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A circa 150 giorni dall’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina, la reazione occidentale, che secondo Biden avrebbe cancellato la Russia dal consesso internazionale, si rivela come un flop politico ed economico, il più vasto e profondo nella storia dell’arroganza statunitense ed europea. L’effetto boomerang delle sanzioni ha anzi accelerato la crisi che già colpiva l’intero Occidente, che ha un’origine politica, frutto di una ipervalutazione della forza di USA e UE sui mercati internazionali e del grado di influenza politica sulla comunità internazionale.

 

L’errore principale è stato concettuale: si è pensato di poter applicare sanzioni al più grande produttore di energia e cereali del mondo ignorandone il suo peso politico e militare e credendo che l’intera comunità internazionale, con una economia già in ginocchio, provata dal fallimento delle ricette liberiste e dalla pandemia, potesse e volesse approfondirla ulteriormente con la crisi delle sue forniture energetiche.

Deve esserci un ego sconfinato a Washington, un intreccio tra incapacità di leggere i processi internazionali e dimensione onirica, per pensare che in nome e per conto degli interessi statunitensi il mondo voglia suicidarsi.

L’ipervalutazione della propria leadership internazionale si è riscontrata sull’adesione internazionale alle sanzioni: confondere i numeri con il peso politico ed economico dei paesi è un errore banale, da neofiti della politica, da narcisi di fronte ad uno specchio deformante. Infatti, i più grandi e potenti paesi asiatici, africani e latinoamericani non si sono associati alle sanzioni contro Mosca. Sarebbe stato sufficiente sondare il terreno prima che fare una figura da dilettanti poi.

Il bilancio fallimentare della guerra alla Russia è qui: con l’eccezione del Giappone, i 740 milioni di occidentali non hanno portato nessun altro dalla loro parte; i paesi che rappresentano 5 miliardi di persone e che dell’Occidente non fanno parte, hanno incrementato i rapporti con Mosca, che possiede l’energia e il peso politico necessari allo sviluppo dei paesi Brics e di molta parte dell’Africa. La chiusura dei mercati occidentali è stata ampiamente compensata dall’incremento dei prodotti russi su quelli Orientali e del Sud del mondo, il che ha reso trascurabili le sanzioni finanziarie.

 

Dilettanti allo sbaraglio

Per rispondere alle sanzioni la Russia ha alzato il prezzo di combustibili del quale l’Europa ha disperato bisogno. E se Bruxelles, mentendo, indica la fine delle forniture russe come obiettivo da raggiungere entro fine anno, l’aumento dei costi per le forniture agisce direttamente sull’Europa. Perché? Perché si compra gas da Mozambico, Angola, Algeria e India, che sono tutti acquirenti del petrolio e del gas di Mosca e che, inevitabilmente, risentono degli aumenti sia quando acquistano dai russi che quando rivendono agli europei.

La volontà di guidare l’economia con le lenti distorte dell’odio ideologico della UE sta portando l’Europa ad una difficoltà di approvvigionamenti che determinerà una crisi economica serissima. Voler colpire Mosca genera maggior danno per i sanzionatori che per i sanzionati.

 

Chi ci guadagna e chi ci perde?

La pressione delle sanzioni ricade sull’Europa, che con la Cina è il vero competitor degli USA sui mercati. Bruxelles dall’inizio delle sanzioni ha dovuto rivolgersi (guarda caso) agli USA dai quali negli ultimi mesi ha importato quantità record di GNL: ma i volumi possibili non potranno mai sostituire per quantità, velocità del trasporto, costi e qualità del prodotto, il gas russo. Nel frattempo il Dollaro ha guadagnato il 13% sull’Euro e la Russia ha un vantaggio dello 0,99 sull’apprezzamento valutario e oltre ad aver guadagnato il 15% sullo scambio valutario, aumentando i costi per le forniture energetiche segna cifre record nei suoi asset strategici di settore.

Il bilancio ad oggi dice che se la cacciata della Russia dal sistema Swift era necessaria per piegare l’import/export russo, la missione è stata un disastro. Se la fornitura di armi all’esercito ucraino era destinata a sconfiggere la Russia sul terreno, l’obiettivo è irragiungibile. Se l’idea era di trasformare Zelensky nel nuovo Churchill, è affogata nel ridicolo: per capacità d’influenza e interlocuzione strategica, Zelensky più che Churcill sembra Guaidò. Se l’idea era quella di isolare la Russia è fallita: Putin è un interlocutore per il mondo, Zelensky no.

 

La UE rischia l’implosione

La trasformazione della UE in un protettorato USA sta producendo esiti nefasti. L’asse tra Berlino e Parigi, ponte di comando UE degli ultimi 22 anni, sta cedendo sotto la fine della spinta della locomotiva tedesca e della mancanza di leadership europea con autorevolezza internazionale. C’è un problema generale di tenuta del quadro sistemico, conseguenza di una fragilità politica complessiva nella quale cresce una crisi economica e sociale senza precedenti ad oggi senza sbocchi.

