Manca poco, pochissimo, alla data fatidica del 9 Aprile e le ultime settimane
consumate in battibecchi tra i due schieramenti avversi confermano la sensazione
di trovarsi di fronte ad una delle più brutte campagne elettorali di
tutti i tempi, con una leadership politica decisamente modesta, anche quella
di sinistra, "caimanizzata" com'è, per dirla con Nanni
Moretti, dallo scontro frontale con un berlusconismo, in quanto fenomeno culturale
sempre più scomposto e pericoloso.
Il reame attualmente al potere, percependo gli scricchiolii sempre più
evidenti, sembra pronto agli ultimi colpi di coda, e non è neppure escluso
che l'elettorato si rechi alle urne con allarmi terroristici in corso.
Con Tremonti, addirittura, l'avversario diventa agente della Cina, e dal rosso
si passa quindi a sottolineare il giallo delle copertine dei programmi e del
tir elettorale di Prodi.
Eppure queste politiche, per altri versi, risultano decisamente interessanti,
a patto di non volersi fermare ad un riduzionismo semplicistico.
Più di qualsiasi altro tema - dalla politica estera alle Unioni civili,
passando per la risoluzione del conflitto d'interessi - quello delle politiche
fiscali, sarà davvero la cartina da tornasole di due modi d'intendere
il futuro dell'Italia. Due Italie, dunque.
Quella dei furbetti del quartierino, della depenalizzazione del falso in bilancio,
dei condoni da Repubblica delle banane, dell'evasione e dell'elusione fiscale
- e si potrebbe continuare ancora - si presenta dunque con i suoi ben magri
risultati, che del resto hanno scontentato persino lo stato maggiore di Confindustria.
Ma certamente diversi commercianti, piccoli imprenditori che non hanno tradizionalmente
retro-culture "governiste" e il blocco delle professioni, non stravedranno
di fronte all'accentuato pathos del centro-sinistra sulla questione "evasione
fiscale".
Dall'altra parte c'è una larga fetta di questo paese che, più
o meno volontariamente, le tasse le paga tutte e che per questo è molto
adirata dallo stato delle cose, se è vero che l'evasione in Italia ammonta
ad una media del 7% sul PIL; e stiamo parlando di dati certificati dall'Agenzia
delle Entrate e in continuo aumento, con cifre equivalenti a quelle dell'intera
spesa sanitaria nazionale.
Di più: la destinazione d'uso di queste risorse evase è per metà
rivolta verso prodotti di lusso e beni rifugio, ergo con evidenti finalità
improduttive.
Gli scettici, non senza motivi di ragione, sostengono che questo tema è
sempre stato sollevato dai politici e nei fatti costantemente eluso.
Eppure, sgombrato il campo da ipotesi utopistiche quali la risoluzione tout
court di questo problema nazionale nei primi anni di un futuro governo di centro-sinistra,
non sembrano invece essere velleitarie quelle di una presa di coscienza del
problema e di un'inversione di tendenza in tal senso.
D'altronde è proprio il paragone con il resto del continente a fornire
i necessari punti di riferimento.
L'Italia non ha infatti alcuna situazione di sovraccarico fiscale, essendo quasi
perfettamente in linea con la media europea (44,5% di entrate pubbliche sul
PIL contro il 44,4%), a fronte di una quota evasiva decisamente maggiore.
Ridurre la questione ad uno slogan, come vorrebbe fare Tremonti quando parla
di uno schieramento che è per la riduzione delle tasse e un altro che
vorrebbe altresì aumentarle, è un approccio scorretto; significa
preferire il collasso del sistema Paese, all'ipotesi di strappare un voto in
meno alle prossime elezioni.
Difatti il centro-sinistra, nel suo complesso, sta cercando di smarcarsi da
questa demagogica antinomia, puntando il dito su una diversa distribuzione del
prelievo fiscale, piuttosto che su un suo aumento.
Il tutto con la finalità in uscita di uno Stato del benessere all'altezza
dei tempi, magari sul modello funzionante dei sistemi scandinavi.
E' importante specificare che dalla falsata ed ideologica promessa della riduzione
delle tasse, senza spiegazioni su cosa deriverebbe da una politica economica
del genere, sono nati infatti i passati successi dei liberismi che si rifanno
alla matrice reaganiana e tatcheriana; tuttavia l'operazione culturale del centro-sinistra
pare fino ad ora riuscita, e non era certo delle più facili.
Del resto l'ipotesi stessa della riduzione del cuneo fiscale, sul quale si
è ampiamente soffermato Prodi, è già di per sé una
riduzione di tasse sul costo del lavoro regolare, che se da un lato positivamente
andrebbe nella direzione di un meccanismo additivo in fatto di competitività
nel mercato internazionale, all'opposto, e altrettanto positivamente, svantaggerebbe
il lavoro precario, dove invece il cuneo aumenterebbe.
Una cura da cavallo e due piccioni con una fava?
E' possibile, ma proprio qui si annida la principale incognita, se è
vero che il Professore è determinato ad effettuare un taglio di cinque
punti sul cuneo fiscale nel solo primo anno di governo, che è un'ipotesi
particolarmente avventurosa.
Il centro-sinistra, comunque sia, erediterà infatti i conti disastrati
della Casa delle Libertà e una situazione strutturale del fisco incrostata
nelle sue storture ormai decennali.
Ecco quindi che il Polo ha colto al balzo l'occasione di spaventare il ceto
medio, impoverito dall'attività di questo governo, ma anche minacciato
da una possibile stangata fiscale da parte del centro-sinistra.
"Aumenteranno le tasse sui B.o.t e colpiranno i risparmiatori comuni"
è il coro unanime, il fuoco incrociato di tutte le "punte"
della Cdl, che su questo tema ha ritrovato l'unità d'intenti.
A sinistra invece tutti si adoperano nel negare queste tendenziose insinuazioni
che genererebbero "allarmismi" e turberebbero i mercati.
D'altronde il leader dell'Unione non è stato ancora sufficientemente
chiaro nel definire orientativamente quale sarà il metodo di reperimento
delle risorse, in modo da non colpire le pensioni e i risparmi dei ceti bassi
e medi e senza tagliare la spesa sociale.
Su questo punto Prodi potrebbe, o meglio dovrebbe, sfruttare l'occasione del
3 Aprile, in occasione dell'ultimo faccia a faccia con Berlusconi, moderato
da Bruno Vespa.
Ragionevolmente, par di capire, si andrà nella direzione dell'aumento dal 12,5% al 20% su rendite speculative e capital gain, vale a dire i guadagni di borsa, e questo è stato confermato da tutti, da Mastella a Bertinotti.
Una somma analoga sarà quindi reperita attraverso un aumento del carico
contributivo sul lavoro precario.
E infine c'è la grande questione della lotta all'evasione.
La linea economica del prossimo governo, che qui si intreccia perfettamente
con quella fiscale, sarà dunque quella di una redistribuzione delle risorse
in senso maggiormente egualitario, andando a colpire invece le grandi fortune,
i "grandi evasori" e le rendite superiori ai 100.000 euro.
Ad ogni modo, proprio per questo motivo, un'inversione di tendenza in fatto
di evasione fiscale verso medie europee, più che un'utopia, più
che una boutade proferita in clima di campagna elettorale, appare davvero strettamente
legata al successo delle politiche economiche di un futuro governo di centro-sinistra.
Ma su questo sarà il tempo a dirci la sua, e prima ancora lo faranno
gli elettori italiani il 9 d'Aprile.