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di Fabrizio Casari

Prima Fassino, poi Bersani, quindi Rutelli. Dopo l’assemblea di Roma della nuova sinistra, che se non altro per quantità di partecipanti ha stupito tutti, organizzatori in primo luogo, le “bocche di fuoco” del Partito democratico sono entrate in azione. Obiettivo, attaccare la nascente Sinistra Democratica di Mussi e Angius per ridurne l’impatto sull’elettorato progressista. Non tanto e non solo per polemica con chi ha deciso di non seguirli nella nuova avventura, quanto per contrastare da subito la possibile evoluzione politica di quel che già dimostra di poter diventare, potenzialmente, ben più che un nuovo partitino alla sinistra del Pd. Dal punto di vista dei Ds la situazione, infatti, non è semplice: in primo luogo le uscite sono tutte dalla parte loro, visto che dalla Margherita non vengono sussulti operativamente significativi. Il che significa che, per iniziare, il rapporto di forza tra le due componenti unite in una sorta di DICO della politica costruita in laboratorio, in qualche modo viene modificato a svantaggio dei Ds. In secondo luogo, la nascita di una nuova aggregazione a sinistra del PD costringe i DS a non scoprire eccessivamente il fianco sinistro del nuovo partito nato a Firenze, per evitare che si aggiungano numerosi gli ex-Ds che non hanno scelto, o perlomeno non ancora. Come evitare dunque che il percorso della Sinistra Democratica colga consensi ben più ampi di quelli in qualche modo preventivati? Per il nuovo PD la strategia è chiara: alzare il tiro contro la nuova formazione di Mussi e Angius. Dapprima, per ridurre il possibile appeal dell’operazione SD, era arrivata la polemica preventiva che, in una sorta di pianta organica della politica, certificava l’assenza di spazio tra il PD e Rifondazione.
Quindi, vista la scarsa efficacia dell’argomento, soprattutto da parte di chi si è candidato ad occupare lo spazio più intasato del panorama politico, cioè il centro, si è passati ad altro: l’incompatibilità della convivenza tra le diverse storie, da Boselli a Giordano. A detta degli esponenti del PD e dai commentatori politicamente affini, ad una sostanziale unificazione con i socialisti, rivendicatori orgogliosi della storia del PSI, si opporrebbe un cammino verso il soggetto unico della sinistra. Due opzioni indicate come inconciliabili.

La prima, che certamente risulterebbe meno divaricante con gli obiettivi del PD, viene però sottostimata, mentre si evidenziano i rischi politici del percorso unitario a sinistra. In questo secondo caso, però, il risultato sarebbe, secondo gli esponenti del PD, un flop oppure, in via subordinata, una inevitabile subalternità degli ex esponenti della sinistra diessina a Rifondazione, che parrebbe in grado - per forza elettorale e strutture sul territorio, forza parlamentare e mezzi a disposizione - di esercitare una egemonia sull’eventuale percorso unitario.

A guardare bene, però, i conti non tornano. Si potrebbe infatti obiettare che il percorso unitario generalmente inteso – dallo SDI al PRC – è lo stesso che, pur nelle sue diversità di approccio – si trova già al governo. Se quindi può governare, nell’ambito di una coalizione, non si vede perché non potrebbe convivere nella formulazione di un progetto politico che è anche di governo. E d’altro canto, anche la seconda obiezione non pare avere molto fondamento, visto che l’alleanza “innaturale” tra gli ex diesse e Rifondazione non è certo meno problematica di quella tra diesse e Margherita; se risultano infatti ovvie le differenze politiche tra gli ex-comunisti e i comunisti, forse saranno maggiori quelle tra ex-comunisti e democristiani, no? Insomma, se tenere insieme Mussi e Giordano appare problematico, perché appariva e appare meno problematico tenere insieme Mussi e Binetti?

Questo, sia chiaro, non elimina la necessità d’individuare un percorso praticabile e vincente da parte della nuova aggregazione a sinistra. Boselli, in compagnia di Angius, sostiene che la comune appartenenza al Partito Socialista Europeo (che in forma organizzata esiste, è bene ricordarlo, solo come gruppo parlamentare a Strasburgo; ben altra cosa è l’Internazionale Socialista) dovrebbe avere, come sbocco naturale del percorso degli ex-ds, l’approdo unitario con lo SDI, pronto a breve a riprendere la sigla di PSI. Con la sinistra “radicale”, poi, Boselli e Angius, con venature anche molto diverse, riconoscono la possibilità di una interlocuzione su alcuni temi dell’agenda politica, ma non certo un possibile percorso unitario verso la formazione di un nuovo soggetto politico.

Ma l’appeal elettorale del PSI è praticamente nullo, anche in virtù di ciò che evoca nell’immaginario nazionale. E, spiace constatarlo, Boselli, più che richiamarsi a Turati e Lombardi, sembra rivendicare la storia del craxismo. Questo, più che essere un elemento di richiamo ideale per gli ex-ds, dovrebbe risultare piuttosto un ostacolo difficilmente sormontabile. Dunque, se ci si concentra sulle possibili convergenze di storia e percorsi si fa poca strada e, sul piano squisitamente elettorale, se questo fosse l’esito finale, sarebbe ben povera cosa. Risulterebbe davvero l’ennesimo partitino del 2-3%.

La questione piuttosto è un’altra. Pur dovendo aggiornare (rapidamente) categorie interpretative, analisi e pratiche politiche, la sinistra, in quanto tale, è già una indicazione. Lo è sotto il profilo del sistema di valori e, se non indica già da oggi prospettive e programmi, almeno ha chiaro cosa non è e cosa non vuole diventare. Non è poco di questi tempi. Perché se l’aggiornamento teorico e politico è reso urgente dalla velocità delle trasformazioni sociali ed economiche in corso, pena il non riuscire a leggere i processi politici, è ancor più vero che la sostituzione delle categorie analitiche con il marketing elettorale, di ogni identità culturale con il nulla, dei riferimenti di classe con l’interclassismo, non porta da nessuna parte. Al contrario, prendere atto della crisi del modello politico imperante e proporre soluzioni diverse sui grandi temi che caratterizzano il rapporto tra la politica e le domande e le attese dei miliardi di esseri umani che il modello lo patiscono, è il primo, inderogabile compito di chiunque si appresti a dare vita ad un progetto politico degno di tal nome.

Si tratta di procedere per tappe. Il coordinamento dei gruppi parlamentari della sinistra che va dalla Sinistra democratica a Rifondazione, è un primo, significativo passo. Non è però sufficiente. Nella gestazione di un progetto unitario destinato alla nascita di un nuovo soggetto politico di tutta la sinistra, oltre ad un percorso “dal basso”, servirebbe da subito procedere verso la formazione di un gruppo parlamentare unico, dotato di un portavoce, sia alla Camera che al Senato. L’attuale composizione dei gruppi parlamentari porterebbe a 100 deputati e 50 senatori. Sarebbe il terzo gruppo parlamentare, capace di determinare la tenuta politica della maggioranza e d’influire non poco sugli indirizzi politici dell’Esecutivo.

E, soprattutto, smonterebbe numericamente, prima ancora che politicamente, le aspirazioni verso la strategia delle “mani libere” del PD (o almeno di una sua parte), minando alla radice le operazioni trasformistiche in tutte le direzioni e contribuendo non poco al rafforzamento del bipolarismo “di fatto” del sistema politico italiano. Sarebbe, tanto per cominciare, un bel regalo per la democrazia italiana.