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In piena campagna elettorale per il voto di “metà mandato” a inizio novembre, Joe Biden e Donald Trump qualche giorno fa hanno pronunciato discorsi pubblici incentrati sul pericolo di una imminente “dittatura” negli Stati Uniti. Eccezionale è stato in particolare l’intervento del presidente in carica, protagonista di una discussa apparizione a Philadelphia per avvertire gli americani della trasformazione del Partito Repubblicano, sotto la guida del suo predecessore alla Casa Bianca, in un movimento fascista a tutti gli effetti.

Il discorso di Biden era stato organizzato simbolicamente di fronte alla “Independence Hall” nella prima capitale degli Stati Uniti – Philadelphia – con una coreografia inquietante che intendeva unire presunti riferimenti alla tradizione democratica americana ad altri intrisi di militarismo.

 

Il rilievo delle parole di Biden risiede nel fatto che, per la prima volta dall’assalto all’edificio del Congresso del 6 gennaio 2021, il presidente ha denunciato apertamente le tendenze fascistoidi dei repubblicani, più precisamente della fazione dominante riconducibile allo slogan trumpiano “MAGA” (“Make America Great Again”). Fino ad ora, la strategia democratica e dell’inquilino della Casa Bianca si era basata su attacchi diretti quasi esclusivamente contro la persona di Trump, come se fosse stato l’unico responsabile degli eventi seguiti alle elezioni del 2020.

A livello teorico, il giudizio di Biden è per certi versi ineccepibile, anche se decisamente tardivo ed espresso solo per calcoli politici. Inoltre, la ricostruzione appare semplicistica e, inevitabilmente, manca di qualsiasi analisi dell’esplosione del fenomeno Trump. Per quest’ultima ragione e per le implicazioni elettorali della presa di posizione di Biden, il suo discorso ha con ogni probabilità provocato più di un malumore in alcuni ambienti del Partito Democratico.

Il surriscaldamento del clima politico USA di questi giorni deriva in buona parte dalle polemiche seguite alla perquisizione dell’8 agosto scorso da parte dell’FBI della residenza di Trump in Florida. Dal raid, gli agenti della polizia federale avevano sequestrato alcune casse di documenti con vari livelli di segretezza che Trump aveva portato con sé dopo il trasloco dalla Casa Bianca. L’iniziativa dell’FBI, che dipende dal Dipartimento di Giustizia, aveva prevedibilmente infiammato l’opposizione trumpiana, minacciando di trasformarsi in un boomerang per l’amministrazione Biden.

Trump ha infatti sfruttato puntualmente l’irruzione dell’FBI nella sua mega-villa di Mar-a-Lago, da ultimo durante il discorso di sabato in Pennsylvania, dove ha definito i fatti di inizio agosto come un attacco anti-democratico della “sinistra radicale”. Le apprensioni dei democratici sono comprensibili, dal momento che ogni azione diretta contro Trump da parte di un’amministrazione ultra-screditata e, per moltissimi repubblicani, illegittima diventa un’arma in più nella campagna elettorale in corso.

In questa prospettiva, anche il discorso di settimana scorsa a Philadelphia di Biden è stato giudicato negativamente da molti voci vicine al Partito Democratico, le quali hanno spesso accusato il presidente di essere stato troppo “di parte”. Il problema per i democratici in vista di una già molto probabile batosta elettorale è che Biden ha sostanzialmente delegittimato i 74 milioni di elettori che avevano votato per Trump nelle presidenziali del 2020, insistendo su temi vagamente moralistici e una vuota retorica pseudo-democratica.

Ci sono pochi dubbi che Trump e i suoi fedelissimi nel Partito Repubblicano stiano da tempo alimentando sentimenti ultra-reazionari, sfruttando i soliti temi dell’estrema destra: dalla guerra totale all’immigrazione clandestina al nazionalismo estremo, dal fondamentalismo religioso all’esaltazione delle forze di polizia, dal diritto assoluto alla detenzione di armi all’anti-abortismo radicale. L’associazione, fatta da Biden, delle decine di milioni di elettori repubblicani con il fascismo promosso durante i comizi dell’ex presidente e dei suoi seguaci è però fuorviante e serve al preciso scopo di confondere l’opinione pubblica sulle cause dell’ascesa della destra estrema negli Stati Uniti.

