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di Elena G. Polidori

La ricorderemo, senza dubbio, come la notte in cui l’Italia intera visse uno psicodramma politico e sociale squassante e che fece emergere dubbi, ancora tutt’altro che sopiti, sulla solidità della nostra democrazia e delle nostre istituzioni. E la fotografia che è rimasta, indelebile, di quella notte lunghissima tra il 10 e l’11 aprile 2006 è senz’altro quella di un Berlusconi furibondo che varca le porte del Quirinale urlando ai brogli e all’inganno dei dati elettorali. La macchina elettorale del Viminale, in quelle ore, si era clamorosamente inceppata. I dati affluivano dai comuni ai terminali del ministero dell’Interno con inusitata lentezza, nonostante le operazioni di voto si fossero concluse ormai da sette ore e in quasi nessun seggio d’Italia ci fossero ancora presenti gli scrutatori e i rappresentanti di lista. Era successo, dunque, qualcosa di inquietante, che la Cdl sconfitta solo di una manciata di voti cavalcò subito sull’onda delle parole del proprio leader costringendo le Corti d’Appello a rifare i conti. Si ricorderà che il risultato finale sulle elezioni politiche 2006 fu proclamato solo con due giorni di ritardo rispetto alla chiusura dei seggi. Non era mai successo prima. I brogli, forse, ci sono stati davvero. Solo che a commetterli è forse stata quella stessa parte politica che, a caldo, ne ha denunciato l’esistenza. A ricostruire quelle convulse ore in cui la democrazia italiana è sfuggita ancora una volta per un soffio alla morsa dell’autoritarismo e di un golpe strisciante è un film coraggioso, Uccidete la democrazia!, di Beppe Cremagnani ed Enrico Deraglio, con la regia di Ruben H. Oliva, che invece di indulgere in congetture e cadere nella classica sindrome del complotto, sfodera numeri. Numeri e ore. Più che un film denuncia, la costruzione rispecchia quella di un’inchiesta giornalistica d’autore, compresa l’immancabile “gola profonda” che sciorina a valanga dettagli, situazioni, inquietanti magheggi informatici facili da usare, tuttavia, come per un bambino la Playstation. Tanto apparentemente banali da far riflettere profondamente su quanto sia davvero labile la cortina di sicurezza della libertà di un popolo quando il tessuto politico, culturale e sociale del Paese è diventato talmente friabile da non costituire, in alcun modo, un baluardo contro qualsivoglia tentativo golpista. L’Italia, in questa occasione, ha retto. Ma se ciò che il film descrive è vero anche solo in una sua minima parte, è stato davvero un miracolo.

In quella notte, si diceva, il flusso dei dati elettorali si bloccò. “Non si riesce a capire che sta succedendo”, diceva preoccupato Romano Prodi. L’esito delle elezioni si dimostrava, di minuto in minuto, sempre più incerto. E intanto a Palazzo Grazioli, quartier generale di Berlusconi, faceva il suo ingresso un concitato Beppe Pisanu. Mai successo che un ministro dell'Interno lasciasse il suo posto in un momento così. C'era già stato verso le 19,20. Per convocarlo, alle 23,14 gli avevano telefonato al Viminale: “L'hanno costretto letteralmente costretto ad andare”, svela la “gola profonda” del film. Berlusconi era furibondo: “Gli gridava in faccia che lui non era disposto a perdere per una manciata di voti”. Pisanu di lì a breve tornerà al Viminale dove troverà ad attenderlo un pallido Marco Minniti, Ds, già intravisto, agitatissimo, in sala stampa a caccia di funzionari e di telefoni. Più tardi, a Palazzo Grazioli, tre uomini chiusi in una stanza, Bondi, Cicchitto e Pisanu ascoltarono le ire di un Cavaliere fuori dai gangheri che urlava che no, lui “non ci poteva stare”. E che Pisanu altro non era che un “vigliacco”, un “traditore”: insulti, forse rivelatori, forse no. Alle 2.44 Piero Fassino annunciò alle telecamere: “Abbiamo vinto”. Ma dal Viminale neanche un fiato di ufficialità.

