E' passata alla Camera la legge sull'indulto. Ma il prezzo da pagare è
stato alto per il governo e la maggioranza che lo sostiene. Con fatica e con
una mediazione politica che a tratti ha avuto i connotati della farsa, della
bagarre, del "tutti contro tutti", si è alla fine riusciti
a trovare quei due terzi necessari per consentire ad almeno 12 mila detenuti
dei 38 mila rinchiusi nelle patrie galere, di vedere in mare almeno il prossimo
ferragosto: 460 sì, 94 no, 18 astenuti. Carceri presto più vuote,
dunque. Ma ciò che ha mostrato l'agone politico, ieri mattina alla Camera,
ha messo in straordinaria evidenza come la maggioranza navighi in acque ogni
giorno più insidiose. E come lo spirito di giustizia sia stato spesso
un pretesto per alzare il prezzo su partite diverse, che nulla avevano a che
vedere con l'oggettiva necessità di dare il via libera ad un provvedimento
di clemenza, ma facevano esclusivo riferimento a logiche di mera spartizione
del potere interno alla maggioranza. Uno spettacolo davvero poco edificante,
anche se i predecessori del centrodestra ci avevano abituato al peggio; un po'
di amarezza, però, resta comunque. Si è detto, nei giorni scorsi, che il comportamento tenuto dal ministro
"di lotta e di governo" Antonio Di Pietro, poteva quantomeno considerarsi
discutibile. A muovere la sua personale battaglia contro l'indulto era l'idea
che non solo non si potessero fare accordi di alcun genere con Forza Italia,
ma che non si potesse neppure accettare alcun tipo di "premio" per
i corrotti.
Si può tentare di non venir mai meno ai propri principi sacrificandoli
sull'altare del compromesso, certo: ma fino ad oggi nessuno è mai riuscito
a governare il paese senza passare per la mediazione politica e per la ferrea
legge dei numeri, che in politica conta, eccome se conta. Quello che, ci era
sembrato, stava sfuggendo nei giorni scorsi a Di Pietro, era il principio, l'idea
fondante che il provvedimento di indulto portava con sé, ovvero la clemenza,
la tolleranza e il diritto di uomini e donne a poter scontare la propria pena
in condizioni umanamente accettabili, non come oggi in quattro o sei in una
cella da due. E questo è un principio contro cui non può reggere
alcun distinguo legato a personalismi, vendette mai sopite, classifica di reati
dell'altrettanto personale codice etico-penale del ministro dell'Italia dei
Valori: per un provvedimento di clemenza che ha l'obiettivo di svuotare, almeno
parzialmente, le carceri dove si vive in condizioni sub-umane, ci si batte -
a nostro giudizio - comunque. E quello che è mancato alla maggioranza
(non solo a Di Pietro, dunque) è stato proprio questo: considerare la
propria identità ed il bacino elettorale di riferimento più importante
del principio generale. Ecco perchè poi, malgrado la soddisfazione di
vedere, dopo anni di sterili discussioni e dibattiti, il provvedimento d'indulto
giunto ad una prima approvazione, resta il disappunto su come questo percorso
politico è stato portato a termine. Abbiamo visto palesarsi con evidenza
alla Camera, che il "principio" non è più un valore
etico da difendere comunque: serpeggia, come se fosse un valore, l'odio per
il nemico e un modo di intendere la giustizia che, per alcuni, è solo
un sinonimo socialmente condiviso della vendetta. E il peso del reato lo determina
non il codice, ma il valore che gli dà il politico di turno, a livello
spesso fin troppo personale.
C'è una fetta enorme di Italia, largamente rappresentata nel mondo politico, che considera la vendetta la chiave di volta di ogni storia, che ignora giustizia e soprattutto perdono e che non riesce a vivere senza un nemico da punire. Ma è un giustizialismo che non fa onore. E vorremmo che non continuasse a corrodere la società e ad essere condiviso anche da una certa parte della sinistra. Su questo aspetto, è importante soffermarsi sulla posizione che ieri, con sorpresa, ha tenuto il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, che si è astenuto dopo aver dichiarato nei giorni scorsi il voto favorevole. Non sappiamo cosa abbia fatto cambiare idea al PdCI, ma é probabile che Diliberto terrà questa posizione anche al Senato, pur sapendo che a Palazzo Madama il regolamento prevede di conteggiare le astensioni come voto contrario.
Se quindi i senatori del PdCI e quelli dell'Italia dei Valori dovessero dire
"no" al provvedimento, stante la conferma del già annunciato
voto favorevole di una parte del centrodestra, si configurerebbe il primo, fastidioso
ululato delle "larghe intese". Cioè proprio dell'ipotesi peggiore,
politicamente parlando, per il quadro politico e per le sorti stesse del governo
Prodi. Di sicuro Forza Italia voterà a favore con l'immaginetta di Previti
accanto al bottone verde dello scranno, ma non è questo che conta: ciò
che conta è inviare un segnale politico sulla giustizia, proporre una
norma che, a differenza di quelle del centrodestra che includevano qualche signor
nessuno per giustificare il regalo ai potenti, accetta di comprendere nel provvedimento
di clemenza qualche potente, per garantire il ripristino delle condizioni di
decenza a molti che potenti non lo sono affatto.
Che si sarebbero potute utilizzare altre strade è certo, come per tutto
del resto. Ma che un provvedimento d'indulto andasse promulgato è giusto.
Nessuno ha "svenduto la dignità" come ha detto Di Pietro pensando
sempre a Previti fuori dai suoi "dorati" domiciliari. Qualcuno ha
preferito fare un "patto con il diavolo" per un valore più
alto della vendetta. Non possiamo dargli torto.