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di Elena G. Polidori

La notizia, al primo impatto, sembrava quella di una Giunta per le autorizzazioni della Camera che, con qualche giorno di ritardo rispetto al Senato, aveva deciso di ricontare le schede delle elezioni politiche 2006. Poi, dopo qualche ora, la notizia è diventata un’altra, quella di un Silvio Berlusconi sempre più convinto di aver subìto il furto della vittoria e ora addirittura deciso, in caso di dimostrati brogli, a rimescolare le carte per le più alte cariche dello Stato, dalle presidenze delle camere fino al Quirinale. L’assioma di partenza è semplice: dopo aver delegittimato, con un martellante gioco mediatico, la maggioranza del Parlamento uscita dalle urne l’11 aprile del 2006, adesso si punta a minare le fondamenta delle Istituzioni nominate proprio da questo parlamento “palesemente illegittimo”. Berlusconi, interrogato sull’argomento, ha ostentato saggezza e inusitato senso dello Stato commentando sornione che “se dovesse cambiare qualcosa dopo la riconta, si dovrà prendere una decisione che non sarà soltanto mia”. Prodi, però, non sembra avere alcuna intenzione di scendere sul terreno dello scontro. E da Bruxelles risponde stizzito alle elucubrazioni dell'avversario: "Berlusconi sbaglia sempre le previsioni; hanno deciso di ricontare?Lasciamoli fare". Nella Cdl, però, si scalpita. Perchè il vero “sentire” interno al Polo lo ha fornito il primo firmatario della “porcata” elettorale di cui questa situazione di caos è la figlia più legittima: Roberto Calderoli. La tecnica del colpo di Stato leghista prevede, in buona sostanza, che “in attesa della verifica – parole dell’ex ministro delle Riforme - si deve rinunciare all'approvazione di una legge finanziaria, non essendo più il governo legittimato con certezza a governare il Paese e si deve procedere, pertanto, all'ordinaria amministrazione attraverso l'esercizio provvisorio”. Non è finita. Calderoni auspica che “il presidente della Repubblica e i presidenti dei due rami del Parlamento si auto-sospendano alle loro rispettive cariche fino al termine delle verifiche in questione, in quanto eletti da parlamentari la cui elezione, in virtù dell'odierna deliberazione della giunta, è da considerare sub judice”. La vera aspirazione del Polo, fin dall’alba della sconfitta del 12 aprile 2006, sta tutta qui: tornare al potere ad ogni costo. E la strada più breve è sempre quella antidemocratica, l’unica che sembrano conoscere da sempre alla perfezione.

Strumentalizzare la riconta delle schede per fini che esulano dalla democrazia è dunque il vero fine di Silvio Berlusconi. Alla Camera si riconteranno circa quattro milioni di schede, pari al 10% di quelle scrutinate. E, come nel caso del Senato, se da questa prima istruttoria dovessero emergere errori, si proseguirà con il riconteggio totale. Sono 6 mila seggi da riaprire in un termine di 6 mesi, cioè fino a luglio 2007. A dir poco un'impresa titanica se si pensa che in circa 80 giorni di lavoro (se si calcola una media di 3 giorni a settimana e si escludono le feste) gli 11 componenti (uno per ogni gruppo in Giunta) si troveranno ognuno a dover controllare circa 5.000 schede al giorno, cioè 500 l'ora se lavorassero 10 ore al giorno. Ma ce la faranno, su questo i dubbi sono davvero pochi.

Anche per evitare che la lunga attesa non renda concreto il pericolo intravisto ieri da Piero Fassino. E cioè che, mandandola troppo per le lunghe, si finisca per sedimentare nella coscienza degli italiani che in questo Paese “non c’è più certezza in nulla” e che il broglio è la regola, non l’eccezione. Un atteggiamento non condiviso dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti, che invece ravvisa in questo ennesimo via libera alla riconta un fatto “ragionevole e tranquillizzante”. Sarà. Ma fintanto che Berlusconi continuerà a urlare di essere convinto di “aver vinto le elezioni”, ci sarà ben poco da star tranquilli. Per lui, addirittura, questo scarto di tempo di otto mesi che è stato necessario per arrivare alla decisione bipartisan della riconta in entrambi i rami del Parlamento è comunque “un passo tardivo”. Se fosse dipeso da lui, gli scatoloni con le schede e i verbali degli oltre 90 mila seggi italiani si sarebbero dovuti riaprire prima ancora della riconsegna alle Corti D’appello. “'E' assolutamente negativo – ha infatti sottolineato - che non si sia proceduto immediatamente a ricontare le schede, come è avvenuto in Ucraina, Messico e Stati Uniti”. Il risultato è arrivato comunque, anche se in un clima avvelenato che si è riverberato pesantemente sulla giunta della Camera.

Fino all’ultimo, infatti, le posizioni dei poli sembravano inconciliabili: la Cdl ferma nella sua richiesta di ricontare tutte le schede di tutti i seggi e l'Unione che invitava prima a concludere le 26 relazioni circoscrizionali e quindi a passare al riconteggio. L’altra notte, però, è arrivata la svolta perché la Giunta è riuscita a terminare l' esame delle relazioni con il presidente Donato Bruno (FI) che ha immediatamente chiesto di mettere subito ai voti l'istituzione del Comitato di verifica nazionale, l'organismo della Giunta preposto a ricontare i voti. L'Unione ha detto sì, ma a due condizioni: prima si sarebbe dovuto decidere sul “caso Previti”; quindi si sarebbero dovuti individuare i criteri per il funzionamento del Comitato e, solo in un secondo tempo, si sarebbe potuto pensare alla sua istituzione. E così è accaduto. L’altra mattina il Comitato per le incompatibilità ha dato il via libera per proporre alla Giunta la proposta di avviare la procedura di decadenza dal mandato di parlamentare per Previti (condannato a sei anni di carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per la vicenda Imi-Sir). Quindi si è passati a stabilire i criteri per il lavoro del Comitato a cui toccherà il riconteggio. La Cdl avrebbe voluto ricontare tutte le schede, ma alla fine ha avuto la meglio la proposta della capogruppo dell'Ulivo in Giunta, Donata Lenzi, di mettere mano solo al 10% delle scrutinate. L’ultimo compromesso che ha consentito la sigla dell’accordo riguarda il fatto che, se nella riconta dovessero emergere irregolarità, allora si rivedranno davvero tutte le schede di tutti i seggi. A quel punto, è ragionevole credere che del caso non se ne verrebbe mai a capo, facendo restare nell’elettorato un mare di dubbi.

L’opposizione, ora come ora, teme molto di più che dalla riconta non emergano irregolarità, perché tutte le rivendicazioni di vittoria si perderebbero come lacrime nella pioggia. Ma anche nella maggioranza i sorrisi sono stentati e, per lo più, amari. L’ Unione è stata costretta prima a digerire la decisione della Giunta del Senato, che ha dato il via al controllo dei voti per spuntare “l'arma-dei-brogli” alla Cdl, quindi a tentare di arginare le forti polemiche scoppiate sul film-documentario di Enrico Deaglio che, in qualche modo, hanno dato più ossigeno alla campagna delegittimante del Polo che viceversa. Insomma, alla fine un riconteggio a campione è stato considerato il minor male. A patto che, nel frattempo, non succeda altro. E non si concretizzi il vaticinio di Fassino. Che in Italia, alla fine, non ci sono davvero più certezze. A parte quello che intende il Polo per democrazia.