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di Sara Nicoli

Un colpo alle lobby. Di quelli duri, un fendente vibrato con grande determinazione da governo contro le rendite di posizione. E' una politica di sinistra, a favore del consumatore. Se lo avesse fatto il centrodestra il giorno numero uno del suo insediamento, forse ci sarebbe ancora Berlusconi a Palazzo Chigi. Per fortuna non l'ha fatto.
Di tutte le lobby colpite, dodici in totale, quella che - in apparenza - è l'anello più debole della catena sembra essere quella dei tassisti; lavoratori con una rendita di posizione molto meno remunerativa delle altre, tipo quella dei notai o dei commercialisti o degli avvocati. Ma è solo un'impressione. Da sempre quella dei tassisti è una categoria che gode di un mercato chiuso, gestito da cooperative che hanno sempre fatto il bello e il cattivo tempo, sia sul costo delle licenze che sul numero delle auto ammesse alla circolazione all'interno del perimetro dei comuni. E che ha imposto un cartello di costi che non sarebbe giustificabile neppure nel Principato di Monaco, dove un caffé può anche costare il corrispettivo dei nostri cinque euro, ma lì se lo possono senz'altro permettere. Da noi è un'altra cosa, ma come tante altre corporazioni, anche quella dei tassisti ha tentato in ogni modo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, alzando cioè le tariffe e limitando le macchine al minimo sindacale, soprattutto nelle grandi città. La legge, fino a ieri, glielo consentiva. Poi è arrivato Bersani. E ha pensato, mettendosi nei panni di chi i taxi li usa, che non è più concepibile che in Italia non si trovi una macchina quando piove neanche per miracolo o che sia impossibile riuscire a circolare in città quando scioperano i bus e la metropolitana.

Già, meno siamo, meglio è, per garantire, attraverso un mercato chiuso, di continuare ad avere un terreno di caccia privilegiato per poter lavorare a proprio agio a costi elevatissimi. Solo in Italia si paga un taxi con un mutuo in banca se si decide di attraversare la città. Per non parlare poi delle tariffe che lievitano in modo inaccettabile se solo si decide di raggiungere l'aereoporto oppure se si è costretti a muoversi di notte. Basta dire che 20 minuti di macchina dal centro della città all'aereoporto, equivalgono ad un biglietto di prima classe in Eurostar Roma-Bologna…
No, non era più concepibile, bisognava intervenire. E il governo di centrosinistra, con una prova di coraggio, ha deciso di andare contro. Le misure sembrano radicali. E, come è naturale in queste occasioni, è subito cominciato un triste fuoco di sbarramento.

Non appena le radio hanno diffuso, seppur sommariamente, le nuove norme del pacchetto Bersani, le proteste dei tassisti si sono levate altissime, con manifestazioni estemporanee un po' in tutta Italia, specie negli snodi di traffico più delicati come stazioni e aereoporti. E' inutile dire che il traffico si è bloccato ovunque. E subito dopo è arrivata la notizia che faranno anche sciopero per protestare, soprattutto, sul fatto di essere stato presi di sorpresa, di non aver potuto concordare alcunché: li hanno presi alla sprovvista, loro più di altri. Nessuna concertazione, nessuna notizia trapelata, anticipata, filtrata per sondare l'opinione pubblica e precostituire il terreno politico, sociale e pure psicologico di fronte a un ipotetico stop con le vecchie regole. Invece, operazione rapida e secca, per impedire che una battaglia corporativa preventiva in difesa delle rendite di posizione potesse indebolire in qualche modo le misure prima che diventassero legge. Adesso, però, la loro, quella dei tassisti, potrà essere solo una battaglia di retroguardia. Perchè quando si cerca di difendere una posizione di privilegio che fino ad oggi è andata contro i consumatori, cioè contro il proprio mercato di riferimento, ci si trova immancabilmente da soli. Solo An, fiutando il terreno di un nuovo bacino di voti da sottrarre al centrosinistra, ha pensato bene di schierarsi dalla parte di questa lobby tutta italiana: nessuna altra voce si è levata a loro sostegno.

Perchè anche il più ostinato scettico nei confronti del centrosinistra ha dovuto ammettere, amando il mercato e soprattutto la concorrenza, che la mossa di Bersani ha colto nel segno. In nessun Paese al mondo chi vuole fare di mestiere il tassista deve aspettare che si liberi un posto all'interno di una delle cooperative che detengono un mercato chiuso. Viene in mente New York nella cosidetta rush hour, quando cioè tutti escono dagli uffici e la quinta strada diventa un tappeto giallo di macchine che si rincorrono per prendere clienti, gente normale che sa di poter raggiungere casa senza spendere un patrimonio perchè c'è concorrenza. Nessun americano accetterebbe che i tassisti si riunissero in un cartello simile a quello che ha contraddistinto il nostra realtà fino a ieri. Il taxi è un mezzo pubblico, non un privilegio per pochi. Andare da Linate a Malpensa costa quasi cento euro. Arrivare a Fiumicino vuol dire pagare quasi cinquanta euro in più oltre alla normale tariffa oraria: un capitale assolutamente inaccettabile. Ma adesso la pacchia è finita. E comincia una nuova era per il cittadino. Non è un caso se le prime ad applaudire alla "manovrina" di Bersani siano state le associazioni dei consumatori.

D'ora in poi chi vuole fare il tassista dovrà vedere se gli conviene o no, insomma sarà il mercato a stabilire quanti taxi servono davvero a Milano, a Roma o a Foggia. Così come non sarà più una caccia al tesoro per trovare una farmacia aperta d'estate perchè, casomai, si ha bisogno solo di un'aspirina per sconfiggere un mostruoso mal di testa da clima tropicale. Insomma, sarà il mercato, bellezze. E le vostre lobby non ci potranno fare più nulla.