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di Giovanna Pavani

Daniele Capezzone Stupisce l'attivismo dei Radicali italiani e, in primis, del suo segretario Daniele Capezzone, nell'alzare polvere intorno al disastrato panorama dell'informazione italiana, in special modo la Rai, nel tentativo di abbatterne ogni residuo di credibilità dei suoi operatori. Dopo la presentazione di un progetto di legge per l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti, vecchio pallino pannelliano, che ha sempre avuto in uggia le regole della categoria, nei giorni scorsi il giovane Capezzone è sceso in campo per ottenere una maggiore trasparenza delle nomine Rai, attraverso la denuncia, puerile nella forme e anche nella sostanza, di un fantomatico "pizzino" con l'elenco dei nominandi, ritrovato in maniera "del tutto casuale", sui divani del Transatlantico di Montecitorio. L'iniziativa, degna più di un Pierino di Alleanza Nazionale che di un parlamentare italiano che si muove sotto la bandiera del garantismo, ha sortito lo scopo di creare ancora più confusione intorno alla Rai e alla sua preoccupante paralisi politica. E anziché essere accolta con sorrisi condiscendenti da parte dei colleghi parlamentari di ogni colore, è stata cavalcata non a caso dalla destra come ennesima dimostrazione del tentativo del nuovo governo di lottizzare la Rai fino all'ultimo strapuntino libero. Si fa notare che Capezzone, almeno sulla carta, farebbe parte della maggioranza e certo queste iniziative non fanno bene alla tenuta della coalizione, ma - se fosse finita lì - si sarebbe potuto pensare all'ennesimo tentativo radicale di ottenere uno straccio di visibilità a fronte di un buio totale che gli riservano le telecamere nazionali e la carta stampata in genere. Invece no: non domo, il giovane segretario radicale ha alzato il tiro pubblicando sul sito di Radio Radicale, nel nome della trasparenza, un elenco di nomi di giornalisti e mezzobusti Rai con annesso partito di riferimento a fianco: un modo come un altro per fare stracci delle professionalità degli altri solo perché lavorano nella tv pubblica. Alla faccia dell'etica.


Sotto la casella Ds, si mettono i nomi di Marroni, Giubilei, Bendicenti, Montanari, Sassoli, Martorelli, Albertazzi, Mancini, Dell'Aquila. Sotto il segno della Margherita: Fritella, Romagnoli, Ferragni, Pindozzi, Grandinetti, Tolfa, Anastasi, Dorfles, Laruffa, Tonelli. A margine si spiega anche che circola un ulteriore "elenco di "quote rosa"", e per il momento, a "Notizie Radicali" risulta che la Donato (della segreteria del presidente Petruccioli) rientri nell'elenco di coloro che potrebbero assumere incarichi importanti. Commenta Capezzone, autonominatosi paladino della trasparenza nonché fustigatore del malcostume lottizzatorio della pubblica informazione: "Mi pare opportuno che i cittadini possano conoscere e giudicare quello di cui, altrimenti, discuterebbero in modo di fatto segreto in pochi, in pochissimi. È infatti essenziale che i processi di formazione di un potere, e di un potere così importante, siano pubblici. Tengo a sottolineare che stiamo parlando di professionisti in molti casi eccellenti, stimabilissimi. E in tanti casi - lo sottolineo ancora - un buon editore farebbe bene ad avvalersi di questi apporti. Ma il punto è proprio quello di consentire ai cittadini l'esercizio dell'einaudiano "conoscere per deliberare". "Per questo, sarebbe a maggior ragione necessaria anche una ricognizione di quanto può accadere - in termini di nuove nomine o di conferme - per altri validi professionisti Rai ritenuti vicini alle posizioni dei partiti del centrodestra. E ciascuno (e in primo luogo i cittadini che pagano il canone) - conclude Capezzone - potrà così giudicare il ruolo e il peso tuttora, come cinque o dieci anni fa, giocato dai partiti sullo scacchiere Rai". Inutile dire che questo nuovo elenco ha scatenato la destra. Che non solo ha proposto lo sciopero del canone, ma ha nuovamente inveito, senza vergogna alcuna, contro "lo stupefacente scandalo di queste ore - le parole sono di Lainati di Forza Italia - che dimostrano l'arroganza del governo nel voler prendere possesso della Rai".