A quanto pare, il grande imbroglio informatico è sfumato in extremis, il programma che nel sistema di trasmissione dati del Viminale trasformava le schede bianche in voti per Forza Italia è stato fermato (scientemente) a ventiquattromila voti dal traguardo, l'esiguo vantaggio dell'Unione. E’ plausibile, insomma, che più che ribaltare del tutto il risultato si sia tentato di rendere talmente esiguo il margine di vittoria dell’Unione da impedirgli di governare liberamente nei cinque anni successivi. A Berlusconi, probabilmente, avevano garantito comunque una vittoria, ma qualcuno più avvezzo alla politica e con uso di mondo assai antico, aveva chiaro che una vittoria del Polo non sarebbe stata accettata e che le piazze sarebbero potute esplodere con conseguenze difficili da arginare. E, da buon democristiano con un senso dello Stato superiore all’ossequio e all’obbedienza nei confronti del capo, ha preferito dare ordine di spegnere l’interruttore. Non sappiamo se le cose si siano svolte davvero in questo modo. Se i dati delle ultime elezioni non fossero ancora piombati in Corte di Cassazione, il riscontro tra i verbali dei seggi e i dati emersi dai computer del Viminale sarebbe fin troppo semplice. Le terribili ore successive al voto, tuttavia, lo hanno impedito: questione di sicurezza nazionale.

Ci sono, tuttavia, dei dati che possono essere confrontati senza riaprire gli scatoloni delle schede e senza impolverarsi le mani rileggendo i verbali dei seggi. Dalle Politiche 2001 a quelle 2006, per la prima volta nella storia della Repubblica, le schede bianche sono crollate: da 1.692.048 ad appena 445.497, 1.246.551 in meno. Maggiore partecipazione? Ma gli elettori, al netto dei votanti all'estero, sono stati di meno: 39.424.967 contro i 40.190.274 di cinque anni fa. E soprattutto ci sono le “anomalie” statistiche. L'Italia è varia, la percentuale di “bianche” nel 2001 cambiava ad ogni regione, 2,6 in Toscana, 9,9 in Calabria, 5,5 in Sardegna e via andare. Nel 2006 - e il film di Deraglio lo mostra - si assiste ad una curiosa omologazione dei risultati. In tutto lo stivale le schede bianche sono pressoché omologate, dall'1 al 2%, isole comprese. In Campania, per dire, si è passati da 294.291 bianche a 50.145, meno duecentocinquantamila, dall'8 all'1,4%. E poi c'è la successone degli eventi. Alle 15 il primo exit-poll dava all'Unione cinque punti di scarto, come tutti i sondaggi. Ma alle 15,45 Denis Verdini, responsabile dell'ufficio elettorale di Forza Italia, se n’è uscito dicendo che “alla Camera è testa a testa, lo si vedrà dopo diverse proiezioni”.

Dicono che in quelle ore, in via del Plebiscito, Berlusconi abbia fatto chiamare l'onorevole avvocato Ghedini per preparare, seduta stante, un decreto in cui fare approvare da un Consiglio dei ministri straordinario, la sospensione del risultato elettorale fino a un nuovo conteggio, assicurando anche che lo avrebbe fatto firmare a Ciampi. Ma dal Colle arrivò, via Gifuni, una risposta secca: il Capo dello Stato di questa eventualità non volle neppure “sentirne parlare”. Si è evitato un golpe solo grazie alla fermezza di Ciampi e il buon senso di Pisanu? Non siamo avvezzi a sposare tesi complottarde solo per ragioni di comodo o di militanza. Serenamente attendiamo che la magistratura faccia luce, che la commissione d’inchiesta, voluta dal Polo, emetta il suo verdetto e che, soprattutto, le Istituzioni ci rassicurino sul fatto che se pericolo davvero c’è stato, questo non avrebbe mai potuto trovare sponde adeguate per sedimentarsi e crescere. Che ci si dica, insomma, che l’Italia non ha comunque rischiato di sprofondare nel buio di una democrazia a sovranità limitata. Nonostante l’informatica e i cialtroni di turno. I numeri, d’altra parte, prima o poi parleranno. Anche se, come sostiene Clinton Curtis, il programmatore informatico gola profonda di Deaglio che nel 2001, inconsapevole, preparò un software per truccare le elezioni e poi ha denunciato tutto e ne ha fatto una battaglia, “qualsiasi broglio le venga in mente, con la matematica si può fare”. Nel film si vede lo stesso Curtis che, in mezz’ora, prepara al direttore di Diario un programma che distribuisce in automatico le schede bianche a uno schieramento lasciandone una percentuale tra l'1 il 2%: “Si può inserire nel computer centrale o a metà della rete, bastano quattro o cinque persone”. Chissà dove sono adesso…