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di Fabrizio Casari

I Pacs escono dalla Finanziaria. Il governo ha infatti ritirato l’emendamento che equiparava l’aliquota fiscale della successione anche alle unioni civili, cioè a tutte le convivenze diverse dal matrimonio. Era una norma giusta, pur se insufficiente. Niente da fare. L’emendamento è stato sostituito da un ordine del giorno del Governo che impegna la maggioranza a presentare, entro il 31 gennaio del 2007, una legge ad hoc. Non è certo una buona notizia, ma qualche ragione il Governo ce l’ha, dal momento che l’emendamento non sarebbe passato nella Commissione Bilancio, visto che la Margherita avrebbe votato contro insieme al centrodestra. Lo sbarramento dei dielle era del resto prevedibile: se nel voto di fiducia non sono possibili alleanze trasversali, lo sono invece in sede di Commissione. Dunque, se l’emendamento sui Pacs avesse superato l’esame della Commissione Bilancio, il partito di Rutelli avrebbe dovuto poi votarlo in sede di fiducia sulla Finanziaria, cosa che avrebbe mandato Ruini su tutte le furie. Prodi ha quindi scelto di ritirare l’emendamento per salvare la finanziaria dalle forche caudine dell’alleanza tra Margherita e centrodestra in Commissione. Insistere perché l’emendamento rimanesse, avrebbe significato la spaccatura della maggioranza, con inevitabili conseguenze sul governo. Si è scelta però, comprensibilmente o meno, una soluzione di tattica parlamentare di fronte ad un problema che è, invece, squisitamente politico.
E d’altra parte, per restare nel merito del provvedimento, vorremmo osservare che rimandare il tutto ad un ordine del giorno non risolve comunque il problema, perché il rischio che la maggioranza non resti compatta, cioè che la Margherita possa votare contro l’ordine del giorno pur votando la fiducia, è concreto. A quel punto il risultato sarebbe questo: niente ordine del giorno e niente legge a gennaio.

Il ricatto dei Ruini-boys è molto grave e non è il primo che questo Governo subisce: in questo caso, la gravità consiste non solo nel merito, ma anche nel metodo, giacché l’emendamento non era a firma di una delle forze politiche della maggioranza, bensì del governo collegialmente inteso. Gli esponenti del centrosinistra tendono però a vedere come un successo la decisione di Prodi. A loro modo di vedere, quando l’ordine del giorno del Governo sui Pacs verrà presentato, la Margherita non potrà votare contro, pena l’apertura di una crisi. A conforto di questa lettura, c’è la presa di posizione di Prodi sull’ordine del giorno, che impegna tutto il governo nell’assumerlo come “parte importante dell’attuazione del programma”.
Ma sarà davvero così? Davvero la Margherita, almeno nel suo settore più papalino, non è disposta ad una crisi di governo in nome delle sue “sensibilità etiche”? Non ne siamo affatto convinti in assoluto e, meno che mai, in tempi di prove generali per le larghe intese.

E comunque, se in un impeto di furbizia, la coppia Binetti-Rutelli decidesse di stare al gioco e votare l’ordine del giorno sui Pacs, chi gli impedirebbe di votare comunque, successivamente, contro la legge?
Per questo la manovra di Prodi appare tatticismo puro e senza nemmeno grandi prospettive di successo. Si sa benissimo che una legge che riconosca il pieno godimento dei diritti civili alle unioni di fatto non ha la benché minima possibilità di essere approvata da questo Parlamento. E questo non perché la differenza tra centrodestra e centrosinistra, soprattutto al Senato, è roba da uno o due voti; ma perché la stessa maggioranza parlamentare che sostiene il Governo, sui temi dei diritti civili è - per usare un eufemismo - composta da “sensibilità” diverse.

Dunque, delle due l’una: o Prodi decide che va fino in fondo sul tema dei Pacs, anche solo come paradigma di un impianto legislativo che riconosce la laicità come principio ispiratore delle norme che regolano i diritti civili - e comunque in coerenza con quanto scritto dal suo programma di governo - oppure, in nome della tenuta della maggioranza, si prepara a subire il ricatto permanente dei teodem.

E se le sue personali posizioni dovessero risultare in qualche modo coincidenti con quelle degli ultras cattolici, deve sapere però che questo aprirà anche ad altre componenti della sua stessa maggioranza la possibilità di rendersi inflessibili sui temi che caratterizzano la loro identità politica. D’altra parte, la storiella secondo la quale gli “etici” sarebbero i teocrati mentre gli “ideologici” sarebbero i laici, può essere spacciata solo nelle parrocchie.