Trump ha in altre parole sfruttato in maniera abilissima le frustrazioni soprattutto di lavoratori e classe media, tradizionale base elettorale del Partito Democratico, in modo da creare un movimento di massa, o poco meno, dietro la promessa di combattere irriducibilmente un sistema elitario e ossessionato dalle questioni di razza e di genere. Per quanto poi gli attacchi di Trump siano diretti immancabilmente contro socialismo, marxismo ed estrema sinistra, accostare queste definizioni a Biden e al Partito Democratico non ha nessun senso, ma rivela una strategia attentamente studiata, oltre che i timori per una possibile mobilitazione anti-sistema da sinistra.

È evidente che quello Democratico americano è in tutto e per tutto un partito “capitalista”, ma la battaglia di Trump può essere condotta soltanto da destra, anche se la sua retorica sfrutta tendenze che nella popolazione americana sono oggettivamente di sinistra, sia pure espresse in modo confuso. Nella stessa prospettiva vanno letti i riferimenti di Trump alla guerra in Ucraina e la denuncia dello spreco di risorse voluto dall’amministrazione Biden per cercare di indebolire un rivale strategico come la Russia. A questo proposito, è significativo che il presidente in carica nel suo discorso di Philadelphia non abbia invece mai citato la crisi russo-ucraina, ben sapendo dell’impopolarità di questo tema tra gli americani costretti a fare i conti con un’inflazione crescente e la carenza di molti beni di prima necessità, dirette conseguenze del conflitto provocato da Washington.

In linea generale, il fatto che Biden abbia denunciato solo ora la deriva fascista del Partito Repubblicano rivela la disonestà del Partito Democratico e l’interesse non tanto per le pericolose tendenze autoritarie che stanno emergendo negli Stati Uniti, quanto per le pessime prospettive elettorali in vista di novembre e delle presidenziali del 2024. Scrupoli che d’altra parte non potrebbero essere differenti, vista la deriva stessa dei democratici in partito della guerra, del “deep state”, dei grandi interessi finanziari e, come quello Repubblicano, della battaglia contro le classi più disagiate.

Lo stesso zelo mostrato dall’FBI nell’indagare e perquisire, con una mossa senza precedenti, un ex presidente nella sua abitazione presenta non pochi punti oscuri, per nulla chiariti da una stampa in grandissima parte schierata con i democratici. Mentre le carte relative al raid e all’indagine su Trump sono state in parte rese pubbliche con pesantissime censure, sono in molti a ipotizzare che tra i documenti sequestrati in Florida ci siano prove del complotto condotto dall’FBI contro l’ex presidente per collegarlo al “crimine” di collusione con la Russia.

Anche sulla legittimità del possesso dei documenti riservati da parte di Trump si è discusso molto. I suoi legali sostengono che tutto il materiale che si trovava a Mar-a-Lago fosse stato oggetto di un provvedimento di “declassificazione” prima dell’uscita di Trump dalla Casa Bianca, ma finora non ci sarebbe traccia dei possibili decreti emessi dall’allora presidente nel pieno delle sue facoltà. Sempre gli avvocati di Trump accusano l’FBI di avere requisito illegalmente documenti che rientrano nella sfera della corrispondenza tra legale e assistito, la cui riservatezza è garantita dalla Costituzione. Lunedì, un tribunale della Florida ha accolto la richiesta di Trump di nominare uno “special master”, cioè una figura imparziale, per analizzare il materiale sequestrato all’ex presidente.

Lo scontro è ad ogni modo di natura principalmente politica e non c’è dubbio che, al di là del merito del comportamento di Trump, il Partito Democratico e l’apparato di potere a esso collegato stiano cercando in tutti i modi di neutralizzare la minaccia elettorale rappresentata dall’ex presidente. Il rischio di un ritorno alla Casa Bianca di Trump non è legato soltanto a questioni di potere sul fronte domestico, ma promette di mettere in discussione, com’era accaduto nel corso del suo primo mandato, la strategia planetaria per invertire il declino USA, ovvero il confronto sempre più agguerrito con potenze come Russia e Cina, di cui la guerra in Ucraina è uno dei riflessi.

Per fermare la seconda ascesa di Trump, quindi, Biden e i democratici sembrano essere pronti anche a rischiare una spaccatura del sistema monolitico che domina a Washington, trasformando i repubblicani da colleghi con cui trovare convergenze sulle questioni cruciali per il capitalismo americano a nemici sempre più in odore di fascismo. Sullo sfondo resta un conflitto sociale a livelli esplosivi che, in assenza di prospettive progressiste, minaccia seriamente di sfociare in quella “dittatura” paventata da Biden, la cui responsabilità sarebbe tuttavia da attribuire principalmente alla sua amministrazione e al suo partito.