di Lorenzo Zamponi

Sul fronte universitario l’autunno appena concluso è stato il più tranquillo degli ultimi anni. Praticamente nessuna delle mobilitazioni verificatesi lo scorso anno, quando decine di atenei italiani furono occupate in protesta contro il ddl Moratti, si è ripetuta. Ma sottotraccia c’è chi prepara una primavera di conflitto aperto e, a scatenarlo, potrebbe essere proprio il governo. Del resto le questioni aperte sono le stesse ormai da almeno una decina d’anni, e niente fa pensare che il cambio di esecutivo abbia sconvolto il terreno dello scontro. Da una parte ci sono le grandi tendenze di ristrutturazione dell’istruzione e della formazione, figlie e figliastre del processo di Bologna aperto nel 1999 dall’Ue: il cosidetto nuovo ordinamento, o 3+2, le sue degenerazioni più o meno volute, la riforma a “Y” predisposta dalla Moratti, i diversi documenti dell’associazione Treelle, di Confindustria e di altre lobby più o meno trasparenti. Meccanismi di evoluzione spesso vaghi ed equivoci, al cui interno si celano sempre più di frequente progetti di ridisegno complessivo del sistema universitario europeo sul modello americano, con lo smantellamento delle comunità di apprendimento e ricerca, sostituite da pochi centri di ricerca d’eccellenza e da una miriade di piccoli atenei licealizzati secondo il modello delle teaching universities americane.

Dall’altra parte c’è il lato economico, con i continui tagli che spingono gli atenei sempre più sulla strada del rapporto con il privato, della ristrutturazione interna in chiave aziendale, della redditività come criterio superiore all’interesse scientifico in ogni scelta operativa. Senza contare che l’incrocio tra i meccanismi di selezione di cui sopra e i tagli al diritto allo studio, riporta alla luce divisioni classiste che si pensavano relegate ad altre epoche. Nell’università di massa le barriere non si eliminano: semplicemente si spostano e si nascondono, fornendo a tutti una formazione parcellizzata e dequalificata e lasciando a poche esperienze d’élite, ovviamente a pagamento, il ruolo di selezionare la classe dirigente.

Ed è proprio su quest’ultimo fronte, quello economico, che il governo Prodi ha dimostrare il minore tasso di discontinuità dal suo predecessore. Ma non è la tanto vituperata finanziaria a spaventare studenti e docenti. Anzi, interventi come il cosiddetto «pacchetto serietà», con il blocco delle università telematiche, il blocco delle convenzioni per il progetto «Laureare l’esperienza» (quello che ha regalato per anni lauree senza sforzo a categorie come poliziotti e giornalisti) e il blocco della proliferazione di nuovi corsi di laurea in sedi distaccate, sono stati apprezzati da ampi settori del mondo universitario. Soprattutto nell’ultimo caso si tratta di misure di risparmio, le cui ricadute saranno però probabilmente positive ad ogni livello, ponendo un freno alla definitiva dequalificazione dell’istruzione universitaria.

Ma altre misure di risparmio, come quelle contenute nel famoso decreto Bersani, potrebbero avere risultati ben diversi: l’articolo 22 del decreto di luglio, infatti, sancisce la riduzione del 10% degli stanziamenti «relativi a spese per consumi intermedi dei bilanci di enti ed organismi pubblici non territoriali» per il 2006. Un taglio che sale al 20% per il triennio 2007-2009. Inevitabile che le università insistessero per una deroga.

La deroga non c’è stata e non ci sarà. E con essa sono scomparsi anche i fondi per il diritto allo studio promessi dal programma dell’Unione. Il punto più spinoso è quello delle borse di studio: si tratta di contributi che ogni Regione eroga sulla base di criteri di reddito e merito. Ma, secondo il solito copione del federalismo all’italiana, i fondi per pagare le borse arrivano da Roma. E negli ultimi anni hanno iniziato a tardare, tanto che in molti atenei i contributi agli studenti sono stati versati mediante più assegnazioni: una parte degli studenti idonei riceve la borsa a dicembre, un’altra parte a marzo, alcuni addirittura a luglio. L’anno scorso la situazione ha superato i limiti del ridicolo: ci sono studenti che ad oggi non hanno ancora ricevuto la borsa di studio, nonostante siano risultati idonei più di un anno fa. Migliaia di studenti sono in attesa dello sblocco dei fondi ministeriali, promesso di settimana in settimana.
Inutile dire che questo sistema cambia la natura stessa della borsa di studio: se queste servono per eliminare le barriere economiche e permettere a tutti di frequentare l’università, erogarle dopo più di un anno, quando ormai le spese sono state sostenute, significa ridurle a un rimborso spese, in attesa del quale gli studenti si devono arrangiare.

Ma il vero punto di rottura della breve luna di miele tra il governo Prodi e gli studenti universitari potrebbe arrivare entro l’inizio della primavera. In un incontro avvenuto il 28 novembre con l’UdU (sindacato studentesco) e le federazioni giovanili dei partiti dell’Unione, il sottosegretario Nando Dalla Chiesa ha annunciato l’intenzione di mantenere la promessa contenuta nel programma dell’Unione: una conferenza sulla condizione studentesca. Ma i contenuti di questa conferenza sono ben diversi da quelli attesi dalle organizzazioni studentesche: sembra che Dalla Chiesa abbia esplicitamente affermato di non aver alcuna intenzione di porre un freno all’aumento delle tasse universitarie. Anzi, le linee guida sul diritto allo studio che ha proposto prevedono la riduzione del numero di borse di studio, l’aumento del peso del merito rispetto a quello del reddito e l’incremento dell’importo di ogni borsa. Le borse mancanti verrebbero sostituite da prestiti d’onore.

Se il sottosegretario davvero avanzasse una proposta del genere in una conferenza nazionale di studenti dovrebbe temere per la propria incolumità: aumentare l’importo delle borsa di studio vuol dire infatti semplicemente immettere più soldi in mercati già altamente competitivi come quello della casa, ottenendo con ogni probabilità come unico risultato un aumento degli affitti, senza vantaggi concreti per chi riceve la borsa. Mentre d’altra parte il taglio del numero totale delle borse escluderebbe dall’università, o quanto meno dalla possibilità di viverla a tempo pieno, una parte consistente della popolazione studentesca.
Sarà quindi la primavera a chiarire quale sia il vero progetto del governo Prodi sull’università, al di là del gioco delle parti tra Mussi e Padoa Schioppa e dell’eterno balletto delle dimissioni minacciate dai rettori.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy