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di Cinzia Frassi

Quella "modernità" che si oppone a chi si proclama contrario alla controriforma voluta dal centro destra è, ahimè, tutta italiana. Essa traveste in vario modo, ma sempre maliziosamente, tutte le modifiche che entreranno in vigore referendum permettendo. Proprio sul miracolo della modernità insistono particolarmente i riformatori di Lorenzago, che in qualche modo si sono fatti l'idea che i diritti possano conoscere un'interpretazione conservatrice, nel senso di antiquata e non efficace e una, appunto, moderna ed efficiente. In realtà è sul contenuto dei diritti, sulla loro sostanza che si vuole intervenire, dando l'illusione di concedere spazi alle autonomie regionali e ai bisogni dei cittadini. Con la medesima "modernità" si traveste il Primo ministro di quelle competenze ritentute necessarie per consentirgli di governare il paese; ma sotto quel vestito egli diventa in realtà dominus della vita politica, sostanzialmente inamovibile per la sua forza di ricatto alla Camera dei deputati che può sciogliere e artefice unico della politica del governo, che nei fatti passa interamente nelle sue mani. In sostanza, la modernità altro non è che lo stratagemma con il quale si attua il tentativo di rendere accettabile il degrado antidemocratico che pervade tutta la controriforma, ritenuto dagli autori necessario a liberare il potere politico da fastidiosi ostacoli.
Questo vestito lucente che porta con sé una certa aurea di splendore e successo, traveste di questa illusione anche l'intervento sul Senato della Repubblica. Sarebbe il caso di riuscire a spogliare questi interventi per far capire le reali finalità che portano inevitabilmente con sé e il farlo sarebbe compito di coloro che si proclamano contrari alla controriforma. Sarebbe compito del centrosinistra spogliare questa riforma del suo vestito effimero per presentarla per quello che è, spiegando ai cittadini, senza slogan facili, di cosa si tratta in realtà.

Chiarimenti efficaci alla comprensione di tutti dovrebbe ad esempio ricevere quella parte della controriforma che interessa il Senato della Repubblica che si trasforma in Senato Federale: organo permanente, soggetto a rinnovi parziali e svincolato dal rapporto fiduciario.
L'art. 57 stabilisce che i suoi membri, come oggi, siano eletti "a suffragio universale e diretto su base regionale", ma prevede che siano "eletti in ciascuna Regione contestualmente all'elezione dei rispettivi Consigli regionali e, per il Trentino Alto Adige/Sudtirol, dei Consigli provinciali."
Ogni Regione eleggerà non meno di 6 Senatori, ad eccezione del Molise e della Valle d'Aosta che ne avranno rispettivamente due e uno. I seggi residui verranno ripartiti in proporzione al numero degli abitanti. Il Senato Federale "perde" i Senatori a vita, che traslocano alla Camera ribattezzati deputati a vita e che diventano 3 invece che 5.
In realtà di federalismo ha ben poco questo Senato Federale della Repubblica. Nelle esperienze federaliste un elemento cardine consiste nella composizione su base territoriale. Nel sistema tedesco il Bundesrat è composto da rappresentanti designati dagli esecutivi delle Regioni, mentre in quello francese da rappresentanti delle autonomie locali e regionali.
In realtà il Senato federale, nonostante il trucco della "contestualità" resta un organo a rappresentanza politica generale.

Una conferma lampante è desumibile chiaramente dalla previsione dell'ultimo comma dell'art. 57, nella stesura della controriforma, che stabilisce che "partecipano all'attività del Senato federale della Repubblica, senza diritto di voto, secondo le modalità previste dal suo regolamento, rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali". Questi sono eletti all'inizio di ogni legislatura regionale da ciascun Consiglio provinciale e da ogni Autonomia locale fra i Sindaci, i Presidenti di Provincia o Città metropolitana della Regione.
Servirà un regolamento del Senato per garantire rapporti di reciproca collaborazione e informazione tra i Senatori e i rappresentanti e una legge bicamerale per promuovere forme di coordinamento tra Senato Federale e enti territoriali. Ma questo moderno Senato Federale non è spacciato per essere la camera delle Regioni? Perché proprio i rappresentanti delle Regioni al Senato Federale non hanno diritto di voto?

