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di Elena G. Polidori

Gli applausi sono forti per tutti, da Boselli a Giordano, ma le ovazioni sono per Cossutta e Occhetto, simboli viventi di una divisione politica ed ideologica avvenuta quando ancora non vigevano trionfanti le regole del marketing elettorale. Le migliaia e migliaia di persone che hanno affollato il Palazzo dei Congressi a Roma sono arrivate da ogni parte d’Italia e da ogni luogo della sinistra, con o senza partito. La scommessa è quella di riuscire a prendere il treno, forse l’ultimo che passa per questa generazione di colonnelli e luogotenenti, dell’unità a sinistra. Una di quelle ipotesi che fanno sognare il popolo della sinistra e agitano i sogni degli apparati dei partiti di sinistra. Certo, sentir le note di “Bella Ciao” o dell’”Internazionale” fa scorrere un brivido lungo la schiena, di quelli buoni, che ti emozionano e ti commuovono anche un po’; dà la sensazione di trovarsi in un luogo dove non mancano riferimenti ed attese. Quelle, per precisare, di una Sinistra “nuova, plurale, autonoma, critica, larga, di governo”. E’ nata la Sinistra Democratica. L’atto di nascita reca 5 maggio, come per Marx, ma questa forse è stata solo una coincidenza. L’ha voluta fortissimamente Fabio Mussi, sostenuto da tutto quel popolo della sinistra che ha vissuto l’ultimo congresso dei Ds a Firenze come un funerale e che oggi spera e vede nel socialismo europeo un solido porto d’attracco nella formazione di una nuova casa politica che tanto manca in Italia. Ma è un movimento nuovo che conta tanti padri, ciascuno con un’identità e una storia alle spalle che non intende in alcun modo rinnegare. E che tuttavia, per garantire un futuro a questa “cosa” che vada oltre il semplice, primo vagito, si dice pronto a trasformasi in pontiere, mediatore, acceleratore o frenatore a seconda delle necessità, pur di raggiungere in tempi brevi il comune obiettivo dell’unità a sinistra. Parole ed intenti che il folto e disorientato popolo della sinistra ha accolto con applausi scroscianti, desideroso di ritrovarsi, a breve, sotto un unico tetto. C’è “qualcosa di sinistra” nell’aria, ma il tempo rischia di non semplificare le cose.

Al netto degli entusiasmi, i toni e le sfumature sul futuro della sinistra italiana declinati dal palco, hanno messo in evidenza diversità che, alla lunga distanza, potrebbero risultare inconciliabili. Il cammino si annuncia quindi lungo, ma vale la pena, almeno oggi, di registrare un “primo passo” nato, per dirla con Mussi, “dalla convinzione di avere, non oso dire una missione, ma un dovere, di provare ad unificare la sinistra; non aggiungiamo un partito agli altri, ma un movimento che si propone di unificare”. Ma se Mussi ha voluto sottolineare ciò che unisce tutti, quei valori identitari di fondo così simili dallo Sdi ai Verdi, dal Prc al Pdci, per Gavino Angius di “apprezzabile”, in prima battuta, c’era solo “quell’orgoglio socialista” che in Italia non trova sponda in alcun partito. E, ancora, mentre Mussi sognava ad occhi aperti una Epinay italiana che riparta dai contenuti, dal “lavoro” e dall’”ambiente”, un certo più guardingo Angius ha costellato il suo discorso di perplessità: "Se saremo capaci di aprire un confronto serio, aperto e costruttivo – ha sottolineato _ allora inizierà la semina e in primavera i frutti germoglieranno, inizierà una pagina nuova della storia in cui saremo rispettosi delle storie di ciascuno, ma attenti ai contributi di tutti”: meno entusiasmo, più pragmatismo.

Di certo qualche “se” di troppo, nelle parole di Angius, nel giorno di un battesimo così importante, ma che sembrano risentire dell’influenza di altri “dissidenti” come Peppino Caldarola, al momento osservatore attento dal gruppo misto della Camera: “Inseguire il sogno dell’unificazione di tutta la sinistra – ha detto solo qualche giorno fa – è molto generoso, ma privo di concretezza”. Eppure, “Rifondazione c’è”, ha scandito Franco Giordano, glissando sulla possibile annessione del nuovo soggetto al Pse, passo titanico per la base del partito che Mussi ha voluto commentare senza false speranze: “Portare Rifondazione nel Pse? Io ci provo, nei grandi partiti socialisti europei c’è un arco di posizioni molto ampio”. Troppo grande per alcuni, troppo piccolo e diverso per altri. Ma Rifondazione appare invece, almeno nella maggioranza del suo gruppo dirigente, quella più disposta ad investire, nonostante sia la depositaria del “tesoretto” elettorale più consistente. Risulta generosamente in corsa, anche rischiando di non trovare accordo tra autista e navigatore.

Dall’assise dell’Eur e dai discorsi di questa classe dirigente di sinistra, ancora troppo legata a schemi antichi e con un entusiasmo che viaggiava di pari passo alla possibilità di mantenere le proprie rendite di posizione anche all’interno del nuovo soggetto, sono emerse non una ma due possibili percorsi di “costituente”, diversi e paralleli. Il primo, sostenuto dallo Sdi di Boselli, che vorrebbe dare un’impronta fortemente socialista al nuovo soggetto e l’altro, quello della cosiddetta “sinistra radicale” che punta a diventare luogo di riferimento della base elettorale oggi senza partito forse già alle amministrative del 2008 e dopo alle europee del 2009. Il primo conta su gambe fragiline, quelle di Boselli, mister 1%, che da giorni spiega a tutti che di unità non si può parlare. L’altro su gambe da riposizionare, quelle di chi senza falce e martello proprio non può vivere, quelli dei “meglio meno ma meglio”, jattura secolare.

Per il momento si gioca all’interno di entrambe le “case”, proponendosi come cerniera di tutto il movimento della sinistra, al punto da far entrare presto in azione i gruppi parlamentari, la fondazione e gli organi di comunicazione, un modo per dare ai “quadri” politici al lavoro nel cantiere almeno una base solida su cui lavorare. Ma restano ancora tante incertezze, una delle quali sintetizzata da Diliberto: “Se ci chiedono di diventare socialisti, io non ci sto”. Battuta che serve a rinverdire la confederazione, ma questa risulta essere una sorsata d’acqua cattiva sulla sete decennale di unità che viene dal basso. Insufficiente, inadeguata. Buona forse per partire, non come approdo. Serve a garantire gli apparati, non gli elettori.

La corsa è dunque ancora lunga, ma il fatto che l’intera compagine degli attori in campo sia adesso al governo, potrebbe far accelerare il passo verso la costituzione del soggetto unico. Sapendo che, con l'incombere della riforma elettorale e il nuovo assetto politico, niente potrà più essere come prima. Le distinzioni potrebbero risultare fatali ai più, mentre un nuovo soggetto politico unico potrebbe cambiare in meglio il quadro politico italiano. Il popolo in attesa lo reclama con forza, anche se i dirigenti dell’attuale sinistra non sembrano in grado di rispondere con compattezza e a breve distanza.