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Lo si può criticare sotto molti aspetti, ma di sicuro fra i suoi talenti c’è il contropiede. Dopo aver rovinato Salvini con il ribaltone d’agosto, Matteo Renzi spiazza anche Giuseppe Conte e il Movimento 5 Stelle con la scissione d’autunno. Gli unici a non essere sorpresi, per paradosso, sono stati proprio i dirigenti del Pd, più abituati degli altri alle sorprese del politico di Rignano.

Il Presidente del Consiglio e i grillini, invece, si sono irrigiditi. L’addio di Renzi ai dem li ha gelati, ha fatto nascere in loro il sospetto di essere caduti in trappola. Più che il fatto in sé, a sorprenderli sono stati i tempi e i modi. In fondo, l’ex Premier aveva appena recuperato centralità nel Partito Democratico, convincendo la direzione a ribaltare completamente la linea politica per andare al governo con i pentastellati e sbarrare la strada alla Lega. Dalla crisi agostana Renzi è uscito trionfante, bullandosi di aver fregato Salvini. Quindi perché spaccare il partito proprio ora?

Conte, Di Maio e i pasdaran grillini sono disorientati, non sanno se fidarsi, chiedono rassicurazione ai nuovi amici dem. Ma allo stesso tempo sanno benissimo che la maggioranza al momento non rischia nulla, visto che Renzi non ha alcun interesse ad aprire una nuova crisi di governo. Per almeno tre motivi.

Innanzitutto – al di là del pericolo leghista alle porte, peraltro già ridimensionato – un ritorno alle urne nel breve periodo sarebbe esiziale per Italia Viva, che attualmente nei sondaggi supera di poco la soglia di sbarramento del 3% prevista dal Rosatellum per i seggi ripartiti con il proporzionale (il 61% del totale).

In secondo luogo, con il voto immediato Renzi perderebbe la presa sui gruppi parlamentari del Pd, colonizzati con le truppe cammellate delle ultime liste elettorali e ancora ampiamente controllati grazie a un cospicuo drappello d’infiltrati, ossia di super-renziani rimasti per il momento nel recinto dem per puro calcolo strategico.

Terzo: proprio in virtù di questo potere parlamentare, è impensabile che Renzi corra il rischio di marginalizzarsi prima delle nomine ai vertici delle Autorità e soprattutto delle grandi aziende pubbliche. Fra cariche scadute e in scadenza, le poltrone da rinnovare entro la primavera dell’anno prossimo sono circa 400 e comprendono presidenti, Ad e Cda di colossi come Eni, Enel, Leonardo, Poste e Terna, le punte di diamante di una lista che comprende anche Agcom, Anac, Invitalia, Sogei, Sace, Ansaldo Energia, Simest, Enav e molte altre.

In questa fase, perciò, la domanda non è quando Renzi farà cadere il governo, ma come si comporterà finché rimarrà nella maggioranza. La scissione gli permette di aumentare esponenzialmente il proprio potere personale al tavolo delle decisioni e tutti sanno che, per carattere, il buon Matteo non è tipo da accontentarsi. Alzerà di continuo l’asticella delle richieste e cercherà di proporsi all’opinione pubblica come il vero anti-Salvini, superando la concorrenza di Zingaretti (ammesso che esista) e soprattutto di Conte (ben più agguerrito e popolare del segretario dem).

Per non subire l’attivismo di Renzi, M5S e Pd dovranno mettersi d’accordo in fretta sulle proposte di riforma da portare in Parlamento, così da prevenire quelle di Italia Viva. E la partita inizia subito nel modo più complesso, visto che il primo compito del governo Conte 2 è scrivere la legge di Bilancio 2020.