Il ricatto dei teodem per il momento ha funzionato, perché nel suo complesso, questa maggioranza non ha nelle sue corde la laicità, del resto mai rivendicata come valore fondante della coalizione di centrosinistra. Anzi, proprio il terreno della laicità è stata considerata uno dei possibili campi di battaglia sui quali superare questa stessa maggioranza in funzione della riaggregazione del blocco confessionale. E le recenti sortite di Casini, hanno certo avuto l’effetto moltiplicatore delle tendenze clerico-democristiane in cerca di future balene bianche.
Nel disegno di riaggregazione del blocco cattolico-confessionale, gioca ormai un ruolo determinante la Margherita, autentica pietra al collo della modernizzazione civile del paese, che si dimostra ormai espressione diretta delle volontà d’OltreTevere. La sua esponente più buffa e spericolata, la Senatrice Binetti, donna che piega la scienza ai suoi dogmi religiosi, (per i secondi ha chiara fama, per la prima molto meno) è divenuta nei fatti il ventriloquo del Vaticano e, nelle sue più recenti performances – al limite del macchiettismo – ha dato prova di quanto sui temi “eticamente sensibili”, sia il partito di Rutelli e Ruini che detta lo spartito. Sui temi economici, come su quelli “etici”, la Margherita appare, in sostanza, la vera protagonista di una operazione che tende ad impedire che il blocco elettorale che ha portato Prodi a Palazzo Chigi, diventi – per effetto della sintesi tra le diverse forze che lo compongono – un blocco politico. Operazione che, sia chiaro, vede proprio nella leadership di Prodi la vittima designata.

La Margherita, in sostanza, gioca due parti in commedia: da un lato finge di cimentarsi sul Partito democratico quale terreno di sintesi di due scuole – cattolica e laica, democristiana e socialista – e, dall’altro, si cimenta con ardore nell’ipotesi di riaggregazione neocentrista su basi confessionali. Parallelamente, mette sul tavolo il suo ruolo di titolare indiscussa di questa maggioranza, mentre sotto il tavolo prepara il suo superamento.

Ma la laicità dello Stato non può più essere tema di tattica politica tra i diversi schieramenti ed al loro stesso interno. Senza laicità, anche l’uguaglianza e la democrazia, sono solo parole vuote. In un mondo multiculturale, multietnico, multireligioso, la laicità è il banco di prova che garantisce che l’uguaglianza dei diritti non consolidi una società di escludenti ed esclusi.
La retromarcia del Governo sul tema dei diritti civili segue altre retromarce sul piano sociale e su quello delle politiche attive per il lavoro; ma così come nelle politiche economiche si afferma la necessità di riassetto dei conti dopo la voragine lasciata dal centrodestra, allo stesso modo, in tema di diritti civili, sarebbe servita una inversione di tendenza netta. Che non c’è stata.
La sinistra, che vede il suo principale partito ormai ostaggio dell’araba fenice del partito democratico, sembra accontentarsi. Proprio gli equilibri del nascituro partito stanno minando nel fondo la coesione della maggioranza; una sorta di tela di Penelope, che di giorno assume le sembianze di una operazione di semplificazione politica e di notte sega l’albero su cui il governo Prodi siede.

L’hanno chiamata verifica, ma al di là dei termini, é evidente che a gennaio la resa dei conti avrà il suo inizio. Dalle liberalizzazioni di Bersani (affondate dalla Margherita) al decreto Turco sulle dosi dei principi attivi della cannabis, utile a tenere tanti giovani lontano dalle galere, (sfiduciato in Commissione Sanità del Senato dal voto contrario della senatrice Binetti, oltre che da alcune esponenti Ds in cerca di visibilità), questo governo continua a non riuscire a tracciare una linea riformatrice, di cui tutti avvertono il bisogno e per la cui attuazione molti l’hanno votato. Si tratterà di vedere quanto, dalle liberalizzazioni della sacerdotessa dei mercanti, Linda Lanzillotta, fino alle prospettive teocratiche della sacerdotessa tout court Binetti, la componente rutelliana potrà continuare a tenere in ostaggio il governo Prodi.

Per la sinistra si tratta di rivendicare un progetto di riforma della società italiana che non può accettare la “modernizzazione” degli affari ed il medioevo dei diritti. Una coalizione politica senza una cultura politica condivisa è solo un blocco parlamentare senza futuro. Serve un chiarimento di fondo che dia un senso al processo riformatore. Se si vuole avere una prospettiva diversa da quella della navigazione a vista. Peraltro a bordo di un fragile vascello.