La recita sembra ormai alle battute finali. Dopo mesi passati a fingere unità, negli ultimi tempi il governo gialloverde rivela ogni giorno di più la profondità della frattura che lo divide. Questo non significa che la fine sia questione di giorni, perché nessuno si sognerebbe di mandare tutto all’aria poco prima delle europee. Superata la boa del 26 maggio, però, ogni momento potrebbe essere quello giusto. E le due anime della maggioranza hanno già iniziato a scambiarsi il cerino della crisi.

 

 

Le bordate reciproche fra gli alleati di governo sono ormai prassi quotidiana e dalla settimana scorsa ruotano intorno a due questioni: i guai dell’amministrazione pentastellata nella Capitale e quelli del sottosegretario leghista ai Trasporti, Armando Siri.

 

Fin qui, la mossa più ostile è arrivata da Matteo Salvini. Il leader leghista ha affondato il provvedimento che avrebbe permesso al Comune di Roma di uscire dalla gestione commissariale del debito. La misura doveva far parte del decreto Crescita, che, insieme allo Sblocca Cantieri, è stato oggetto di richiamo da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Secondo il Quirinale, infatti, il tempo trascorso fra la presentazione in Consiglio dei ministri e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale è eccessivo, al punto da far dubitare dei requisiti di “necessità e urgenza” che la Costituzione impone per questo strumento legislativo.

 

L’intervento del Colle ha costretto il Governo a rinviare la questione. Se ne tornerà a parlare domani, ma Salvini ha già imbracciato le armi: “Al decreto crescita ci stiamo lavorando – ha detto – Ma non penso ci siano Comuni di serie A e Comuni di serie B. Se vogliamo aiutare i Comuni sarò il primo a farlo. Ma se c’è un intervento per aiutare un solo Comune, no”. Infine, un altro pugno sul sopracciglio sanguinante degli alleati: “Spiace che il Movimento 5 Stelle non sia in grado di amministrare la Capitale del Paese”.

 

Se non è un vero atto di guerra, poco ci manca. Luigi Di Maio ha provato a difendere la sindaca Virginia Raggi parlando di “una sceneggiata mediatica” nei suoi confronti. Ma la vera reazione del M5S si è concentrata contro Armando Siri, indagato per corruzione. Secondo gli investigatori, per ottenere una serie di interventi legislativi nel campo delle energie rinnovabili, l’imprenditore ligure Franco Arata avrebbe promesso 30mila euro al sottosegretario leghista, che, in base ai documenti che hanno autorizzato le perquisizioni ai danni di Arata stesso, avrebbe “asservito l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri ad interessi privati”. I grillini sottolineano la gravità di queste accuse e sostengono che, se alla fine la norma più importante per l’imprenditore ligure non è mai passata, è stato solo merito loro.

 

“Trovo gravissimo che la Lega con così tanta superficialità ogni volta che gli gira minacci di far cadere il governo – commenta Di Maio – Ma poi per cosa? Per non mettere in panchina un loro sottosegretario indagato per corruzione (che potrà poi rientrare nel governo laddove, mi auguro, si risolvesse positivamente la questione) sono pronti a far saltare tutto e a tornare con Berlusconi?”

 

Non si sa quale sarà il pretesto, né chi vincerà la gara dello scaricabarile, ma sembra piuttosto evidente che l’aria della crisi sia percepita ormai da tutti. Del resto, l’incompatibilità politica fra Lega e Movimento 5 Stelle è lampante da almeno quattro mesi. Subito dopo l’approvazione della manovra 2019 (che conteneva quota 100 e reddito di cittadinanza) e il varo del decreto sicurezza, il governo ha esaurito il combustibile che gli permetteva di lavorare per obiettivi comuni. Da allora l’azione legislativa si è quasi completamente interrotta, lasciando spazio a schermaglie di varia natura, a cominciare da quella sul Tav.

 

Ma ciò che più conta adesso è la prospettiva sull’autunno. Solo per evitare che l’Iva aumenti, nella manovra dell’anno prossimo bisognerà stanziare 23 miliardi di euro, che è già il valore di un’intera legge di Bilancio. La Lega insiste poi sulla necessità d’introdurre una (pseudo) flat tax da 12-13 miliardi, perché mollare su questo fronte sarebbe per il Carroccio un suicidio elettorale. Il risultato dell’equazione è ovviamente che i soldi non bastano. Neanche lontanamente.

 

A questo punto, la domanda è una sola: visto che la storia dei “cinque anni di governo” ormai suona ridicola, ai due partiti della maggioranza (ma soprattutto alla Lega, che è in testa nei sondaggi) conviene andare al voto prima o dopo aver alzato l’Iva?

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