La settimana scorsa Mario Draghi ha detto che il governo sta valutando la possibilità di rendere obbligatorio il vaccino anti-Covid. Non è sceso nei dettagli, ha solo risposto “sì” a una domanda in conferenza stampa. Strano, no? Se davvero l’esecutivo pensasse di varare un provvedimento senza precedenti in Europa, ci si aspetterebbe che il Premier affrontasse l’argomento in modo un po’ meno laconico.

A ben vedere, però, l’obbligo vaccinale non è molto verosimile, soprattutto per ragioni politiche. L’articolo 32 della Costituzione stabilisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Significa che, per rendere obbligatorio il vaccino, il governo non potrebbe usare il solito decreto d’urgenza, ma dovrebbe presentare in Parlamento un disegno di legge. E quasi certamente - a meno di tradimenti in massa - Camera e Senato boccerebbero il provvedimento, visto che i leader dei due partiti con più seggi (Lega e M5S) si sono espressi in modo chiaro contro l’imposizione delle punture.

 

“La Lega era e rimane contro obblighi, multe e discriminazioni, ricordando che in nessun Paese europeo esiste l’obbligo vaccinale per la popolazione”, fanno sapere da via Bellerio. “Ho sempre ritenuto che fosse giusto invocare la libertà e la responsabilità dei cittadini”, fa eco Giuseppe Conte.

È chiaro che il naufragio della legge sui vaccini impedirebbe al governo di andare avanti: Draghi tornerebbe a casa, le prossime rate degli aiuti europei sarebbero a rischio, la partita per il Quirinale si complicherebbe non poco, pioggia di sangue e invasione di cavallette. Ma è uno scenario realistico? No davvero.

Più che l’esternazione di un progetto concreto, l’uscita di Draghi sull’obbligo vaccinale sembra una mossa tattica per mettere Salvini alle corde. Da abile negoziatore, il capo del Governo chiede 100 per ottenere 70, in modo da presentare la propria vittoria come un compromesso e permettere all’avversario di salvare la faccia. Prima o poi, c’è da scommetterci, il segretario leghista si vanterà di aver salvato l’Italia dalle iniezioni coatte. Nel frattempo, però, avrà ceduto sull’estensione a pioggia del green pass, il vero obiettivo di Mario Draghi.

Non si tratta di una prospettiva lontana: la cabina di regia si riunirà giovedì prossimo e subito dopo arriverà il decreto, che dovrebbe entrare in vigore il 4 ottobre. Di base, si punta a estendere l’obbligo di certificazione verde all’intera pubblica amministrazione e a tutti i lavoratori attivi nei settori in cui il passaporto vaccinale è già richiesto agli utenti (camerieri, baristi, hostess, istruttori di palestre e piscine, impiegati dei cinema e via elencando). Ma è possibile che alla fine il decreto contenga anche altro. I capitoli su cui più si discute sono due: trasporto pubblico locale e scuola.

Sul primo fronte, buona parte del governo sarebbe favorevole a imporre il green pass su autobus, metropolitane e tram, ma il ministro dei Trasporti, Enrico Giovannini, non sembra entusiasta. Quanto agli studenti, per gli universitari il certificato verde è già obbligatorio, mentre per gli under 12 non esistono ancora vaccini autorizzati; quindi, il dilemma riguarda solo la fascia d’età fra 12 e 19 anni.

Un discorso a parte è invece quello che riguarda il green pass per i lavoratori del settore privato non compresi nel decreto in arrivo. Prima di arrivare a un’estensione così ampia, il governo deve cercare un’intesa con i sindacati e non è da escludere che alla fine la certificazione possa essere imposta non via decreto, ma con un protocollo fra esecutivo, industriali e rappresentanti dei lavoratori. In ogni caso, la soluzione non arriverà prima di metà ottobre. Chissà se, per allora, Salvini avrà già eretto una statua per celebrare se stesso come paladino della libertà.

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