Ora, se non meditate, le parole di Capezzone potrebbero anche sembrare dettate dal buon senso, fatto salvo il discorso che ai radicali negli ultimi cinque anni non è mai importato un piffero delle nomine Rai né, tantomeno, di sottrarre la medesima azienda agli artigli di Berlusconi. Nessuno ricorda di aver udito, subito dopo la presa del potere di viale Mazzini da parte del centrodestra vittorioso nel 2001, identici strali nel nome della legalità e della trasparenza delle nomine nel servizio pubblico. Ma stavolta forse anche i Radicali della "Rosa nel pugno" vogliono infilare i piedi nel piatto. E siccome non possono contare su giornalisti interni "di area", attraverso queste delazioni sembra pretendano, almeno, di avere un ruolo di interposizione al tavolo della decisione politica finale. Il fatto, però, è anche un altro. Denunciare la lottizzazione in Rai è un esercizio inutile e populista, dal momento che è stata la legge Gasparri, voluta dal centrodestra, a stabilire che le nomine dei vertici aziendali fossero ricondotte nelle mani del Parlamento attraverso la commissione di Vigilanza. E che, di conseguenza, fossero espressione specchiata della maggioranza al governo in quel momento. L'attuale composizione del cda Rai è strapoliticizzata, perché è stato chiesto alla politica (sempre attraverso la Gasparri) di essere in grado di amministrare il servizio pubblico radiotelevisivo. Chiaro che questo sistema, con il cambiamento della maggioranza, avrebbe mostrato tutte le sue fragilità e la sostanziale incongruenza di fondo. Ecco perché non può stupire (e ci stupiamo di chi, come Capezzone, se ne stupisce e denuncia l'acqua calda) se quelle che usciranno, forse già martedì prossimo, dal consiglio Rai, saranno nomine squisitamente politiche, espressione dell'ennesimo inciucio per far star buoni tutti ma non accontentare nessuno. Ci saremmo aspettati, nell'alveo del buon senso che dovrebbe contraddistinguere le scelte politiche generali circa un bene comune pagato dai cittadini attraverso il canone, che non ci si limitasse a mettere alla berlina nomi e cognomi di stimabili professionisti, ma che si cominciasse a lavorare sul metodo e sull'urgenza del cambiamento della legge di nomina dei vertici aziendali. Se le discole iniziative di Capezzone avevano questo intento di fondo, il fatto non è emerso con chiarezza: solo usando, in questo caso, una bonaria dietrologia basata sulla pregressa conoscenza dello spirito che da sempre ha animato le battaglie radicali, si poteva arrivare a comprenderne l'obiettivo di fondo di stampo legalitario e garantista. Ma così non è stato. E se qualcuno lo ha fatto, questi sono stati davvero pochi, di certo non il centrodestra che, come si è detto, ha usato l'assist per poter attaccare senza sconti l'azienda concorrente dei beni primari della famiglia del leader.

Ci chiediamo, a questo punto: vale la pena continuare ad usare l'arma della provocazione, sventolando pizzini di varia foggia o, addirittura, umiliando la Rai attraverso la richiesta di poter trasmettere in diretta, su Radio Radicale, i lavori del prossimo Cda, come se al settimo piano di viale Mazzini ci fossero nove persone che tramano alle spalle del cittadino contribuente e che solo i radicali, con i loro microfoni, sono in grado di smascherare mentre si dividono seggiole e poltrone pagate da tutti? Perché, insomma, invece di continuare a scherzare, Capezzone non si fa promotore di una proposta di legge su nuovi criteri di nomina dei vertici Rai nonché di una progettualità intorno al necessario progresso economico della tv pubblica. E magari senza usare lo strumento referendario che, per carità, è già stato abusato a sufficienza? Certo, è più facile denunciare il malcostume che proporre qualcosa di concreto per mettervi fine una volta per sempre, ma per una volta, invece di fare stracci della Rai rendendola degna solo dei discorsi di salotto, vorremmo essere stupiti da una proposta politica che la mettesse nuovamente al centro del panorama televisivo italiano e del suo sviluppo multimediale, lontana per sempre dal ruolo di gregaria di Mediaset e delle nuove piattaforme mediatiche in progress. E questo, certo, non si raggiunge creando confusione. O forse, Capezzone voleva proprio questo?