Importanti distorsioni si rilevano anche considerando attentamente il procedimento legislativo descritto da ben 579 parole dalla nuova stesura dell'art. 70 che semplicemente recitava che "la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere".
Con l'abbandono del bicameralismo perfetto, dove il medesimo testo di legge viene approvato da Camera e Senato, si passa ad un sistema confuso, complicato, inefficiente.
Per prima cosa ci saranno leggi a prevalenza Camera, leggi a prevalenza Senato e leggi bicamerali. Si assiste quindi ad un procedimento legislativo frazionato con l'attribuzione alle due Camere di competenze differenziate per materia, che nell'immaginario del riformatore dovrebbero costituire comparti stagni, delimitazioni certe e inconfutabili, ma che invece produrranno conflitti di competenza ad ogni passo. Rimane dubbio per alcuni giuristi l'iter applicabile alla legge finanziaria, il che è tutto dire.

A distribuire tra Camera e Senato le competenze legislative è l'art. 117, che in sostanza attribuisce alla competenza della Camera tutte le materie che sono di competenza esclusiva dello Stato. Sono leggi a prevalenza Senato, invece, quelle a legislazione concorrente, dove spetta alla legislazione statale solo la determinazione dei principi fondamentali.
Il sesto comma dell'art. 70, nella nuova stesura, dispone che spetta ai Presidenti delle Camere d'intesa tra loro, stabilire i "criteri generali" in base ai quali un disegno di legge sia da attribuire alla competenza di Camera o Senato, criteri che quindi valgono a sciogliere eventuali conflitti.
Inoltre, a proporre quei criteri generali è un comitato paritetico composto da quattro deputati e quattro senatori. Nel momento in cui si verificano questioni di competenza tra le due Camere, possono decidere i Presidenti delle Camere stesse, oppure deferire la questione al comitato paritetico. La decisione comunque presa, dai Presidenti o dal comitato, non è sindacabile in alcuna sede.
Detto questo, resta da considerare ancora una volta l'ingerenza del governo e del suo super premier, qui in particolare nell'iter legislativo. Nel disegno di questa riforma, ogni Camera esamina e approva i disegni di legge di sua competenza e li trasmette all'altra che ha tempo 30 giorni per proporre modifiche. Quindi il testo ritorna alla prima Camera che lo esamina e lo approva in via definitiva.
Ora, quando si tratta di legge a prevalenza del Senato è previsto uno speciale procedimento che consente al governo d'imporre le modifiche desiderate, in caso di resistenze da parte del Senato stesso. Dopo l'approvazione del testo da parte della Camera, il governo, previa autorizzazione del Presidente della Repubblica, espone al Senato i motivi per i quali chiede di confermare un testo essenziale per il suo programma. A questo punto il Senato può accogliere le modifiche oppure perdere il potere di decidere, dato che in questo caso è previsto che sia la Camera dei deputati a poter decidere in via definitiva. E' chiara la motivazione di tale previsione: la Camera è nelle mani del Primo ministro, dati i poteri che si concentrano nelle sue mani con questa riforma, ed essa non dirà "no" al premier.

Ci troviamo davanti ad un Senato Federale che proprio non ha i connotati principali per potersi definire federalista; e non solo per ciò che riguarda la sua composizione, ma anche perché debole davanti alle ingerenze del Primo ministro e, soprattutto, inserito in un sistema di produzione legislativa complicato, conflittuale e caotico. Un Senato che sembra servire solo da contorno per servire il piatto forte della devolution in un disegno federalista tutt'altro che regionalista, ma invece incoerente e decisamente svuotato dalla possibilità di ingerenza del governo.
E la chiamano modernità.