Alcune crisi che colpiscono il Vecchio Continente sono contrassegnate da dimissioni dei capi di governo. Il caso più eclatante è la Gran Bretagna, con Boris Johnson, che con Biden ha guidato la carica anglosassone contro la Russia.

La crisi economica interna non ha favorito la solidarietà dei sudditi di sua maestà col premier festaiolo: Oltremanica l’inflazione ha già abbattuto il tetto del 9% e secondo il The Guardian una famiglia britannica su dieci non ha da mangiare a sufficienza e non perché manchi il cibo ma perché costa troppo.

Caduta di governi anche in Estonia e in Bulgaria, dissensi aperti di Ungheria, Austria e Croazia, ma è nel cuore UE che le cose si fanno serie.

La Germania ha dichiarato l’emergenza energetica e il razionamento di luce e gas e Berlino sta già pensando a come sfilarsi dalle sanzioni che rischiano di abbatterla economicamente. Olaf Sholz non ha né l’esperienza, né il carisma né l’autorevolezza di Angela Merkel, e le decisioni assunte su ordine USA rischiano di indirizzare la Germania verso la fine della sua supremazia economica e politica.

La Francia, nonostante il suo nucleare, si è detta nel pieno di una “economia di guerra” e lo spettro delle rivolte dei gilet gialli torna ad agitare Macron, oggi più debole politicamente e numericamente nell’Assemblea Nazionale. E’ ripresa con forza la protesta sociale che due settimane fa ha bloccato i trasporti aerei e ferroviari. Inflazione al 6,5%.

La Spagna va incontro ad una crisi politica segnata dal cedimento di Podemos alle sirene atlantiche con la conseguente disaffezione del suo elettorato e il PSOE vede Sanchez superato nei sondaggi dai Popolari (che però anche con l’appoggio di VOX non arriverebbero alla maggioranza assoluta). Si ripropone lo stallo che ha caratterizzato gli ultimi anni della vicenda politica spagnola e bene indica il limbo tra sogni coloniali e realtà di colonizzati che affligge la penisola Iberica.

I Paesi Bassi, teorici del rigore, hanno visto preoccupati le ondate di scioperi di agricoltori, allevatori e pescatori in Olanda che hanno paralizzato il Paese, mentre in Italia la pseudo-monarchia di Draghi sembra avere i mesi contati.

La questione infatti sembra essere quando, e non più se, il M5S farà cadere il suo governo dal furore atlantista che ha infinitamente peggiorato le condizioni socioeconomiche degli italiani. Indipendentemente dall’insipienza di Conte, che sembra non cogliere come è sulla guerra dove una nuova aggregazione politica nasce o muore prima ancora di nascere e pur di fronte alla migrazione dei parlamentari che seguono la storia delle compravendite parlamentari, l’asfissia politica del regime che Draghi rappresenta (ultraliberismo e Atlantismo) è sotto gli occhi di tutti. Il demiurgo non è più tale da un pezzo e i risultati economici catastrofici che ha raccolto non sono occultabili.

In attesa che una stampa prona se ne accorga, a dirlo ci pensa il Rapporto annuale dell'Istat (istituto nazionale di statistica), dal quale emergono numeri spaventosi per la povertà degli italiani. Il numero di persone in povertà assoluta, dal 2005 al 2021è quasi triplicato, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale) e le famiglie in povertà assoluta sono raddoppiate da 800 mila a 1,96 milioni (il 7,5%). Quanto ai salari, retribuzione oraria è inferiore a 8,41 euro l’ora. L’inflazione è al 6,4%. I manager guadagnano 65 volte di più degli operai.

E questo ancora senza aver calcolato gli effetti della guerra e le sanzioni alla Russia che dal prossimo autunno colpiranno duramente le economie europee in generale e quella tedesca e italiana in particolare, proprio a causa della maggiore dipendenza dal fossile russo.

Non è allarmismo, lo conferma Fatih Birol, Direttore Esecutivo dell'International Energy: “L’Europa dovrà affrontare un allarme rosso per il prossimo inverno. Le recenti interruzioni delle forniture di gas naturale, in particolare la Russia che ha tagliato drasticamente i flussi verso i paesi dell'UE, dovrebbero rimuovere circa 35 miliardi di metri cubi di gas dal mercato quest'anno, ponendo grandi sfide agli sforzi per riempire lo stoccaggio”.

Sembra procedere a tappe forzate la perdita di ruolo dell’Europa che non ha più una funzione da svolgere, avendo rinunciato a perseguire in suoi interessi per aderire con cieca obbedienza atlantista agli interessi USA. Una sindrome di Stoccolma che in 4 mesi è diventata suicidio assistito.