Quella "modernità" che si oppone a chi si proclama contrario
alla controriforma voluta dal centro destra è, ahimè, tutta italiana.
Essa traveste in vario modo, ma sempre maliziosamente, tutte le modifiche che
entreranno in vigore referendum permettendo. Proprio sul miracolo della modernità
insistono particolarmente i riformatori di Lorenzago, che in qualche modo si
sono fatti l'idea che i diritti possano conoscere un'interpretazione conservatrice,
nel senso di antiquata e non efficace e una, appunto, moderna ed efficiente.
In realtà è sul contenuto dei diritti, sulla loro sostanza che
si vuole intervenire, dando l'illusione di concedere spazi alle autonomie regionali
e ai bisogni dei cittadini. Con la medesima "modernità"
si traveste il Primo ministro di quelle competenze ritentute necessarie per
consentirgli di governare il paese; ma sotto quel vestito egli diventa in realtà
dominus della vita politica, sostanzialmente inamovibile per la sua forza di
ricatto alla Camera dei deputati che può sciogliere e artefice unico
della politica del governo, che nei fatti passa interamente nelle sue mani. In sostanza, la modernità altro non è che lo stratagemma con
il quale si attua il tentativo di rendere accettabile il degrado antidemocratico
che pervade tutta la controriforma, ritenuto dagli autori necessario a liberare
il potere politico da fastidiosi ostacoli.
Questo vestito lucente che porta con sé una certa aurea di splendore
e successo, traveste di questa illusione anche l'intervento sul Senato della
Repubblica. Sarebbe il caso di riuscire a spogliare questi interventi per far
capire le reali finalità che portano inevitabilmente con sé e
il farlo sarebbe compito di coloro che si proclamano contrari alla controriforma.
Sarebbe compito del centrosinistra spogliare questa riforma del suo vestito
effimero per presentarla per quello che è, spiegando ai cittadini, senza
slogan facili, di cosa si tratta in realtà.
Chiarimenti efficaci alla comprensione di tutti dovrebbe ad esempio ricevere
quella parte della controriforma che interessa il Senato della Repubblica che
si trasforma in Senato Federale: organo permanente, soggetto a rinnovi parziali
e svincolato dal rapporto fiduciario.
L'art. 57 stabilisce che i suoi membri, come oggi, siano eletti "a suffragio
universale e diretto su base regionale", ma prevede che siano "eletti
in ciascuna Regione contestualmente all'elezione dei rispettivi Consigli regionali
e, per il Trentino Alto Adige/Sudtirol, dei Consigli provinciali."
Ogni Regione eleggerà non meno di 6 Senatori, ad eccezione del Molise
e della Valle d'Aosta che ne avranno rispettivamente due e uno. I seggi residui
verranno ripartiti in proporzione al numero degli abitanti. Il Senato Federale
"perde" i Senatori a vita, che traslocano alla Camera ribattezzati
deputati a vita e che diventano 3 invece che 5.
In realtà di federalismo ha ben poco questo Senato Federale della Repubblica.
Nelle esperienze federaliste un elemento cardine consiste nella composizione
su base territoriale. Nel sistema tedesco il Bundesrat è composto
da rappresentanti designati dagli esecutivi delle Regioni, mentre in quello
francese da rappresentanti delle autonomie locali e regionali.
In realtà il Senato federale, nonostante il trucco della "contestualità"
resta un organo a rappresentanza politica generale.
Una conferma lampante è desumibile chiaramente dalla previsione dell'ultimo
comma dell'art. 57, nella stesura della controriforma, che stabilisce che "partecipano
all'attività del Senato federale della Repubblica, senza diritto di voto,
secondo le modalità previste dal suo regolamento, rappresentanti delle
Regioni e delle autonomie locali". Questi sono eletti all'inizio di
ogni legislatura regionale da ciascun Consiglio provinciale e da ogni Autonomia
locale fra i Sindaci, i Presidenti di Provincia o Città metropolitana
della Regione.
