Sono giornate decisive per Giuseppe Conte. Appena rientrato dal G20 in Giappone, il Presidente del Consiglio torna a Bruxelles per un nuovo vertice sulle nomine europee. Ma nella testa dell’avvocato campano l’obiettivo è uno solo: disinnescare la bomba della procedura d’infrazione per debito eccessivo.

 

È questo il vero macigno sul cammino dell’Esecutivo. In caso di fallimento, quasi certamente Salvini aprirà la crisi di Governo entro il 20 luglio, così da tornare alle elezioni a fine settembre e nel frattempo condurre una succulenta campagna elettorale estiva a suon di bordate contro l’Europa cattiva. Ma andiamo con ordine.

 

 

Anche se la parola finale spetterà all’Ecofin del 9 luglio, martedì la Commissione europea deciderà se confermare o meno il parere già espresso in favore della procedura contro l’Italia. L’esito di questo passaggio dipenderà dall’Assestamento di Bilancio, il documento contabile che il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare questa sera. Nessuno avrà mai il coraggio (o la franchezza) di chiamarlo “manovra correttiva”, ma stavolta è proprio di questo che si tratta. Il numero uno del Tesoro, Giovanni Tria, anche lui a Osaka per il G20, è tornato con la convinzione che l’accordo sia cosa fatta. Fonti europee confermano che le distanze ormai sono minime: tutto sta nel vedere se con l’Assestamento l’Italia riuscirà davvero a mettere sul tavolo nove miliardi di euro.

 

Il rischio è che la Commissione decida comunque di non accantonare la procedura, ma solo di rinviare la decisione di qualche mese, probabilmente a ottobre. Conte vorrebbe chiudere subito, come nell’intesa siglata lo scorso dicembre (e poi disattesa dall’Italia), perché sa che congelare il verdetto significa porre una nuova ipoteca sulle aspettative di vita del governo.

 

Per convincere l’Europa a semplificargli la vita, il Presidente del Consiglio cerca di muoversi in modo tattico su un altro tavolo, quello delle nomine europee. Per il momento, il nostro Paese sta sabotando la candidatura del laburista olandese Frans Timmermans alla guida della Commissione europea. In quanto candidato di punta del Partito socialista europeo – nonché attuale vice di Juncker – Timmermans è sgradito alla Lega, anche se sulla carta rimane il favorito dopo che Macron ha affondato l’alfiere dei popolari, Manfred Weber. A lanciare la candidatura dell’olandese è stata Angela Merkel, in cerca di un accordo con i socialisti per recuperare Weber alla presidenza del Parlamento europeo, con il francese Villeroy alla Bce e il liberale belga Michel o il popolare croato Plenkovic al Consiglio europeo.

 

Questa formazione è osteggiata da Ungheria e Polonia, visto che negli ultimi anni Timmermans si è espresso varie volte contro l’autoritarismo di Orbàn e Morawiecki. A sorpresa, in aiuto dei due galantuomini di Visegrad è accorso il buon Conte, che ogni tanto deve pur fingere di avere metà cuore leghista.

 

Del resto, forte del trionfo alle europee, Salvini un socialista alla guida della Commissione non lo vuole proprio. Potrebbe invece dare il via libera a uno schema alternativo che preveda la liberale danese Vestager alla Commissione, Plenkovic al Consiglio e il finlandese Liikanen alla Bce. Il paradosso è che questo pacchetto, politicamente meno sgradito al leader del Carroccio, sarebbe una disgrazia per la finanza pubblica italiana, che dovrebbe prepararsi un rigore molto più pesante di quello già sperimentato.

 

Su tutto questo aleggia il pericolo che Conte, invece di usare le nomine come carta vetrata per smussare gli angoli della trattativa con Bruxelles, finisca con l’innervosire i Paesi che dovrebbero essere nostri alleati. Quelli da cui dipende il destino della procedura, e quindi del governo. 

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