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Negli ultimi giorni la politica italiana ha visto nascere due assi impensabili fino a qualche mese fa. Il primo è quello dei due picconatori, Matteo Renzi e Luigi Di Maio, che continuano a tirare bordate contro la manovra per indebolire Giuseppe Conte, sempre più solitario nel ruolo di anti-Salvini. Il secondo è costituito dallo stesso Presidente del Consiglio e da Nicola Zingaretti: i due, a differenza dei leader di Iv e M5S, stanno costruendo una vera intesa, fondata sul dialogo quotidiano.

Renzi punta a lanciare verso la doppia cifra un partito che al momento i sondaggi danno al 3-4%. Per questo deve far parlare di sé ogni giorno, su qualsiasi mezzo, a qualunque costo. Il problema è che, per attirare l’attenzione, l’ex Premier sta cadendo in un vecchio errore: scimmiotta slogan e pose degli avversari pensando di riuscire così ad accaparrarsi una parte del loro elettorato. Nasce da qui la follia di presentare Italia Viva come “Partito del No-Tasse” in contrapposizione al Pd “Partito delle Tasse”. Queste amenità sono uscite dalla bocca di Maria Elena Boschi – verosimilmente sotto dettatura di Renzi – e fanno sorridere, perché sembrano uno spot a Forza Italia (il copyright del “meno tasse per tutti” sarà sempre berlusconiano) e alla Lega (il cui cavallo di battaglia è da anni la Flat tax).  Proprio come ai tempi di “aiutiamoli a casa loro”, Renzi non si rende conto che se gli elettori devono scegliere fra una destra surrogata e quella originale, preferiscono la seconda.

D’altra parte, fin qui siamo nell’ordine dei peccati veniali. Il vero guaio è che la propaganda renziana si fonda anche su un altro presupposto sbagliato, ben più pericoloso. L’idea di fondo è che Conte e Zingaretti si lasceranno logorare ancora per mesi senza trovare il coraggio di tornare alle urne con questa legge elettorale, che consegnerebbe l’Italia a Capitan Papeete & Co. Anzi, pur di non subire la disfatta elettorale, forse in primavera il Partito Democratico potrebbe addirittura accettare un cambio della guardia a Palazzo Chigi. Seppur da un’altra prospettiva, il ragionamento è condiviso anche da Di Maio, la cui leadership all’interno del Movimento 5 Stelle si eclissa ogni giorno di più a beneficio di Conte.  

Tutto questo il Presidente del Consiglio lo sa benissimo, perciò sabato si è lanciato in una reprimenda di violenza inusitata: “La manovra è stata approvata – ha detto – Dobbiamo fare squadra, chi non la pensa così è fuori dal governo”. Una controffensiva probabilmente concordata con Zingaretti per spiegare agli alleati che il Pd non ha affatto paura del voto. Al contrario: le elezioni anticipate potrebbero essere perfino utili al leader del Pd – che non a caso voleva tornare alle urne dopo la crisi d’agosto – mentre per Renzi e Di Maio sarebbero senza dubbio una catastrofe.

Se si votasse con il Rosatellum, infatti, Italia Viva faticherebbe a ottenere seggi, il M5S verrebbe ridimensionato e Di Maio perderebbe il ruolo di capo politico grillino. A quel punto Zingaretti si ritroverebbe libero tanto dai renziani quanto dall’ala destrorsa dei 5 Stelle e potrebbe presentarsi agli elettori con una coalizione guidata proprio da Conte, il più popolare fra gli anti-Salvini e anche l’unico in grado d’intercettare il voto moderato cui punta Renzi.

A quel punto, se anche vincesse la destra, in Parlamento si tornerebbe al bipolarismo e il Pd guiderebbe la coalizione alternativa a quella della Lega. Italia Viva, invece, sarebbe un po’ meno vitale di oggi.