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di Fabrizio Casari

Deviati, oggetto e soggetto di operazioni ad altri scopi destinate, strumento di pressioni e depistaggi ad arte perpetrati. E' una parte della storia dei nostri Servizi: segreti quanto basta, al servizio però non si sa bene di chi.
Le intercettazioni, i verbali, le ipotesi di cui si scrive e si parla, con annesse ipotesi di alleanze o inimicizie appassiona poco. Alla fine, quella della inaffidabilità dei Servizi segreti italiani, è una storia che va di pari passo con la vicenda politica italiana ed internazionale dal dopoguerra ad oggi. Inaffidabilità politica, forse, non certo mancanza di efficienza, virtù della quale, anzi, abbondano. La politica vera, non cioè la sua rappresentazione scenografica quanto apparente, bensì quella che agisce nelle pieghe degli interessi forti, dominata dai poteri forti, dei servizi si è sempre servita e da loro è stata, cortesemente, ricambiata.
Il loro compito istituzionale, non v'è dubbio, risiede nella difesa della sicurezza del paese; sicurezza che va ricercata attraverso il lavoro d'intelligence operativa tanto dentro quanto fuori dai confini nazionali. Che cosa dunque permette, anzi favorisce, il loro uso distorto? In qualche modo i Servizi rappresentano la continuità della politica italiana, molto di più di quanto non lo facciano i partiti o i governi. E, in primo luogo, la patologia cronica della politica nazionale, che è rappresentata dall'assenza d'indipendenza e sovranità del nostro paese.
Proprio la rete di "doppia obbedienza" diventa così obbedienza cieca nei confronti dei servizi statunitensi e rappresenta l'applicazione sul campo della sovranità limitata del nostro paese nei confronti degli Stati Uniti. Il doppio livello di obbedienza dei nostri Servizi risiede così nel ricevere indicazioni dai nostri governi e ordini dall'intelligence degli Stati Uniti.

Da Piazza Fontana alle bombe di Trento, dalla Banca dell'Agricoltura di Milano all'Italicus; da Via Fatebenefratelli a Milano fino a Bologna e a Ustica, le stragi che hanno insanguinato il nostro paese, con l'obiettivo di impedire la sua evoluzione democratica piena, erano figlie e conseguenze dello schieramento politico dominante in Italia. Quelle stragi erano una modalità, la più drammatica, per ribadire la vigenza del "fattore K". Che era, ne più né meno, il cuore strategico dell'iniziativa statunitense in Italia, che a impedire l'avvento al potere delle sinistre ha dedicato miliardi di dollari, pressioni, minacce, stragi, formazioni di eserciti paralleli ed utilizzo della manovalanza fascista in comodato d'uso. Che ha fondato partiti e giornali e ha dirottato risorse tramite la Cia superiori a quelle già notevolissime stanziate per altri paesi europei. L'Italia non era la Grecia, il Portogallo o la Spagna; nessun colonnello, salazarista o franchista, sarebbe durato a lungo. Il più grande partito comunista d'Occidente e la più organizzata sinistra rivoluzionaria d'Europa, oltre ad un sindacato capace di presidiare il territorio in tutto il paese, non lo avrebbero permesso. E comunque il lavoro di penetrazione delle forze democratiche nelle strutture militari non rendeva possibile scenari putchisti, salvo quelli da operetta intentati da Valerio Borghese e i quattro scemi che lo seguivano.

In Italia c'era bisogno d'altro. Le operazioni che la Cia ha messo in piedi nel nostro paese erano (e sono) destinate a ribadire sì la liceità del gioco politico e parlamentare, salvo però la messa in discussione dell'alleanza atlantica e dell'obbedienza dovuta a Washington. Di questo si trattava e, in buona misura, ancora si tratta.

In qualche modo diversa è stata l'attività dei nostri Servizi nel contesto internazionale, dove hanno avuto meriti non comuni, particolarmente nello scenario mediorientale, durante gli anni '70 e '80, in osservanza della linea "mediterranea" della nostra politica estera. In uno scenario di odio, dove Israele non permette a nessuno di mettersi tra Tel Aviv e la sua strategia di decimazione degli esponenti palestinesi, i nostri servizi hanno saputo tenere in piedi l'alleanza politica col Mossad ed i buoni rapporti con i palestinesi. Per la collaborazione con questi ultimi ne hanno pagato il prezzo, Argo 16 lo ha dimostrato. Non era ambiguità, obbediva alla politica di dialogo mediterraneo, da qualcuno definita equidistante.

Le deviazioni, dal Sifar di De Lorenzo all'Ufficio Affari Riservati, dal Sisde al Simi di questi ultimi anni, con le cover action agli ordini della Cia, rispondono alla patologia della nostra sovranità limitata, che si traduce, sul campo, alla riduzione dei nostri apparati a funzionari agli ordini di Washington e del suo arsenale di propaganda, vedi Nigergate ed altro. Ecco perché il tema del rapporto con la Cia, figlio di quello tra Roma e Washington, resta intero. E' un rapporto malato, che detta l'agenda dell'attività d'intelligence e, spesso, delle guerre interne e delle metodologie anticostituzionali con le quali si combattono. O, addirittura, trasforma le nostre città in teatri per sequestri di persona, come fossero piccoli tinelli di Guantanamo.

Quando la politica ha scelto di operare in difesa dei nostri interessi nazionali, divergendo sul campo da quelli statunitensi, ed ha chiesto ai nostri Servizi di obbedire, essi lo hanno fatto. E gli Usa ce l'hanno fatta pagare cara, Calipari insegna. Eppure è quella la strada. La ricerca dell'autonomia politica e operativa in nome e per conto dei nostri interessi nazionali. Le vicende di questi giorni, aldilà di giornalisti venduti o pedinati, di spioni interinali e politici complici, confermano solo il misero quadro che abbiamo visto mille volte pur con colori diversi. Non è quindi importante cambiare per l'ennesima volta uomini e sigle, agitare proposte di coordinamento o di scioglimento. C'è invece bisogno, urgentemente, di acquistare credibilità ed autorevolezza a partire dalle scelte di politica interna ed estera; di dimostrare che siamo un paese sovrano che dà e accetta consigli e collaborazioni, ma che non riceve ordini da nessuno se non dalla sua Costituzione e che ha nella difesa della sua sicurezza, cioè in un aspetto fondamentale nel suo interesse nazionale, la barra unica di riferimento.

La patologia della dipendenza si deve in ultima analisi all'incapacità della nostra classe politica di dare un sussulto d'identità e sovranità nazionale al nostro paese, di liberare tutti noi dall'incastro di chi ci vuole, da sempre e per sempre, vassalli di un feudatario che, peraltro, vede il suo castello, per quanto ben difeso, sgretolarsi sotto i colpi dei suoi crimini determinati dalla sua ansia di dominio.