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di Giovanna Pavani

Essere madre è una cosa. Essere padre un'altra. Ed è inutile che si continui a dire che che le due cose hanno il medesimo peso sulla bilancia delle responsabilità (ma anche su quella dei valori) perchè non è vero. Specie quando si tratta di scegliere se tenere un figlio oppure abortire. La legge 194 parla chiaro: è solo la donna che decide. Ma a un signore di Monza questo fatto di non contare assolutamente nulla in una scelta finale così drammatica e lacerante non gli andava proprio giù. Ed è arrivato fino al punto di trascinare la moglie in tribunale (perche aveva abortito senza il suo consenso) per chiedere non solo la separazione, ma anche i danni morali perchè lei sarebbe venuta meno ai "doveri" che derivano dal matrimonio. Nel ricorso, infatti, il suddetto signore invocava il proprio diritto alla paternità che, secondo lui, avrebbe imposto, alla moglie di "tenere conto delle sue ragioni contrarie", partendo dall'assunto che è "illecito, nell'ambito del matrimonio e del tutto ingiustificato, il rifiuto della donna a far partecipe il marito-padre". In buona sostanza: il signore di Monza voleva avere l'ultima parola anche sulla gravidanza della moglie, imponendo sostanzialmente il principio che la decisione della donna dovesse essere "sottoposta" a quella sua, cioè dell'uomo e al suo atavico diritto di diventare padre. Un goffo tentativo di ritornare, con una sentenza ad hoc, a quei tempi (ricordati con nostalgia da molti uomini) in cui le donne "soleano ubbidir tacendo" e dipendevano dal marito anche davanti alla legge.

Gli è andata male. Il tribunale di Monza gli ha dato torto. Perchè essere madri non è un "dovere", come diventare padri non è un "diritto". Ma soprattutto perchè la maternità e la paternità non possono essere messe sullo stesso piano e, chi lo afferma, rischia quantomeno il ridicolo. A meno che non lo faccia, come certi rappresentanti di aree cattoliche oltranziste, in modo pretestuoso con l'obiettivo di scardinare la 194: imponendo, infatti, il consenso del "padre" nella decisione finale, si ottiene l'immediato ed automatico disinnesco della legge. Ma il motivo per cui essere madre ed essere padre non sono e non potranno mai essere la stessa cosa, è legato banalmente al "chi" fa materialmente un figlio. Nessun problema altamente filosofico, dunque. Solo una questione prosaicamente dettata dalla natura.

Va bene: di solito per fare un figlio bisogna essere in due (provette a parte). Ma gli uomini, superato l'ardimentoso sforzo iniziale, possono tranquillamente girarsi dall'altra parte e dormire per i restanti nove mesi. Forse anche per i restanti nove anni. Oppure sparire, dileguarsi, non tornare più. Potrebbero addirittura non sapere mai di avere un figlio da qualche parte del mondo. L'umanità è andata avanti così per millenni, con una "mater semper certa, pater numquam". Perchè far finta che adesso le cose siano cambiate? Le donne concepiscono, fanno crescere e partoriscono un essere umano che cambierà in ogni modo la loro vita. E soffriranno in silenzio, sole come solo le donne sanno scoprire di esserlo, il dolore di una scelta quando si sceglie la rinuncia.
Si potrebbe dire: l'umanità si è evoluta. E i maschi pure. Adesso sono un po' meno ruspanti e hanno recentemente scoperto che essere padri, oltre a dare pubblica dimostrazione della propria virilità, è anche una cosa gratificante dal punto di vista affettivo. E, ovviamente, non solo. Ma anche questo è vero solo in parte: gli uomini sono sempre uguali. Da millenni. E ci sono quelli che sanno amare e quelli che non ci riescono (la maggioranza). Ma tutti, nessuno escluso, dopo aver fatto l'amore con una donna sono liberi, senza pensieri, senza problemi. Possiamo dire, in coscienza, la stessa cosa delle donne? Qualcuno vuole ricordare che una delle cause primarie di mortalità femminile nel mondo sono le complicazioni da aborto clandestino oppure da parto? Basterebbe dire questo: una donna, quando rimane incinta, mette a rischio la propria vita per darne alla luce un'altra (o per scegliere di non farlo) per auspicare, da parte dell'altra metà del cielo, un dignitoso silenzio.

Eppure, a quel signore di Monza glielo ha dovuto imporre il tribunale di tacere. Ecco perchè questa sentenza è da considerarsi molto importante. Perchè ha sottolineato - e ce n'era bisogno - che un uomo e una donna possono essere uguali su tutto, ma che non lo sono affatto quando si tratta di fare un figlio. Che la donna sopporta il peso di maggiori responsabilità rispetto ad un uomo e dunque anche dei diritti in più, ovvero il solo diritto che sia importante, quello di scegliere. E che, infine, l'arroganza maschile di rivendicare una superiorità sulla donna, imponendole di subire le proprie scelte a costo zero, in questo Stato non trova cittadinanza. Non ancora, almeno.