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L’attentato all’aeroporto di Kabul ad opera dell’Isis K, fazione afgano-pakistana dell’ISIS, presenta un quadro inedito di occupanti che fuggono, terroristi che attaccano i terroristi, e gli USA che da giorni lanciavano allarmi su un attentato che è sembrato quasi una predizione. Né le forze NATO né i Talebani sono stati in grado di prevenire un attentato annunciato dai media per una intera settimana. Certo, un attentatore suicida non è semplice da intercettare e la confusione di queste ore non aiuta, ma una zona sotto il completo controllo militare della NATO, con le migliori tecnologie a disposizione, non sa intercettare la formazione e l’insediamento di una cellula ISIS? Nemmeno porre dei filtri a salvaguardia di obiettivi (peraltro ampiamente noti) è stato possibile? Non si capisce come mai una forza terroristica riesca a colpire superando un doppio livello di difesa. Ma se non conoscevano l'attentatore come hanno fatto due giorni dopo a scoprire l'ideatore? Misteri afghani? La NATO ha eserciti da operetta, buoni solo nei film oppure siamo in presenza di un confezionamento del nuovo nemico utile per le prossime mosse?

 

I Talebani controllano ormai quasi tutto il Paese. Si annuncia la resistenza degli avversari dei Talebani con la decantata guerriglia al comando di Ahmad Massoud, figlio di Ahmad Shin Massoud, detto “il leone del Panshir”. Ma appare più una operazione mediatica che politico-militare. Il figlio non ha lo stesso seguito e carisma del padre, ha un seguito modesto, pochissima influenza politica nazionale e ancor meno ruolo internazionale e non è dotato di nessun apparato militare in grado di sfidare le truppe talebane. Questa nuova guerriglia non precisata ma già così propagandata, appare piuttosto destinata a mantenere in qualche modo le mani statunitensi sul Paese senza dover pagare il prezzo di una presenza militare ormai costosa e squalificata.

Saranno infatti gli USA a fornire di armi e a fare da sponda politica a Massoud, dopo però aver firmato gli accordi di pace con i Talebani, ai quali pure hanno lasciato armamento leggero e pesante (che magari gli ex studenti di Teologia di Kabul non sapranno decifrare ma provvederenno i tecnici militari afghani addestrati dagli USA. Nemmeno l’esercito dei puffi avrebbe lasciato al nemico elicotteri Uh-60 Black Hawk, elicotteri Apache, elicotteri da ricognizione e droni militari ScanEagle, oltre duemila veicoli corazzati, mitragliatrici pesanti, missili terra aria e una spaventosa quantità di munizioni, dispositivi per la scansione biometrica, apparecchi per la visione notturna, uniformi e giubbotti antiproiettili, oltre all’armamento leggero. Tutto materiale assegnato dagli USA all’esercito afghano, che è però passato armi e bagagli con i Talebani, salvo una cinquantina di veivoli fuggiti in Uzbekistan.

Insomma, la politica estera statunitense è sempre lo stesso pasticcio di cinismo ed imperizia: con repentina velocità i nemici diventano amici e gli antichi amici vengono dati in pasto ai vecchi nemici. Come già accaduto, con i Curdi in Siria, ai quali venne chiesto di sconfiggere l’Isis promettendogli un posto al tavolo della spartizione siriana, per poi salutare in fretta e furia e riconsegnarli alla disponibilità genocida dei turchi, lo stesso avviene con i collaboratori afghani. Qualcuno potrebbe pensare che nell’atteggiamento statunitense vi sia una contraddizione insanabile, almeno una incongruenza evidente, ma l’unico interesse è per i vantaggi che possono ottenere, pazienza per chi paga il costo. Rimettendo le pedine al loro posto il quadro si fa meno opaco, per quanto complesso e inquietante.

Gli Usa si sono ritirati d una occupazione militare che con la battaglia contro il terrorismo non aveva nulla a che fare, e d’altra parte anche per gli alleati NATO il terrorismo non era il problema, visto che, come ha sinteticamente esposto il capo europeo della NATO, hanno partecipato con l’unico scopo di proteggere gli statunitensi. Che sono scappati senza decoro da una guerra priva di ogni ragionevole possibilità di vittoria e persino di mantenimento delle posizioni acquisite. Prolungare un fallimento politico e militare non sarebbe stato possibile e del resto la decisione (che fu di Trump) ben s’inquadrava nella politica di riduzione dell’impegno militare dalle zone di minor importanza strategica o dove non vi era la possibilità di vittoria da usare come propaganda politica.

