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di Domenico Melidoro

È ormai da diverso tempo che la cronaca politica registra implacabilmente come soltanto l'esercizio del potere e la necessità di garantire una certa stabilità potessero rappresentare un'efficace garanzia dell'unità della Casa delle Libertà. Infatti, dopo la sconfitta subita alle elezioni politiche la CDL si è sfaldata progressivamente, dimostrando ancora una volta quanto fragili fossero le ragioni politiche che tenevano insieme la coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Le tensioni tra quest'ultimo e l'UDC di Casini, Follini e Cesa durano da diverso tempo e in questi ultimi giorni si sono acuite. Tuttavia, fa molto più clamore lo strappo della Lega Nord, che finora aveva cercato (e ottenuto) un rapporto privilegiato con Forza Italia e il suo leader, tanto che molti commentatori parlavano dell'asse Lega-Forza Italia come della colonna portante del rissoso schieramento di Centrodestra. Casini, intervenendo alla Festa nazionale dell'UDC ha dato per definitivamente archiviata l'esperienza della CDL. Secondo l'ex-Presidente della Camera, una volta "finito il governo non ci sono più vincoli di maggioranza". L'apparente compattezza della CDL e l'appiattimento forzato sulle posizioni del leader, una volta che da maggioranza si è passati a svolgere l'ingrato ruolo di opposizione, non ha più ragioni di esistere. I progetti di Casini sono molto ambiziosi. Tra i suoi propositi c'è quello di costituire un Partito dei Moderati capace di spingersi a intercettare anche quei moderati che nel Centrosinistra rifiuteranno di aderire al futuro Partito Democratico. Il morale per ora è alto, tanto che Casini si lascia andare a dichiarazioni del tipo: "Il nostro obiettivo è quello di conquistare alle europee il 15 per cento" (Corriere della Sera, 17 Settembre 2006). Al momento l'idea è quella di costituire una formazione centrista che sia alternativa alla Sinistra, e per quanto riguarda poi l'eventuale sostegno al Governo dell'Unione (un'opzione sempre probabile, vista l'innata predisposizione al 'dialogo' e alle "larghe intese" dei centristi post-democristiani), la condizione posta è quella di rompere i rapporti con la Sinistra radicale, vale a dire Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani.

Inoltre, pare che per l'UDC sia una priorità irrinunciabile anche la successione a Berlusconi. Gli uddiccini ritengono che in seguito alla sconfitta elettorale si debba mettere in discussione anche la leadership della coalizione, visto che non esistono leaders eterni e immutabili. In proposito non è equivocabile la presa di posizione del Segretario dell'UDC Lorenzo Cesa, secondo il quale, "la storia ci insegna che i processi politici legati al destino di un uomo sono destinati a non lasciare traccia, a tramontare presto" (l'Unità, 18 Settembre 2006).

Se le tensioni tra Berlusconi e l'UDC non sono una novità, qualche riflessione dovrebbe imporla l'allontanamento della Lega dall'ex-Premier. Roberto Maroni è quanto mai chiaro nell'affermare che "di fatto il patto con la Casa delle Libertà è sciolto" (Corriere della Sera, 18 Settembre 2006). La Lega si ritiene sciolta da qualsiasi legame con la CDL e, anche in seguito alla dura sconfitta subita in occasione del referendum costituzionale del giugno scorso, non rinuncia al perseguimento dei propri obiettivi federalistici e a portare avanti le proprie battaglie sull'immigrazione e contro l'indulto. Da segnalare anche il ritorno sulla scena dello storico (e alquanto malandato) leader del Carroccio. All'annuale raduno leghista di Venezia, Bossi ha dettato la linea ai suoi fedelissimi. Il Senatur ha chiamato alla partecipazione i "Popoli del Nord", visto che l'azione popolare e la pratica quotidiana nelle istituzioni locali sono il solo strumento democratico per giungere alla realizzazione del progetto federale della Lega. Col consueto tono da capopopolo Bossi ha anche promesso di riaprire l'ormai sepolto Parlamento del Nord. Nei piani del fantasioso leader della Lega questa bizzarra istituzione dovrebbe "essere la struttura che può fare da trait d'union con le istituzioni per garantire il diritto alla nostra libertà" (la Repubblica, 17 Settembre 2006).

Se i maggiori alleati (ad eccezione di AN, la cui strategia ondeggia incoerentemente tra la ricerca di un percorso alternativo che conduce all'approdo nel PPE e la fedeltà assoluta al Cavaliere) gli voltano le spalle, a Berlusconi non resta che consolarsi con le dichiarazioni di fedeltà della (minuscola dal punto di vista dei consensi elettorali e dell'iniziativa politica) Nuova DC. Infatti, il Segretario Gianfranco Rotondi si dice fedele alla leadership di Silvio Berlusconi. Se "Casini e Maroni rivendicano le mani libere per i loro partiti", Rotondi afferma di sentire "ancora le mani legate al vincolo di alleanza con Berlusconi che abbiamo presentato agli elettori. È un male che il centrodestra si divida, mentre l'Unione è in affanno: dovremmo parlare come un solo uomo" (il Giornale, 18 Settembre 2006).

Ormai, se il quadro che abbiamo delineato ha una qualche plausibilità, si può ben sostenere che la CDL non esiste più. Sarebbe opportuno che anche Berlusconi, anziché sottovalutare le defezioni nelle fila del proprio schieramento, ne prendesse atto. Il Cavaliere però continua a non dar peso alle dichiarazioni di addio dei suoi (ex)alleati. Come ha più volte detto, si ritiene insostituibile, e cerca di distogliere l'attenzione generale sulle sciagure della propria coalizione chiedendo le dimissioni di Prodi per il comportamento di quest'ultimo nella vicenda Telecom.