile richiesta di estradizione, ma vi aveva poi rinunciato, ufficialmente sulla base della legittimità del lavoro di WikiLeaks, assimilabile a tutti gli effetti al giornalismo e quindi protetto dal Primo Emendamento alla Costituzione americana.

Le pressioni su Biden per lasciar cadere le accuse contro Assange sono così fallite, come a nulla erano serviti gli appelli rivolti a Trump nella fase finale del suo mandato per convincerlo a concedere la grazia al 49enne giornalista australiano. Più che la presunta magnanimità dell’amministrazione Obama, per prevedere l’approccio dell’attuale presidente sul caso Assange andava studiata una dichiarazione che l’allora vice-presidente aveva rilasciato alla NBC. Nel dicembre del 2010, Biden aveva definito Assange un “terrorista hi-tech”, accusandolo, ovviamente senza nessuna prova, di avere causato “danni e messo in pericolo la vita e il lavoro di [moltissime] persone in ogni parte del pianeta”.

Visti i precedenti di Biden, non deve sorprendere che la dichiarazione rilasciata martedì dal dipartimento di Giustizia USA esprima una “estrema delusione” per la sentenza della giudice distrettuale britannica Vanessa Baraitser. Allo stesso tempo, viene evidenziato il successo dei legali del governo americano per quanto riguarda il merito del procedimento. Infatti, la giudice Baraitser aveva respinto l’estradizione perché la permanenza di Assange in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti sarebbe incompatibile con le sue condizioni di salute e provocherebbe un serissimo rischio di suicidio. A un livello più generale, quello cioè con le maggiori implicazioni per la libertà di espressione e di stampa, lo stesso magistrato britannico aveva invece sposato in pieno la linea persecutoria e anti-democratica del governo americano.

La presa di posizione del dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden conferma dunque la volontà di mettere le mani su Assange e di processarlo per 17 capi d’accusa secondo l’ultra-reazionario “Espionage Act” del 1917 che potrebbero garantirgli una condanna fino a 170 anni di carcere. Non solo ci sarà quindi una sentenza d’appello sull’estradizione, ma la conferma della linea di Trump rappresenta anche un messaggio alla giustizia britannica per riconsiderare la decisione di primo grado.

L’ipotesi che a guidare i giudici britannici sia il governo americano è del tutto plausibile se si pensa alla condotta della giudice Baraitser durante le udienze del processo contro Assange. I diritti dell’imputato sono stati puntualmente calpestati e le deposizioni dei testimoni della difesa – autorevoli, incisive e incontrovertibili – sostanzialmente ignorate. È dunque prevedibile un ribaltamento del verdetto emesso il 4 gennaio a favore di Assange. Anzi, non sembra inverosimile supporre che la decisione di respingere l’estradizione, basata su una tesi contraddittoria, sia stata presa appositamente per guadagnare tempo e permettere a un governo britannico in imbarazzo di attendere indicazioni circa gli orientamenti della nuova amministrazione americana.

Oltre ad aver messo in chiaro le sue intenzioni su Assange, il presidente Biden ha anche ignorato completamente un appello che era stato rivolto lunedì al dipartimento di Giustizia da una ventina di organizzazioni a difesa dei diritti umani e della libertà di stampa, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch, Electronic Frontier Foundation e American Civil Liberties Union.

Questo gruppo di ONG aveva scritto che il procedimento a carico di Assange “minaccia la libertà di stampa, poiché il comportamento oggetto dell’incriminazione rappresenta lo standard del giornalismo” e il precedente che verrebbe a crearsi con il via libera all’estradizione potrebbe “di fatto criminalizzare le pratiche giornalistiche consolidate”.

In definitiva, Julian Assange non è colpevole di nessun crimine. La feroce persecuzione del governo americano, in collaborazione almeno con quelli di Regno Unito, Australia ed Ecuador, nonché con la gran parte della stampa ufficiale, è la conseguenza esclusiva delle rivelazioni fatte da WikiLeaks in oltre un decennio. Dai crimini USA in Iraq e in Afghanistan alla conduzione della politica estera secondo i soli interessi dell’imperialismo americano, fino alla cospirazione del Partito Democratico per favorire la nomination di Hillary Clinton nel 2016, Assange ha avuto il merito di mettere davanti agli occhi di tutto il mondo il vero volto della principale “democrazia” del pianeta.

Il crollo, interamente prevedibile, delle illusioni riposte in Biden e nei democratici per salvare Assange è infine l’ennesima conferma dell’impossibilità di difendere democrazia e diritti civili nel quadro politico attuale, in America e non solo. La libertà e la stessa vita del fondatore di WikiLeaks, assieme alla libertà di stampa e di espressione, potranno essere difesi solo con una massiccia mobilitazione popolare che impedisca l’estradizione verso gli Stati Uniti, metta fine al suo stato di detenzione in condizioni definite anche dall’ONU di tortura e faccia cadere tutte le accuse rivoltegli contro dal governo americano.