Come suo fratello minore, il reddito di cittadinanza, in questi giorni anche la pensione di cittadinanza si sta rivelando molto diversa dalle attese. Per mesi, dalla campagna elettorale del 2018 fino al varo della manovra di fine anno, i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno sbandierato l’intenzione di alzare le pensioni minime, “perché così è un’indecenza”.

 

A intestarsi la battaglia sono stati soprattutto i grillini, visto che lo strumento concepito per centrare l’obiettivo era appunto la pensione di cittadinanza, che avrebbe dovuto garantire un’integrazione fino a 780 euro mensili. Come il reddito di cittadinanza, ma per i pensionati. 

 

 

Fin qui le promesse. Ora però l’Inps ha iniziato a elaborare le domande per i vari sussidi ed è arrivato il momento di fare i conti con la realtà. I soldi per alzare a 780 euro i trattamenti previdenziali inferiori a questa soglia, circa sei milioni in tutto, non ci sono. E non è una sorpresa: non ci sono mai stati, neanche lontanamente. Era chiaro fin dall’inizio, ma è comunque inevitabile che adesso - di fronte all’evidenza dei numeri - migliaia di pensionati resteranno delusi.

 

Secondo i dati aggiornati al 24 aprile, le domande arrivare all’Inps per il reddito di cittadinanza sono state 947mila. Di queste, appena il 14%, ossia 133.252, riguarda le cosiddette pensioni di cittadinanza. Circa un quarto dovrebbe essere rigettato dall’Istituto di previdenza, per cui si prevede che le integrazioni messe in pagamento non saranno più di 100mila.

 

Alcune anime pie obiettano che la situazione non è allarmante, dal momento che moltissimi italiani percepiscono più di un trattamento pensionistico o hanno comunque altri redditi. Eppure, la sproporzione fra gli assegni previdenziali inferiori a 780 euro al mese (6 milioni) e le pensioni di cittadinanza che verosimilmente saranno erogate sulla base delle richieste arrivate finora (100mila) è davvero gigantesca. E sembra inevitabile che alla fine resteranno escluse dal sussidio anche molte persone in situazione di grave difficoltà. Con buona pace del leader pentastellato Di Maio, che qualche mese fa si vantava di aver “sconfitto la povertà assoluta”.

 

Ma visto che in Italia il disagio sociale non manca (forse prima o poi se ne accorgerà perfino il Pd), viene da chiedersi come mai finora solo 133mila persone abbiano chiesto all’Inps la pensione di cittadinanza. Sembrano davvero poche, no?

 

In realtà c’è una spiegazione semplice. Il decretone con cui il governo gialloverde ha introdotto nell’ordinamento italiano quota 100, reddito e pensione di cittadinanza ha imposto requisiti rigidissimi per l’accesso al sussidio destinato agli anziani. 

 

Il paletto più irragionevole è quello anagrafico. In pratica, a meno che nel nucleo familiare non sia presente una persona con disabilità, è necessario che tutti i componenti abbiano almeno 67 anni. Se ad esempio marito e moglie hanno rispettivamente 68 e 65 anni, non hanno diritto alla pensione di cittadinanza. Non possono nemmeno chiederla (da qui il numero basso delle domande), a prescindere da quanto siano poveri.

 

Un altro aspetto controverso riguarda la casa di proprietà. I pensionati che ne hanno una (e sono moltissimi: basta la casetta di famiglia ereditata in Paese) non hanno diritto al contributo per l’affitto. Di conseguenza, per loro la soglia dell’integrazione crolla da 780 a 630 euro al mese. Insomma, si può serenamente dire che la povertà assoluta è ancora lontana dall’essere sconfitta.

 

Anche per protestare contro questa ennesima beffa, Cgil, Cisl e Uil hanno indetto una manifestazione che si terrà il primo giugno a Roma, in Piazza del Popolo.  

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