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L’Iva aumenterà perché è caduto il governo o il governo è caduto perché l’Iva aumenterà? La seconda opzione è più convincente, ma poco importa. Il punto è che, a meno di miracoli all’italiana o di improbabili accordi con Bruxelles, dal primo gennaio 2020 l’imposta sui consumi salirà. E non di poco: l’aliquota ridotta passerà dal 10 al 13% e quella ordinaria dal 22 al 25,2%, per poi arrivare al 26,5% nel 2021.

Di chi è la colpa? Salvini e Di Maio hanno già iniziato a scaricare il barile sul Pd e su Forza Italia: “È un regalino ricevuto in eredità dai governi precedenti”, ripete da un anno e mezzo il leader della Lega. In linea di principio non ha torto: le clausole di salvaguardia furono introdotte dal governo Berlusconi nel 2011 per garantire all’Europa che l’Italia avrebbe rispettato gli impegni sui conti pubblici. Da allora, ogni anno l’esecutivo di turno le ha disinnescate (compensandole con tagli alla spesa o maggiori entrate fiscali), ma nessuno le ha mai cancellate: ogni volta la minaccia viene solo rinviata di 12 mesi.

 

Salvini però non racconta tutta la storia. Lo scorso dicembre, infatti, i gialloverdi non hanno seguito il solito copione “sterilizzazione+rinvio”, ma hanno aggravato il problema. Come? Semplice: per finanziare reddito di cittadinanza e quota 100, con la manovra del 2019 il Governo del Cambiamento ha aumentato a dismisura l’importo delle clausole, passate da 13,7 a 23,1 miliardi per il 2020 e da 15,6 a 28,7 miliardi per il 2021. In sostanza, i pentaleghisti hanno fatto salire alle stelle le somme necessarie a evitare che l’Iva aumenti. A causa della scorsa manovra, ora dovremmo trovare 51,8 miliardi in due anni, una missione chiaramente impossibile.

Ora, l’Iva è un’imposta sui consumi e pesa in modo particolarmente significativo sulle fasce più deboli della popolazione. L’aumento avrà perciò effetti recessivi, zavorrando ulteriormente un Pil già fermo. A luglio l’Istat ha certificato che “nel secondo trimestre del 2019 è continuata la fase di sostanziale stagnazione dell'economia italiana, che prosegue ormai dal secondo trimestre dello scorso anno. Dopo il lievissimo calo registrato nella seconda metà del 2018 e l'altrettanto marginale recupero del primo trimestre, il Pil ha segnato nel secondo trimestre del 2019 una variazione congiunturale nulla”. 

In uno scenario simile, non sorprende affatto che la Lega abbia scelto di aprire la crisi di governo proprio adesso. Fin qui, nella storia della Repubblica, nessun partito ha mai voluto le elezioni in autunno perché è il periodo in cui si scrive la manovra e tutti hanno sempre avuto interesse a mettere le mani nella marmellata dai banchi della maggioranza. Il Carroccio è la prima formazione politica di sempre ad avere il problema inverso: siccome è in vantaggio nei sondaggi, non vuole scrivere la legge di bilancio. Deve chiamarsi fuori perché sa benissimo che è impossibile evitare l’aumento dell’Iva senza aumentare altre tasse e ha bisogno di un capro espiatorio cui addossare la colpa. Potrà essere chiunque: l’Europa, Mattarella, i 5 Stelle, il Pd, il buco nell’ozono, Lex Luthor o Dart Fener.

L’importante per Salvini è entrare a Palazzo Chigi al momento giusto: non subito prima della catastrofe, ma subito dopo. E probabilmente ci riuscirà, visto che ormai – considerando i tempi medi per la formazione di un governo in Italia – è davvero improbabile che la nuova manovra venga approvata entro il 31 dicembre. Basterebbe un giorno di ritardo e, insieme all’esercizio provvisorio, scatterebbero in automatico anche gli aumenti dell’Iva.

Tutto questo immaginando che davvero si torni alle urne entro il la fine di ottobre. Se invece M5S e Pd mettessero in piedi un governo istituzionale – aperture clamorose in questo senso sono arrivate negli ultimi giorni da Grillo e da Renzi – a Salvini non resterebbe che godersi lo spettacolo. Com’era la storia dei popcorn?