La sortita ultima di Matteo Renzi ha smosso le acque già torbide del sistema politico italiano. La sua nuova avventura politica ha ottenuto al momento l’attenzione sperata ma molti meno consensi di quelli ipotizzati. Del resto, Renzi - lo si è detto su questo giornale in più di una occasione - è personaggio di grande presenza scenica ma completamente digiuno di politica, laddove per essa s’intende la cultura delle idee sia in chiave dottrinaria che empirica e la conoscenza della strategia e della tattica necessarie al raggiungimento del consenso.
Renzi, infatti, oltre a non aver avuto da dire mai nulla che somigliasse ad un contenuto, ha ripetutamente mostrato una incapacità cronica nel leggere lo scenario politico e gli umori del Paese. Si è palesato piuttosto come un prodotto commerciale nel mercato della politica, proprio perché formatosi alla Ruota della Fortuna di Mike Buongiorno più che nelle scuole quadri dossettiane o morotee. Ma capace, nel volgere di 20 mesi, di passare da segno di rinnovamento a immagine di disfacimento.
Volendo sospendere per carità di patria il giudizio sul nome (Italia viva sembra una marca di pelati più che un progetto politico), l’idea che anima l’avventura renziana si fonda sul convincimento che vi sia uno spazio al centro. Ma dove sarebbe questo centro? Il liberismo e il pensiero cattolico, tipici elementi del centrismo, sono già nei tre campi ampiamente rappresentati. Il ceto medio ad indirizzo politico moderato che si posizionava al centro, distinto e distante dalla radicalità della destra e della sinistra, è scomparso con la fine della sinistra e della Democrazia Cristiana e per gli effetti della globalizzazione, ed oggi si esprime nel voto trasversale a tutti gli schieramenti.
In una Italia volgare, sguaiata e piena di livore, con il precipitare della piccola e media borghesia nel proletariato, la moderazione si è trasformata in rabbia e frustrazione. Pensare di ricondurre l’odio a moderazione appare compito da consegnare ai lustri e provare a riesumare la DC appare avventura improbabile. Dc che peraltro aveva un’idea di economia sociale di mercato a carattere solidaristico, mentre oggi nessun campo propone un pensiero diverso sulle politiche sociali ed economiche; non c’è nessuna proposta di natura anche solo keynesiana che rovesci il tavolo monetarista. E allora la nascita di una forza che è già rappresentata si deve solo ad una volontà di protagonismo personale e di arrivismo da parte di soggetti politici altrimenti ridimensionati nei loro aggregati di provenienza.
C’è poi un errore di valutazione di tipo elettoralistico da parte di Renzi, perché l’unica possibilità di esistenza di partiti centristi è un sistema proporzionale puro con uno sbarramento minimo, ad esempio del 2%. Ma non vi sono le condizioni per proporlo, dato che a destra come al centrosinistra la scommessa di vittoria si lega sulla aggregazione coercitiva delle forze minori. Si dirà: infatti adesso Renzi parla di proporzionale. Beh, c’è da sorridere ora a vederlo diventare paladino del sistema proporzionale dopo aver professato il maggioritario puro, ma il soggetto è quel che è, dunque nessuna sorpresa per le sue giravolte. Peraltro, il più serio ostacolo al suo disegno da novello Ghino di Tacco appostato sotto la rocca di Radicofani, è la legge elettorale vigente, il Rosatellum da lui voluto.
Sono diversi gli errori dell’operazione Italia viva: il primo, più evidente, è rappresentato dalla mancanza di argomenti spendibili. In sostanza, la decisione di lasciare il PD avviene pochi giorni dopo la scelta dello stesso PD di sposare proprio le indicazioni politiche di Renzi sull’accordo di governo con il M5S. Si chiede al proprio partito di sconfessare la linea fin lì seguita (e proprio da Renzi segretario generata con la storiella dei pop corn) e di allearsi con i cinque stelle. Il partito accetta e lui, pochi giorni dopo, lascia. Appare incomprensibile per i militanti del PD: è evidente come sia una decisione dettata da ragioni che risiedono esclusivamente nella logica del partito personale. Nell’argomentare incerto da Porta a Porta, ha spiegato come sia stato preda di attacchi personali, dimenticando di dire che, da segretario del PD, parlava di “utilizzo del lanciafiamme” contro l’opposizione interna. Una lamentatio senza fine, con il tono vittimistico di chi vittima è sempre stata solo di se stesso e della sua imperizia.
Emerge invece, prepotentemente, il tasso malato di un ego ipertrofico che non tollera il silenzio su di sé e la sua scarsa rilevanza. Per chi, come Renzi, vede la politica come mezzo per ottenere potere e denaro per il raggiungimento delle ambizioni personali, e non come un veicolo di idee e valori per arrivare a governare nell’interesse della cosa pubblica, stare ai margini del gioco politico significa una totale perdita di senso che, per giunta, pone il problema delle risorse private in termini serissimi.
Nel trasloco ha poca importanza che alcuni dei suoi fedelissimi non lo abbiano seguito, probabilmente lo faranno in un secondo tempo: ora hanno il compito di produrre guerriglia politica interna per favorire una immagine di disgregazione utile a far apparire il nuovo partitino come zattera di salvataggio.
Che i residui di Forza Italia come Carfagna o Cicchitto e i residui di ogni cosa come Casini possano essere interessati al progetto Renzi è tutto da stabilire, giacché l’insofferenza dei berlusconiani nei confronti di Salvini e Meloni, difficilmente arriverà a consegnarsi a Renzi. Il suo noto scarso rispetto per accordi ed intese quali che siano, così come lo strabordare del suo ego e l’incombere della sua Maria Elena, non depongono a favore di un investimento fiduciario da parte di alcuno.
Per adesso la stabilità del governo è assicurata, visto che nessuno dei peones dell’ipotetico nuovo Agorà ha intenzione di rinunciare a succosi emolumenti fino alla fine naturale della legislatura e poi il processo di costruzione e consolidamento ha bisogno di tempo e tappe intermedie. La proiezione demoscopica lo avvicina al 4 per cento dei voti, ma si può prefigurare un effetto benefico anche per il PD che, privato della sua figura più odiata, può ritrovare una parte del voto perso, più o meno in percentuale simile. Ma, quali che siano gli effetti pratici, fin da ora si può dire che il Patto del Nazareno avrà il suo partito. Che non fece sognare nessuno prima e che non terrà svegli nessuno adesso.