Servirà un regolamento del Senato per garantire rapporti di reciproca
collaborazione e informazione tra i Senatori e i rappresentanti e una legge
bicamerale per promuovere forme di coordinamento tra Senato Federale e enti
territoriali. Ma questo moderno Senato Federale non è spacciato per essere
la camera delle Regioni? Perché proprio i rappresentanti delle Regioni
al Senato Federale non hanno diritto di voto?
Importanti distorsioni si rilevano anche considerando attentamente il procedimento
legislativo descritto da ben 579 parole dalla nuova stesura dell'art. 70 che
semplicemente recitava che "la funzione legislativa è esercitata
collettivamente dalle due Camere".
Con l'abbandono del bicameralismo perfetto, dove il medesimo testo di legge
viene approvato da Camera e Senato, si passa ad un sistema confuso, complicato,
inefficiente.
Per prima cosa ci saranno leggi a prevalenza Camera, leggi a prevalenza Senato
e leggi bicamerali. Si assiste quindi ad un procedimento legislativo frazionato
con l'attribuzione alle due Camere di competenze differenziate per materia,
che nell'immaginario del riformatore dovrebbero costituire comparti stagni,
delimitazioni certe e inconfutabili, ma che invece produrranno conflitti di
competenza ad ogni passo. Rimane dubbio per alcuni giuristi l'iter applicabile
alla legge finanziaria, il che è tutto dire.
A distribuire tra Camera e Senato le competenze legislative è l'art.
117, che in sostanza attribuisce alla competenza della Camera tutte le materie
che sono di competenza esclusiva dello Stato. Sono leggi a prevalenza Senato,
invece, quelle a legislazione concorrente, dove spetta alla legislazione statale
solo la determinazione dei principi fondamentali.
Il sesto comma dell'art. 70, nella nuova stesura, dispone che spetta ai Presidenti
delle Camere d'intesa tra loro, stabilire i "criteri generali"
in base ai quali un disegno di legge sia da attribuire alla competenza di Camera
o Senato, criteri che quindi valgono a sciogliere eventuali conflitti.
Inoltre, a proporre quei criteri generali è un comitato paritetico composto
da quattro deputati e quattro senatori. Nel momento in cui si verificano questioni
di competenza tra le due Camere, possono decidere i Presidenti delle Camere
stesse, oppure deferire la questione al comitato paritetico. La decisione comunque
presa, dai Presidenti o dal comitato, non è sindacabile in alcuna sede.
Detto questo, resta da considerare ancora una volta l'ingerenza del governo
e del suo super premier, qui in particolare nell'iter legislativo. Nel disegno
di questa riforma, ogni Camera esamina e approva i disegni di legge di sua competenza
e li trasmette all'altra che ha tempo 30 giorni per proporre modifiche. Quindi
il testo ritorna alla prima Camera che lo esamina e lo approva in via definitiva.
Ora, quando si tratta di legge a prevalenza del Senato è previsto uno
speciale procedimento che consente al governo d'imporre le modifiche desiderate,
in caso di resistenze da parte del Senato stesso. Dopo l'approvazione del testo
da parte della Camera, il governo, previa autorizzazione del Presidente della
Repubblica, espone al Senato i motivi per i quali chiede di confermare un testo
essenziale per il suo programma. A questo punto il Senato può accogliere
le modifiche oppure perdere il potere di decidere, dato che in questo caso è
previsto che sia la Camera dei deputati a poter decidere in via definitiva.
E' chiara la motivazione di tale previsione: la Camera è nelle mani del
Primo ministro, dati i poteri che si concentrano nelle sue mani con questa riforma,
ed essa non dirà "no" al premier.
Ci troviamo davanti ad un Senato Federale che proprio non ha i connotati principali
per potersi definire federalista; e non solo per ciò che riguarda la
sua composizione, ma anche perché debole davanti alle ingerenze del Primo
ministro e, soprattutto, inserito in un sistema di produzione legislativa complicato,
conflittuale e caotico. Un Senato che sembra servire solo da contorno per servire
il piatto forte della devolution in un disegno federalista tutt'altro
che regionalista, ma invece incoerente e decisamente svuotato dalla possibilità
di ingerenza del governo.
E la chiamano modernità.