Biden, insomma, ha solo applicato (male) il piano dell’Amministrazione Trump. L’uscita pacifica degli USA dall’Afghanistan in cambio della disponibilità al riconoscimento internazionale del nuovo governo di Kabul per il quale Washington si impegnerà è infatti parte degli accordi sul terreno in osservanza di quelli di Doha. Ovviamente la richiesta statunitense di non scegliere la Cina come interlocutore economico sarà bellamente ignorata: i Talebani sono tagliagole ma non stupidi. Pechino gli garantirà una creazione veloce di infrastrutture e inietterà investimenti importanti per la ricostruzione del Paese; certo, non lo farà per solidarietà caritatevole con l’Afghanistan martoriato, bensì perché esso rappresenta un elemento centrale del passaggio in Asia Centrale del progetto di Nuova Via della Seta.

Tornando agli USA, c’è però un aspetto decisivo che non va sottovalutato. Una parte del core business della presenza statunitense in Afghanistan era il controllo sulla produzione e distribuzione di una gran parte delle sostanze oppiacee da porre sul mercato internazionale delle droghe. I militari hanno a malincuore obbedito alla decisione politica di Biden ed ora si trovano con un problema da risolvere non da poco.

Gli enormi profitti non tracciabili, utilizzabili per le politiche di destabilizzazione in ogni luogo del mondo e per le covert action della CIA, andranno comunque in qualche modo preservati dalla fuga precipitosa. Ma una volta usciti come potrà garantire il proseguimento del business? I Talebani non hanno nessuna condiscendenza con la coltivazione dell’oppio; nel periodo che governarono il Paese la produzione scelse a ritmi vertiginosi. Dunque non si può chiedere ai Talebani di coltivare, raccogliere e spedire l’oppio, ma almeno si può cercare di mantenere aperte le vie d’uscita e consentire il lavoro delle strutture che del problema si sono occupate fino a pochi giorni orsono, magari in cambio della disponibilità di Washington di farsi promotrice nelle sedi internazionali di concessioni finanziarie al nuovo governo afghano.

Come molti sanno la via d’uscita per l’oppio afghano passava per due percorsi. Il primo, quello di maggior volume, viaggiava sugli aerei militari statunitensi; il secondo, attraverso la frontiera con il Tagikistan. Il fatto che ora proprio nella regione confinante con il Tagikistan si stia organizzando una guerriglia con la benedizione statunitense, rappresenta una strana coincidenza induce a pensieri al riguardo; pensieri maliziosi magari, ma non fuori luogo.

Formare e tenere una guerriglia significa poter allocare militari e mercenari con la scusa dell’addestramento, dell’approvvigionamento e del sostegno logistico e militare. Senza questa fantomatica guerriglia non si spiegherebbe la presenza di consiglieri militari e mercenari in orbita USA. Avere dei buoni amici lungo il percorso del business rappresenta un indiscutibile vantaggio. Insomma una guerriglia che arriva giusto in tempo per tirare fuori dai guai il ricco affare dell’oppio.

D’altra parte è innegabile che l’aumento della produzione degli stupefacenti sia più forte proprio dove la presenza militare statunitense è particolarmente forte (Colombia, Honduras e fino a ieri Afghanistan). Una coincidenza almeno inquietante per le anime belle che non colgono il nesso tra l’appropriazione di uno dei maggiori business del mondo grazie alle politiche proibizioniste, che sono necessarie al mantenimento della produzione clandestina degli stupefacenti ed a mantenerne alto il prezzo di mercato. A completare il quadro si deve ricordare che i ricavi finiscono nelle mani di chi controlla produzione e distribuzione regolandone l’offerta, incidentalmente lo stesso Paese primo al mondo per la domanda.

Disinvolti, questi USA: combattono i Talebani ma ci stringono accordi, formano l’Isis ma fanno finta di combatterlo e provano attraverso i loro alleati del Golfo a controllare il tutto. In Afghanistan si è consumata la peggiore sconfitta politico-militare che Washington poteva immaginare. C’è un pesantissimo danno d’immagine, di affidabilità politica e di credibilità militare. E’ la parte consistente del declino dell’impero.